mercoledì, febbraio 17, 2016
Alle prese con la definizione dei candidati e delle alleanze per la sfida elettorale, a Napoli i giochi perlopiù sono fatti. 

di Lorenzo Carchini

Sinistraineuropa - Come annunciato in sede di presentazione, la città partenopea esce, come Milano, da un’altra esperienza amministrativa, quella di Luigi De Magistris figlia del “Movimento arancione” che però ha portato a sviluppi del tutto diversi rispetto a quella di Pisapia: il sindaco uscente si ricandiderà forte dell’appoggio di SI-SEL, Rifondazione Comunista, Possibile e di altre liste civiche
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Sul fronte del Pd resta ancora da sciogliere il nodo primarie, le cui firme sono state depositate lo scorso 4 febbraio e porteranno al voto il 6 Marzo. Antonio Bassolino è stato il primo, presentandosi più di un mese fa. Poi Marco Sarracino – classe 1989, ex segretario dei Giovani Democratici e più giovane componente della direzione nazionale Pd – e l’ultimo giorno è arrivata anche Valeria Valente. A pochi minuti dalla scadenza delle ore 12, alla commissione di Garanzia per la scelta del candidato sindaco si erano aggiunte anche quelle a sostegno di Umberto Ranieri, presentate però dai cittadini e non dagli iscritti al Pd, precludendogli quindi l’accesso alla gara elettorale. Ultimo iscritto alla corsa alle primarie, infine, l’oncologo Antonio Marfella, candidato dal PSI.

Proprio la presenza di Bassolino sembra abbia scompaginato maggiormente i piani partenopei del Pd. Il sessantottenne, messi alle spalle i problemi giudiziari, è tornato sul palcoscenico della vita pubblica del capoluogo, di cui non solo è stato sindaco, ma anche presidente regionale. Un rais del centro-sinistra ben sostenuto da circoli e salotti buoni della società locale, nonché un nome altisonante che potrebbe essere facilmente sbaragliare la concorrenza interna. Ciò che il Nazareno, apertamente, non vuole.

Lo strappo generatosi sulla strada tra Napoli e Roma è profondo e la scelta di Valeria Valente ne è la più chiara testimonianza. I principali leader del centro-sinistra campano avevano, infatti, optato per altri nomi (Riccardo Monti, Leonardo Impagno e Tonino Amato), tutti elementi di spicco dalla società civile partenopea. A Roma, invece, l’opzione del nome politico è stata ritenuta fondamentale, concretizzandola nei nomi di Enzo Amendola, Gennaro Migliore e proprio della Valente. Nel vasto arcipelago Pd, infatti, l’ex assessore della giunta Iervolino (ed ex consigliera bassoliniana) fa parte della componente “Rifare l’Italia” di cui è coordinatrice nazionale, ma a livello nazionale fa capo a Matteo Orfini, non un nome qualsiasi. Né esattamente un renziano della prima ora.

Perché allora Roma si sarebbe incaponita sul “candidato politico” anche a rischio di confliggere con il territorio?

Le ricostruzioni sono molte, alcune contrastanti fra loro: dal doppio paradosso Pd (comunemente noto come “tafazzismo”) al più sottile gioco di alleanze ramificate che costituirebbe la strategia del partito in occasione delle Amministrative. Il nome della Valente, infatti, l’ha spuntata dopo settimane di veti incrociati e lotte intestine anche perché permetterebbe di saldare definitivamente l’accordo tra Renzi e “Giovani Turchi” per la candidatura a Roma di Roberto Giachetti. La partecipazione di Bassolino, inoltre, avrebbe reso Napoli la città più difficile da raggiungere per la linea “dem”. Nel tentativo di non macchiare l’aura vincente del Presidente del Consiglio e Segretario, quindi, il vice Lorenzo Guerini avrebbe offerto di buon grado la città agli “orfiniani”. Parimenti se Orfini e Valente, in un Pd pacificato, dovessero eliminare Bassolino, a quel punto si giocherebbero Palazzo San Giacomo con l’obiettivo principale di arrivare al ballottaggio con l’uscente De Magistris. A quel punto, però, non sarebbe difficile per il Pd raggiungere un accordo di non belligeranza con Gianni Lettieri, in campo col centro-destra, ma come candidato civico.

Scenari reali o fantapolitica romana?

Torniamo, infine, a Napoli. C’è della verità nelle parole del giovane candidato Sarracino, intervistato martedì a Il Mattino: “il Renzismo in questa città non ha avuto spinta innovativa”. Un’ipotesi che si è posto qualche mese fa pure Eugenio Scalfari su Repubblica, chiedendosi che ne sappia il governo del Meridione. Nell’ultimo decennio Napoli si è progressivamente staccata dalla politica nazionale, divenendone oggetto, ma non soggetto, marginalizzandosi mentre il governo guardava altrove.

L’esperienza De Magistris è principalmente figlia degli insuccessi del centro-sinistra napoletano, quello di Bassolino, nel creare una nuova classe dirigente. Il suo modo di “surfare” l’onda antagonista, di protesta al potere, spostando le attenzioni dal piano amministrativo a quello politico, cozza con le promesse altisonanti di un nuovo Rinascimento partenopeo (i Quartieri spagnoli tutto sono fuorché la Montmartre di Napoli tanto proclamata).

Intanto il mondo politico tesse nuove fila e l’esorbitante quantità di liste che si accumuleranno intorno ai Bassolino ed ai Lettieri sono più la prova di un senso di “restaurazione” che di – pur millantata – “rottamazione”. Dopo la vittoria di Vincenzo De Luca alle regionali, la politica campana si appresta a girare un sequel al rovescio degli anni Novanta? Può essere proprio l’ex sindaco e governatore il principale interprete anche della stagione “rottamatrice”? E dal canto suo, può Renzi affrontare le Amministrative affidandosi ad un nome della vecchia guardia?


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