domenica, febbraio 01, 2015
Udienza di Francesco alla Coldiretti: “ripensare a fondo produzione e distribuzione del cibo” 

di Paolo Fucili

C’è un “campo” - nel senso metaforico e non solo del termine - in cui il Papa non è solito inoltrarsi, a meno che non ce ne sia come oggi un’occasione particolare. E anch’esso, al pari di altri più affini alle competenze papali, ha conosciuto la sua dura “crisi delle vocazioni”, che a differenza di altre però dà l’impressione non da oggi di essersi finalmente esaurita. Vedi il boom italiano di iscritti agli istituti tecnici agrari (nell’anno scolastico 2014-15 +12% sull’anno precedente) e alle Facoltà universitarie di agraria (quelle che registrano i maggiori incrementi di iscritti).

Sì, perché anche coltivare la “sorella” terra (con “attenzione”, “passione”, “dedizione”), dice Francesco, è proprio una “vocazione” che “merita di venire riconosciuta e adeguatamente valorizzata, anche nelle concrete scelte politiche ed economiche”. Una delle quali potrebbe essere - il Papa suggerisce – “eliminare quegli ostacoli che penalizzano un’attività così preziosa e che spesso la fanno apparire poco appetibile alle nuove generazioni”, pur con la recente inversione di tendenza (frutto verosimilmente di disoccupazione e crisi economica).

Musica per le orecchie dei dirigenti Coldiretti, la più grande organizzazione italiana (ed europea) di imprenditori agricoli, ispirata fin dalla fondazione (1944) “alla scuola e ai principi della storia cristiano-sociale”, recita al punto 1 il suo statuto. Appuntamento ieri mattina alle 12 per l’udienza papale in Vaticano, con un bel cesto di vivande in dono a sua Santità, per festeggiare appunto i primi 70 anni di vita della “Confederazione nazionale Coldiretti (è il nome per esteso), dal secondo dopoguerra ad oggi.

L’occasione giusta per il Papa per tornare ad ammonire che bisogna “ripensare a fondo” il sistema di produzione e distribuzione del cibo, a fronte di uno spreco di “proporzioni inaccettabili” e della fame “che ancora interessa purtroppo una vasta parte dell’umanità”. No dunque alla “assolutizzazione delle regole del mercato”, Bergoglio accusa, perché “col pane” – almeno con questo “non si scherza!”: non è “una merce”, giacché addirittura è “sacro” in qualche modo come la nostra stessa vita.

Altro tema del giorno la sfida del “realizzare un’agricoltura a basso impatto ambientale”, così che “il nostro coltivare la terra sia anche un custodirla”. Anzitutto ci vuole “attenzione alla fin già troppo diffusa sottrazione di terra all’agricoltura per destinarla ad altre attività, magari apparentemente più redditizie”, in nome del solito “dio denaro”, il Papa denuncia severo: è come “vendere la famiglia, la madre”, come fanno persone “che non hanno sentimenti”.

Ma oltre al consumo forsennato di terreno agricolo ci sono anche i cambiamenti del clima (“ogni agricoltore sa bene quanto sia diventato più difficile coltivare la terra in un tempo di accelerati mutamenti climatici e di eventi meteorologici estremi sempre più diffusi”) e l’inquinamento (“come continuare a produrre buon cibo per la vita di tutti quando l’aria, l’acqua e il suolo stesso perdono la loro purezza a causa dell’inquinamento?”), tanto da spingere stamane Francesco a sollecitare l’“urgente” collaborazione delle nazioni “per questo scopo fondamentale”, la custodia del creato.

Questo sarà pure il tema della seconda enciclica del Papa argentino, a riprova di quanto gli stia a cuore. Lo ha rivelato ai giornalisti lui stesso pochi giorni fa, sul volo del ritorno da Manila, che intende dedicare un’intera settimana di marzo alla sua definitiva stesura, sulle bozze riviste prima dal cardinale Turkson (Presidente del Pontificio Consiglio giustizia e pace), poi dalla Congregazione per la dottrina della fede e dal Teologo della casa pontificia. Obiettivo dichiarato pubblicazione entro luglio, col proposito esplicitato anch’esso di prevenire la Conferenza ONU di Parigi (a dicembre) sui cambiamenti climatici, perché la precedente a Lima “non è stato un granché. A me ha deluso la mancanza di coraggio: si sono fermati a un certo punto”. Perché “in larga parte è l’uomo che prende a schiaffi la natura, continuamente. Noi ci siamo un po’ impadroniti della natura, della sorella terra, della madre terra”.


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