Ogni anno salgo a Sant'Anna di Stazzema per partecipare, idealmente, a quel girotondo al quale sono state strappate - il 12 agosto di 70 anni fa - tante vittime innocenti, colpevoli solo di stare al mondo, in una estate marchiata dalla guerra.
di Elisabetta Lo Iacono
Ma qui si è andati oltre qualsiasi logica bellica, qui si è scesi nel baratro della mente e dei cuori, saldando la follia nazista a quella fascista, salendo da più parti su questa collina versiliese, alle prime luci dell'alba, accerchiando donne, bambini, anziani e uccidendone barbaramente 560. Senza trovare gli uomini, i partigiani, ma scagliandosi contro un'umanità inerme e lontana da qualsiasi logica di violenza .
Un numero folle di vittime come folli furono i metodi disumani che non risparmiarono i più piccoli né le donne in stato interessante, brutalmente devastate nella loro maternità.
Quei passi pesanti, quel rumore delle armi, quegli ordini secchi e quelle grida di terrore sono rimasti impressi in un silenzio surreale. Quell'odore acre provocato dal grande falò che, davanti alla piccola chiesetta, consumò i corpi delle vittime e alzò nel cielo un fumo nero sembra essere penetrato in modo indelebile in quei verdi castagni e nelle pietre antiche.
Se possibile, salgo a Sant'Anna il giorno prima delle celebrazioni per una preghiera e un personale omaggio. Lo faccio volutamente alla vigilia, per un pellegrinaggio silenzioso che arriva sino all'Ossario a Col di Cava, da dove si domina tutta la pianura versiliese, sino al mare. Il dolore e la follia sembrano cristallizzati in quella scultura che ritrae il dramma, in quella lapide enorme che eppure appare piccola per contenere così tanti nomi delle vittime.
Salire a Sant'Anna di Stazzema, nel silenzio di un giorno qualsiasi, significa fare tesoro della memoria, annaffiare le proprie radici di appartenenza territoriale ma anche valoriale. Significa rivolgere un pensiero alle vittime, cercare di vivere dentro di sé quegli attimi di terrore per far sì che non si spengano al soffio degli anni.
Sant'Anna, così come gli altri luoghi simbolo di violenze, deve continuare a parlare a ognuno di noi. Dobbiamo entrare in quel girotondo del mondo che, mano nella mano, saldava i bambini di questo luogo in quella foto scattata poco prima della strage.
Quel girotondo gioioso sul piazzale della chiesa avrebbe lasciato, da lì a poco, spazio a un grande falò dove con quei corpi è stato incenerito ogni sentimento di umanità.
Il silenzio surreale di Sant'Anna, il fruscio dei castagni, il cinguettio degli uccelli sembrano invitarci ad ascoltare meglio la voce della storia che risuona distintamente anche nell'oggi, per cercare di comprendere quanto avviene altrove. Pensare alla violenza qui perpetrata non può che richiamare i tragici fatti ai quali assistiamo in questi giorni, con la persecuzione e il martirio di tanti innocenti.
Sant'Anna può aiutare a comprendere meglio quanto continua ad accadere, a disprezzo degli insegnamenti della storia. Ma Sant'Anna può anche aiutare a capire che la violenza non fa altro che generare violenza e che l'unica risposta - non solo cristiana - è quella di declinare l'odio e la vendetta nel perdono, come sta scritto nelle vicende di questa terra, negli occhi dei sopravvissuti e su quella lapide all'Ossario, il monumento innalzato proprio per "per esprimere amore e perdono".
di Elisabetta Lo Iacono
Ma qui si è andati oltre qualsiasi logica bellica, qui si è scesi nel baratro della mente e dei cuori, saldando la follia nazista a quella fascista, salendo da più parti su questa collina versiliese, alle prime luci dell'alba, accerchiando donne, bambini, anziani e uccidendone barbaramente 560. Senza trovare gli uomini, i partigiani, ma scagliandosi contro un'umanità inerme e lontana da qualsiasi logica di violenza .
Un numero folle di vittime come folli furono i metodi disumani che non risparmiarono i più piccoli né le donne in stato interessante, brutalmente devastate nella loro maternità.
Quei passi pesanti, quel rumore delle armi, quegli ordini secchi e quelle grida di terrore sono rimasti impressi in un silenzio surreale. Quell'odore acre provocato dal grande falò che, davanti alla piccola chiesetta, consumò i corpi delle vittime e alzò nel cielo un fumo nero sembra essere penetrato in modo indelebile in quei verdi castagni e nelle pietre antiche.
Se possibile, salgo a Sant'Anna il giorno prima delle celebrazioni per una preghiera e un personale omaggio. Lo faccio volutamente alla vigilia, per un pellegrinaggio silenzioso che arriva sino all'Ossario a Col di Cava, da dove si domina tutta la pianura versiliese, sino al mare. Il dolore e la follia sembrano cristallizzati in quella scultura che ritrae il dramma, in quella lapide enorme che eppure appare piccola per contenere così tanti nomi delle vittime.
Salire a Sant'Anna di Stazzema, nel silenzio di un giorno qualsiasi, significa fare tesoro della memoria, annaffiare le proprie radici di appartenenza territoriale ma anche valoriale. Significa rivolgere un pensiero alle vittime, cercare di vivere dentro di sé quegli attimi di terrore per far sì che non si spengano al soffio degli anni.
Sant'Anna, così come gli altri luoghi simbolo di violenze, deve continuare a parlare a ognuno di noi. Dobbiamo entrare in quel girotondo del mondo che, mano nella mano, saldava i bambini di questo luogo in quella foto scattata poco prima della strage.
Quel girotondo gioioso sul piazzale della chiesa avrebbe lasciato, da lì a poco, spazio a un grande falò dove con quei corpi è stato incenerito ogni sentimento di umanità.
Il silenzio surreale di Sant'Anna, il fruscio dei castagni, il cinguettio degli uccelli sembrano invitarci ad ascoltare meglio la voce della storia che risuona distintamente anche nell'oggi, per cercare di comprendere quanto avviene altrove. Pensare alla violenza qui perpetrata non può che richiamare i tragici fatti ai quali assistiamo in questi giorni, con la persecuzione e il martirio di tanti innocenti.
Sant'Anna può aiutare a comprendere meglio quanto continua ad accadere, a disprezzo degli insegnamenti della storia. Ma Sant'Anna può anche aiutare a capire che la violenza non fa altro che generare violenza e che l'unica risposta - non solo cristiana - è quella di declinare l'odio e la vendetta nel perdono, come sta scritto nelle vicende di questa terra, negli occhi dei sopravvissuti e su quella lapide all'Ossario, il monumento innalzato proprio per "per esprimere amore e perdono".
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