sabato, settembre 06, 2014
Sarebbe in arrivo l'invito da parte del governo di Ankara per una visita di grande significato religioso e geopolitico 

di Giacomo Galeazzi 

Vatican Insider - E' possibile che il prossimo novembre Francesco visiti la Turchia. Già prima del pellegrinaggio papale in Terra Santa il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo aveva espresso al Pontefice il desiderio di un suo pellegrinaggio sulle orme di Sant'Andrea, in occasione della festa del santo patrono che si celebra il 30 novembre. Francesco aveva immediatamente acconsentito ma occorreva comunque attendere un segnale da parte del governo. Adesso, secondo quanto scrive Marco Ansaldo (vaticanista di "Repubblica" ed esperto di Turchia), Ankara si appresterebbe a formalizzare alla Santa Sede l'invito per la visita papale.

In Vaticano la cautela è massima, anche per il ricordo di ciò che accadde nove anni fa, all'inizio del pontificato di Benedetto XVI. In quel caso all'invito del patriarcato non era subito seguito quello della autorità civili. Stavolta, invece, Ankara si starebbe muovendo per una visita a novembre."Attualmente si tratta di un viaggio allo studio, ma non c'è ancora una conferma ufficiale - spiegano a "Vatican Insider" fonti della Curia romana - Per noi è una questione in sospeso".

Le questioni sul tappeto sono molte. secondo il rapporto annuale di "Aiuto alla Chiesa che soffre, in varie occasioni, le autorità turche hanno espresso l’intenzione di migliorare lo status di parte delle minoranze religiose, mostrandosi sensibili alle pressioni esercitate dalle organizzazioni internazionali. Ne fa parte la Risoluzione adottata a Venezia nel marzo 2010 dalla Commissione per la libertà religiosa del Consiglio d’Europa, in cui veniva chiesto alla Turchia sia il riconoscimento legale per le minoranze religiose che non ne beneficiavano, come la Chiesa cattolica di rito latino, sia di impegnarsi fermamente contro ogni discriminazione.

Più volte Recep Tayip Erdogan ha promesso la restituzione dei beni confiscati alle minoranze religiose nel 1923, quando fu creata la Repubblica moderna della Turchia, e poi alla metà degli anni ’30 e negli anni ’60. Questo annuncio, confermato da un decreto, è stato fatto ai rappresentanti di 161 Fondazioni religiose interessate alla questione, Fondazioni che appartengono alle tre minoranze non islamiche riconosciute dal Trattato di Losanna (1923), ovvero gli ortodossi greci (che dipendono dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli), gli armeni apostolici e gli ebrei. In novembre, la Direzione Generale delle Fondazioni (che è un organismo governativo), ha deciso di riconoscere loro la personalità giuridica. Erdogan ha concesso il lasso di tempo di un anno, affinché siano depositate le domande di restituzione o di indennizzo, a prescindere dal fatto che questi beni siano o meno diventati proprietà dello Stato o siano o meno stati venduti a privati. Si tratta di chiese, monasteri, cimiteri, ospedali, scuole, palazzi abitati, fontane e terreni. Più di un migliaio di essi erano stati confiscati alla Chiesa greco-ortodossa (rappresentata dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli), e una 30ina alla Chiesa armena apostolica; la comunità ebraica dovrebbe, invece, recuperare tutti i cimiteri di sua proprietà prima del 1930.

Monsignor François Yakan, vicario patriarcale caldeo con sede a Istanbul, ha protestato contro l'esclusione della sua Chiesa dal beneficio di questo decreto. Quest’ultima, infatti, non essendo citata nel Trattato di Losanna, non gode di alcun riconoscimento giuridico in Turchia. Monsignor Yakan ha annunciato la sua intenzione di chiedere, malgrado tutto, la restituzione delle proprietà della sua Chiesa confiscate dallo Stato. Stessa situazione per la Chiesa cattolica siriaca, parimenti non menzionata nel Trattato di Losanna. Anch’essa intende chiedere la restituzione di alcuni suoi beni: la chiesa del Sacro Cuore a Istanbul, il monastero di Sant’Efrem e alcuni terreni a Mardine. Queste restituzioni non riguardano quanto sottratto agli armeni all'epoca del genocidio del 1915. Tale elemento non secondario nell’ottica della decisione, è stato stigmatizzato dal Patriarca della Chiesa armena apostolica, Aram I (la cui sede, un tempo in Cilicia, nella Turchia meridionale, è stata trasferita in Libano per motivi di sicurezza) che ha scritto una lettera aperta al Erdogan sottolineando l’inadeguatezza della sua decisione.


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