venerdì, marzo 11, 2016
L’ennesimo scandalo lombardo, ormai, non dovrebbe più stupirci. La montagna di soldi che mette in moto la cinghia sanitaria regionale più ricca del paese scatena gli stessi appetiti da almeno ventiquattro anni, da quella prima tessera del domino di nome Mario Chiesa, finendo per compromettere un sistema che, seppur efficiente e di qualità, è malato grave di corruzione.

 di Lorenzo Carchini

Sinistraineuropa - Una spiegazione dell’illegalità pervasiva che attanaglia la sanità lombarda richiede uno sforzo mnemonico non indifferente ed un approccio qualitativo volto a ricostruire dall’interno questi circuiti criminali di redistribuzione di risorse che vengono sottratte alle collettività, comprendendone il funzionamento e le dinamiche.

La storia è lunga. Dal perverso sistema ambrosiano degli anni di Tangentopoli, dei martinitt della Baggina e di Duilio Poggiolini, Re Mida della malasanità italiana, passando per Longostrevi e Abelli (1997) fino a giungere all’impero del Celeste Formigoni (Daccò, San Raffaele), ed infine all’ascesa dei Barbari sognanti, con le ultime vicende di Mantovani, ultimo barone della Sanità lombarda, ed alla “zarina” delle dentiere nell’operazione Smile.

Eppure tutto potrebbe riassumersi nelle parole dell’ordinanza di custodia cautelare del vice-presidente della Regione Lombardia, ottobre 2015:

“Nel corso della sua ascesa politica ancora in atto è rimasto circondato da una cerchia di persone che si è costantemente prodigato di favorire secondo varie modalità, traendone a propria volta vantaggi in termini di riconoscenza e di disponibilità da parte di questi soggetti a soddisfare le sue richieste, spesso volte ancora ad assicurare nuovi benefici ad appartenenti alla cerchia, secondo un sistema che tende così ad autoalimentarsi e a espandersi progressivamente”

Al tempo, Mantovani era vicepresidente ed assessore alla sanità lombarda, ma è probabile che le proprie reti le avesse costruite precedentemente, sin da quando era badante di Mamma Rosa Berlusconi ed organizzava i pullman di anziani per le manifestazioni di Silvio. La propria famiglia faceva capo alla società Immobiliare Vigevanese che realizzava residenze assistenziali e alla Fondazione Mantovani. Dunque una struttura stratificata, in cui i soggetti coinvolti nel circuito criminale utilizzavano risorse ricavate dalla propria partecipazione ad attività illecite, convertendole, investendole nella propria ascesa (in questo caso politica). Un tipico caso di corruzione intesa come strumento per ascendere nella propria carriera.

Come, nella pratica, era stata resa possibile questa ascesa? Semplicemente rimanendo circondato da una “cerchia di persone” (Tizzone). Il concetto di “cerchia” è in questi casi fondamentale: può riguardare sia un sistema virtuoso che rafforza le bandiere morali contro l’illecito, che far riferimento ad un gruppo sociale volto a legittimare il ricorso alla corruzione. Nel caso Mantovani era evidente che si trattasse di una cerchia di secondo tipo in cui questo gruppo ristretto di soggetti si era costantemente prodigato di favorire ogni membro al suo interno, traendone di volta in volta vantaggi di vario tipo.

Il caso Mantovani è altresì esemplare per la sua perversa raffinatezza: non compare una sola mazzetta. Nel recente caso della “zarina” Canegrati, al contrario, si è trovato ogni tipo di tangente, qualcuna nascosta nei luoghi più impensabili. Nel caso precedente, invece, no: secondo l’ipotesi accusatoria (assai dura sia dimostrarlo che portarlo a sentenza, considerato il funzionamento in materia della legge italiana, per quanto il rito abbreviato costituisca già un mezza conquista) esisteva al suo posto un sistema di favori a cui si ricambiava in termini di riconoscenza e disponibilità dei soggetti a fare ulteriori favori, magari non direttamente al ricevente, bensì a terze parti, che si sarebbero ritrovate appartenenti (volontariamente) alla medesima cerchia. Un sistema che non solo permetteva di perseguire l’obiettivo desiderato, ma anche di mantenere coeso il circuito, in modo che tutti potessero ascendere, dal momento che il sistema, come scritto nell’ordinanza, tendeva “ad auto-alimentarsi e ad espandersi progressivamente”. Un chiaro esempio di corruzione sistemica che dal reticolo di scambi e favori produceva un conseguente allargamento della cerchia, in proporzione alla quantità di risorse maggiori da spartire.

