Dio salva “un cuore pentito”, mentre chi non confida in Lui attira su di sé la “condanna”. Lo ha ribadito Papa Francesco nella sua omelia del mattino, presiedendo la Messa nella cappella di Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis: ascolta
Radio Vaticana - L’umiltà salva l’uomo agli occhi di Dio, la superbia lo perde. La chiave sta nel cuore. Quello dell’umile è aperto, sa pentirsi, accettare una correzione e si fida di Dio. Quello del superbo è speculare all’opposto: arrogante, chiuso, non conosce vergogna, è impermeabile alla voce di Dio. Il brano del profeta Sofonia e quello del Vangelo suggeriscono a Papa Francesco una riflessione in parallelo. Entrambi i testi, osserva, parlano di un “giudizio” dal quale dipendono salvezza e condanna.
L’umiltà, l’unica strada
La situazione descritta dal profeta Sofonia è quella di una città ribelle, nella quale tuttavia c’è gruppo che si pente dei propri peccati: questo, sottolinea il Papa, è il “popolo di Dio” che ha in sé le “tre caratteristiche” di “umiltà, povertà, fiducia nel Signore”. Ma nella città ci sono anche quelli che, dice Francesco, “non hanno accettato la correzione, non hanno confidato nel Signore”. A loro toccherà la condanna:
“Questi non possono ricevere la Salvezza. Sono chiusi, loro, alla Salvezza. ‘Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero; confiderà nel nome del Signore’, per tutta la vita. E questo fino a oggi, no? Quando vediamo il santo popolo di Dio che è umile, che ha le sue ricchezze nella fede nel Signore, nella fiducia nel Signore – il popolo umile, povero che confida nel Signore: e questi sono i salvati e questa è la strada della Chiesa, no? Deve andare per questa strada, non per l’altra strada che non ascolta la voce, che non accetta la correzione e non confida nel Signore”.
Sinceramente pentìti, non ipocriti
La scena del Vangelo è quella del contrasto tra i due figli invitati dal padre a lavorare nella vigna. Il primo rifiuta ma poi si pente e va, il secondo dice sì al padre ma in realtà lo inganna. Gesù racconta questa storia ai capi del popolo affermando con chiarezza che sono loro a non aver voluto ascoltare la voce di Dio attraverso Giovanni e che per questo nel Regno dei cieli saranno superati da pubblicani e prostitute, che invece a Giovanni hanno creduto. E lo scandalo suscitato da quest'ultima affermazione, osserva Papa Francesco, è identico a quello di tanti cristiani che si sentono “puri” solo perché vanno a Messa e fanno la comunione. Ma Dio, dice, ha bisogno di altro:
“Se il tuo cuore non è un cuore pentito, se tu non ascolti il Signore, non accetti la correzione e non confidi in Lui, tu hai un cuore non pentito. Ma questi ipocriti che si scandalizzano di questo che dice Gesù sui pubblicani e le prostitute, ma poi di nascosto andavano da loro o per sfogare le loro passioni o per fare affari – ma tutto di nascosto – erano puri! E questi il Signore non li vuole”.
Offrire persino i peccati
Questo giudizio “ci dà speranza”, assicura Papa Francesco. Purché, conclude, si abbia il coraggio di aprire il cuore a Dio senza riserve, donandogli anche la “lista” dei propri peccati. E per spiegarlo, il Papa ricorda la storia di quel santo che pensava di aver dato tutto al Signore, con estrema generosità:
“Ascoltava il Signore, andava sempre secondo la sua volontà, dava al Signore e il Signore: ‘Ma tu non mi hai dato una cosa, ancora”. E il povero era tanto buono e dice: ‘Ma, Signore, cosa non ti ho dato? Ti ho dato la mia vita, lavoro per i poveri, lavoro per la catechesi, lavoro qui, lavoro là…’. ‘Ma qualcosa tu non mi hai dato ancora’.- ‘Che, Signore?. ‘I tuoi peccati’. Quando noi saremo in grado di dire al Signore: ‘Signore, questi sono i miei peccati – non sono di quello, di quello, sono i miei… Sono i miei. Prendili tu e così io sarò salvo’ – quando noi saremo capaci di fare questo noi saremo quel bel popolo, ‘popolo umile e povero’, che confida nel nome del Signore. Il Signore ci conceda questa grazia”.
