mercoledì, gennaio 15, 2014
Depositate il 13 gennaio le motivazioni della sentenza con cui la Corte costituzionale poco più di un mese fa ha dichiarato illegittime alcune norme del “Porcellum”. Via il premio di maggioranza e le liste bloccate. Per il resto rimane in piedi il vigente sistema di tipo proporzionale, salvo che il Parlamento, nella sua discrezionalità, non decida di modificare ulteriormente l’attuale sistema elettorale. Una sentenza, dunque, “auto esecutiva”, i cui effetti inizieranno però concretamente a prodursi dalla prossima tornata elettorale.

di Bartolo Salone

Le elezioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati sono disciplinate, rispettivamente, dal d. lgs. n. 533/1993 e dal D.P.R. n. 361/1957, come modificati dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270 (meglio nota come “Porcellum”). Con la legge elettorale da ultimo citata è stato reintrodotto in Italia il sistema proporzionale, dopo circa un decennio di “maggioritario attenuato”. Quello introdotto dal Porcellum non è tuttavia un proporzionale di tipo puro, essendo previste soglie di sbarramento e un consistente premio di maggioranza in favore della lista (o coalizione di liste) che abbia ottenuto il maggior numero di voti validi espressi. L’attribuzione del premio di maggioranza, inoltre, differisce sensibilmente con riferimento alla Camera e al Senato: per la Camera il premio è attribuito su base nazionale alla coalizione o lista che, pur avendo ottenuto la maggioranza relativa dei voti validi espressi, non abbia conseguito almeno 340 seggi; per il Senato, invece, il premio viene attribuito su base regionale alla coalizione o lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti senza però raggiungere il 55% dei seggi assegnati alla Regione. Il premio consiste precisamente nell’attribuzione di un numero di seggi aggiuntivi tali da consentire alla lista o coalizione che abbia ottenuto il maggior numero di voti (e disponga pertanto della maggioranza relativa) di avere la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. Il nuovo sistema è infine “a liste bloccate”, nel senso che l’elettore può votare solo per la lista, ma senza facoltà di esprimere preferenze per questo o quel candidato della lista per cui vota.

Con la sentenza n. 1/2014, di cui appena un paio di giorni fa sono state rese note le motivazioni, la Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale proprio del premio di maggioranza e delle liste bloccate, essendo questi istituti in contrasto con diversi principi della nostra Costituzione, da quello della sovranità popolare e della rappresentanza diretta a quello della libertà del voto. In particolare, il meccanismo premiale viene censurato per l’eccessiva divaricazione che determina tra voti espressi e numero di seggi in Parlamento, consentendo in ogni caso alla lista di maggioranza relativa di ottenere la maggioranza assoluta, a prescindere da una ragionevole soglia minima di voti conseguiti. Con il che viene implicitamente affermato il principio per cui il premio di maggioranza può essere ritenuto conforme a Costituzione solo a condizione che non determini una eccessiva divaricazione tra voti espressi e seggi assegnati, mercé la previsione di una ragionevole soglia minima di voti che la lista di maggioranza relativa dovrebbe comunque aver conseguito a seguito delle elezioni per aver diritto al premio. In caso contrario, invece, non vi sarebbe proporzione tra il fine conseguito, che è quello pur costituzionalmente legittimo della stabilità di governo, e gli altri valori costituzionali in gioco, che vengono così irragionevolmente sacrificati, tra cui quello della rappresentatività delle assemblee elettive e dell’eguaglianza del voto.

Con riguardo al sistema di attribuzione dei seggi previsto per il Senato, la Corte ravvisa inoltre un profilo di irragionevolezza della disciplina legislativa nel fatto che, essendo il premio di maggioranza attribuito su scala regionale, la maggioranza in seno all’assemblea del Senato diventa il risultato casuale della somma dei premi regionali, che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle medesime liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, sì da vanificare la stessa finalità perseguita di assicurare al Paese effettive condizioni di governabilità.

Il sistema delle liste bloccate, dal canto suo, è illegittimo in quanto, privando l’elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti (scelta che al contrario è totalmente rimessa ai partiti), impedisce l’instaurazione di un corretto e diretto rapporto di rappresentanza politica, così contraddicendo insieme con la libertà del voto lo stesso principio democratico. A parte i punti censurati – precisa la Corte – la legge elettorale rimane in piedi per le rimanenti parti. D’altronde non potrebbe essere diversamente, visto che le leggi elettorali sono “costituzionalmente necessarie” in quanto “indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali”. Per cui, se per ipotesi si andasse a votare domani, non si avrebbe affatto una reviviscenza del Mattarellum, ma si continuerebbe a votare col Porcellum come corretto dalla sentenza della Consulta: in definitiva, si andrebbe a votare con un sistema proporzionale più spinto, senza premi di maggioranza, ma pur sempre con le soglie di sbarramento attualmente previste, e senza più liste bloccate (con possibilità quindi per l’elettore di esprimere preferenze per uno dei candidati in lista).

Il Parlamento attuale, prima che si vada a nuove elezioni, può dal canto suo legittimamente modificare l’attuale sistema elettorale nell’ambito della sua discrezionalità politica. Contrariamente a quanto paventato da alcuni, la pronuncia della Corte non rende illegittimo l’attuale Parlamento e gli atti che questo abbia o possa in futuro adottare, essendo destinata a produrre i suoi effetti solo a partire dalle prossime elezioni. Questa soluzione – si legge nella sentenza – deriva da due ordini di considerazioni: la prima è legata alla generale efficacia delle sentenze della Corte costituzionale che, anche quando rese (come nella fattispecie) a seguito di un giudizio promosso in via incidentale, non possono pregiudicare i rapporti giuridici “esauriti” (e il processo di formazione delle Camere, come ben si sa, si esaurisce al momento della proclamazione degli eletti); la seconda invece è più direttamente connessa al principio fondamentale della continuità dello Stato e degli organi costituzionali. In tal modo vengono risolti i punti più problematici relativi all’applicazione della sentenza della Consulta, che hanno dato adito a numerose perplessità e polemiche nei giorni passati. L’impressione che se ne ricava è quella di un Parlamento che, seppur formalmente legittimo per ragioni quantomeno di continuità istituzionale, ne esce ciononostante profondamente delegittimato dal punto di vista politico, essendo stato votato sulla base di un meccanismo elettorale che – in contrasto con la Costituzione – non ha consentito ai cittadini di esprimere in maniera libera, diretta ed eguale il proprio suffragio.


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