Queste cerchie, ancorché complesse ed articolate, richiedono però qualcuno che tiri le fila e faccia sì che nessuno “faccia il furbo”, che non intaschi quello che non deve intascare ad esempio. Serve un ordine e qualcuno che lo garantisca, anche dall’esterno, permettendo un sistema “circolare”.

Nell’operazione Smile, pezzi d’intercettazione relativi all’imprenditrice monzese Maria Paola Canegrati, la “zarina” delle dentiere, ed il leghista Mario Longo dicono:

“Ti dico una cosa riservatissima. La campagna elettorale di Fabio l’ho sostanzialmente finanziata al 100%”

“S’è fatto questo Progetto dentiere anziani. Congratulazioni. El ciapa utantamila per non fare un cazzo. Lo tengo altro che buono, più buono di così…. Lui prende I soldi e io lavoro”

“La gara va fatta così, nel calderone va dentro tutto, anche perché non puoi farla a parte, che così la vince qualcun altro. Io sull’aggiudicazione di questa gara ti do x, farò un contrattino con il quale dico: facciamo una consulenza di 80mila euro all’anno, dieci fatture in modo che nessuno dice niente e siamo tutti belli a posto”.

Nel caso specifico l’imprenditrice finanziò la campagna elettorale per l’ascesa politica del leghista Fabio Rizzi, consigliere regionale e Presidente della Commissione Sanità. Solo uno dei collaboratori nel sottobosco della “zarina” che le permetteva, a suon di ricavi da 80.000 euro (per tenerlo buono), di assicurarsi un ricchissimo sistema di monopolio, ammantato sotto il titolo di “Odontoiatria sociale”. Un complesso sistema di società di comodo, consorzi ed associazioni temporanee – tutte facenti capo alla Dentalservice della Canegrati – che si spartivano appalti regionali per centinaia di milioni di euro, truccando le gare in modo che vincesse sempre chi desiderato. Rizzi, infatti, era il regista stesso della legge approvata sul sistema sanitario lombardo, che prevedeva criteri di assegnazione degli appalti in via privilegiata alle imprese del territorio (la Padania ai padani no?). E cosa facevano queste imprese locali? Contratti con consulenze di 80.000 euro l’anno – magari in dieci fatture da 10.000, in modo da aggirare qualsiasi rischio di tracciabilità da parte della finanza.

Consulenze, in sostanza, non diversamente dallo scandalo Daccò, anch’esso basato su un principio di redistribuzione delle tangenti su una base di consulenze fittizie, finanche ad una ridicola consulenza da 40.000 euro, con oggetto “le possibilità di vita su Marte”.

Vale la pena, infine, valutare un’ultima intercettazione fra una dirigente Asl e la “zarina”, a seguito dell’assunzione del figlio:

“Mi hai reso la donna più felice della terra, ti giuro.. Potessi ti… ti farei un monumento, giuro..”
“Tranquilla”.


Anche assunzione di congiunti, dunque. Nella stessa vicenda diversi figli di dirigenti dell’Asl, secondo un grottesco bagaglio d’intercettazioni, hanno ricevuto simile trattamento. Perfino conviventi ed ex amanti trovavano un ruolo, come nel caso di Pietrogino Pezzano (ex numero uno dell’Asl monzese e uomo forte di Roberto Formigoni), nelle società fittizie, facendoli partecipare alla distribuzione degli utili degli appalti truccati. Un meccanismo più articolato con assunzioni e compartecipazioni in attività volte alla redistribuzione dei proventi dati dall’assegnazione degli appalti della società in cui avevano un ruolo puramente fittizio.


In conclusione, quello che emerge dagli ultimi cinque anni di sanità lombarda, secondo il professor Alberto Vannucci (Università di Pisa) è un campo minato di scandali, favori, tintinnii di manette ed uno stato di corruzione sistemica consolidatasi nel tempo e che si è tradotta in un sistematico saccheggio delle risorse pubbliche anche e soprattutto come frutto dell’attuazione del programma politico stesso (le privatizzazioni di ampie porzioni dell’assistenza sanitaria). Una struttura endemica di reati senza vittime che hanno ormai ampiamente superato qualsiasi intermediario (Daccò) o dazione ambientale (Tangentopoli) muovendosi verso un reticolo di conflitti d’interesse e favori incrociati fino alla radice. Dentiere e sorrisi dorati sono soltanto un aspetto, residuale, di un’intera struttura a rischio marcescenza: laddove non arriverà la finanza, gli amici degli amici potranno ancora avvinghiarsi fra loro e moltiplicarsi.


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