Radio Vaticana - L’umiltà salva l’uomo agli occhi di Dio, la superbia lo perde. La chiave sta nel cuore. Quello dell’umile è aperto, sa pentirsi, accettare una correzione e si fida di Dio. Quello del superbo è speculare all’opposto: arrogante, chiuso, non conosce vergogna, è impermeabile alla voce di Dio. Il brano del profeta Sofonia e quello del Vangelo suggeriscono a Papa Francesco una riflessione in parallelo. Entrambi i testi, osserva, parlano di un “giudizio” dal quale dipendono salvezza e condanna.
L’umiltà, l’unica strada
La situazione descritta dal profeta Sofonia è quella di una città ribelle, nella quale tuttavia c’è gruppo che si pente dei propri peccati: questo, sottolinea il Papa, è il “popolo di Dio” che ha in sé le “tre caratteristiche” di “umiltà, povertà, fiducia nel Signore”. Ma nella città ci sono anche quelli che, dice Francesco, “non hanno accettato la correzione, non hanno confidato nel Signore”. A loro toccherà la condanna:
“Questi non possono ricevere la Salvezza. Sono chiusi, loro, alla Salvezza. ‘Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero; confiderà nel nome del Signore’, per tutta la vita. E questo fino a oggi, no? Quando vediamo il santo popolo di Dio che è umile, che ha le sue ricchezze nella fede nel Signore, nella fiducia nel Signore – il popolo umile, povero che confida nel Signore: e questi sono i salvati e questa è la strada della Chiesa, no? Deve andare per questa strada, non per l’altra strada che non ascolta la voce, che non accetta la correzione e non confida nel Signore”.
Sinceramente pentìti, non ipocriti
La scena del Vangelo è quella del contrasto tra i due figli invitati dal padre a lavorare nella vigna. Il primo rifiuta ma poi si pente e va, il secondo dice sì al padre ma in realtà lo inganna. Gesù racconta questa storia ai capi del popolo affermando con chiarezza che sono loro a non aver voluto ascoltare la voce di Dio attraverso Giovanni e che per questo nel Regno dei cieli saranno superati da pubblicani e prostitute, che invece a Giovanni hanno creduto. E lo scandalo suscitato da quest'ultima affermazione, osserva Papa Francesco, è identico a quello di tanti cristiani che si sentono “puri” solo perché vanno a Messa e fanno la comunione. Ma Dio, dice, ha bisogno di altro:
“Se il tuo cuore non è un cuore pentito, se tu non ascolti il Signore, non accetti la correzione e non confidi in Lui, tu hai un cuore non pentito. Ma questi ipocriti che si scandalizzano di questo che dice Gesù sui pubblicani e le prostitute, ma poi di nascosto andavano da loro o per sfogare le loro passioni o per fare affari – ma tutto di nascosto – erano puri! E questi il Signore non li vuole”.
Offrire persino i peccati
Questo giudizio “ci dà speranza”, assicura Papa Francesco. Purché, conclude, si abbia il coraggio di aprire il cuore a Dio senza riserve, donandogli anche la “lista” dei propri peccati. E per spiegarlo, il Papa ricorda la storia di quel santo che pensava di aver dato tutto al Signore, con estrema generosità:
“Ascoltava il Signore, andava sempre secondo la sua volontà, dava al Signore e il Signore: ‘Ma tu non mi hai dato una cosa, ancora”. E il povero era tanto buono e dice: ‘Ma, Signore, cosa non ti ho dato? Ti ho dato la mia vita, lavoro per i poveri, lavoro per la catechesi, lavoro qui, lavoro là…’. ‘Ma qualcosa tu non mi hai dato ancora’.- ‘Che, Signore?. ‘I tuoi peccati’. Quando noi saremo in grado di dire al Signore: ‘Signore, questi sono i miei peccati – non sono di quello, di quello, sono i miei… Sono i miei. Prendili tu e così io sarò salvo’ – quando noi saremo capaci di fare questo noi saremo quel bel popolo, ‘popolo umile e povero’, che confida nel nome del Signore. Il Signore ci conceda questa grazia”.
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