martedì, gennaio 28, 2014
Quello che state cominciando a leggere oggi, quarantasettesimo anno della Nuova Venuta è propriamente uno scritto conservato e tramandato sino a questo nostro nuovo tempo finalmente di pace. 

di Silvio Foini 

E’ stato scritto da me personalmente in quei tempi bui e fortunatamente lontani affinché ciò che accadde allora venga ricordato nei secoli e nei millenni a venire e sia monito alle future genti che abiteranno la Terra Nuova. Io oggi ho raggiunto una venerandissima età, come mi era stato promesso e, a quanto ne so, ho davanti a me un tempo altrettanto lungo. Chi io sia lo sapete tutti, così pure come conoscete il mio nome. Esso sta scritto nella Casa della Luce, edificata con un sol gesto da Lui quando tornò mantenendo la Promessa. Io sono il Primo con cui parlò e a cui diede le Nuove Chiavi con le quali ebbi il potere di relegare nell’abisso tutto il male che aveva fatto putrefare la Prima Creazione insieme con il suo massimo artefice. Il Demoniaco angelo caduto. Lucifero. Ancora una volta Lui mi chiamò Pietro e ancora una volta io riconobbi in Lui il Maestro.

2021 d.C. mese di gennaio
Avevo da poco compiuti i vent’anni e la mia vita, anche se non la si sarebbe potuta definire felice, scorreva almeno serena. I miei genitori possedevano una modesta attività di ambulanti di abbigliamento e io ne facevo parte. Dopo il disastro provocato dalla gravissima crisi del 2011 - 2012 il mondo faticava ancora a riprendersi. C’era stata l’Europa dell’ambiziosa moneta unica chiamata Euro, crollata miseramente sulle macerie di una economia bislacca cui poi era seguita la disgregazione assoluta. Ogni Stato era dolorosamente tornato a battere la vecchia moneta precedente e troppo in fretta accantonata maledicendo l’inizio di quella che era sembrata una magnifica avventura e invece si era rivelata poi, solo un ben concimato terreno su cui era cresciuta la speculazione dei mercati finanziari. Le nazioni erano entrate nel panico assoluto e si sa che questo è il padre di ogni catastrofe poiché annulla la logica della ragione. Aveva dapprima iniziato a vacillare l’economia della Grecia seguita a ruota da quella dell’Italia, della Spagna e del Portogallo. La Germania, certa di potersi salvare dal tracollo, si era chiusa nella fortezza della solitudine sbarrando le sue porte al resto del mondo ma poi aveva miseramente seguito la sorte altrui. Erano nati anche dei conflitti, seppur di breve durata e natura fra gli ex componenti dell’Europa dell’euro. Di breve durata fortunatamente, ma questa non era stata dettata dal buon senso ma bensì dalla scarsità di finanze. Si sa, le guerre costano un sacco di soldi, quindi...

Tuttavia l’Italia esisteva ancora e si reggeva meglio di altre ex nazioni. Le antiche migrazioni dal sud al nord della penisola avevano cementato un popolo con i matrimoni e le parentele e questo già di per se stesso era un legame di appartenenza a qualcosa che non voleva morire. La Chiesa inoltre era ancora la forza che maggiormente era stata capace di realizzare aggregazione. Questa la situazione creatasi una decina d’anni dopo il tracollo finale. Confusa e incapace di ricreare qualcosa di nuovo. Questi i miei vent’anni dunque.

Quel mattino di gennaio del 2021, al risveglio mi ero ritrovato preda di una stizzosa tosse che non si era placata nemmeno dopo aver assunto del latte caldo con del miele. Mia madre non se ne era preoccupata punto. “Sicuramente con il temporale che c’è stato ieri al mercato di Stresa ti sei buscato un bell’accidente. Te lo dico sempre di metterti il maglione di lana sotto il giaccone di piuma ma tu, il mio super uomo, dici che non hai mai freddo: eccoti servito. Stamattina rimarrai a casa. Io e tuo padre ce la caviamo anche da soli. Tanto per quel poco che si vende...”

Già, per quel poco che si vendeva! La gente non aveva più soldi quasi nemmeno per il pane, figurarsi se li aveva per un abito o per una maglia nuova. Trascorsero giorni e notti in cui quella asfissiante tosse non mi lasciava mai. A volte faticavo persino a trarre il respiro.
Alla fine si decise che un sanitario mi visitasse e trovasse la causa e poi la cura. Mi ero spaventato qualche giorno prima: avevo sputato sangue e provavo un forte dolore alla gola, irritata com’era da quella squassante tosse insistente e in più, la mia voce, di solito limpida, si era fatta roca e profonda. Sentivo che dentro me c’era qualcosa di insolito, qualcosa che non andava. Il sanitario che si occupava di una vasta zona del nostro territorio, quello che sino a pochi anni prima aveva avuto nome Lombardia, compiva un giro di visite settimanali. Non esisteva più la sanità come un tempo, un tempo che tuttavia non potevo ricordare bene. La crisi aveva spazzato via servizi sociali una volta considerati indispensabili fra cui anche le condotte mediche. Ci si doveva accontentare, dicevano. Come nell’ottocento.
Era un sabato mattina quando il sanitario visitandomi, auscultò i polmoni, ispezionò a fondo la gola arrossata e mi fece, seduta stante, un esame del sangue con il nuovo apparecchio scoperto di recente da un ricercatore di Pisa, un brillante giovane medico. Quello che lesse sul foglietto stampato dallo strumento non lo convinse affatto. “Dobbiamo indagare ulteriormente – Affermò scuotendo il capo con una smorfia di disappunto sul viso. – Occorrerà una diagnostica per immagini... Dovrete venire a Milano fra una settimana. Vi prescrivo subito l’esame e fisso già da adesso la data e l’ora. Devo vederci chiaro.”
Va da se che la preoccupazione e l’ansia entrarono nella mia famiglia. Cosa potevo avere? Non ero mai stato ammalato da quando ero venuto al mondo. Per conto mio invece non posso dire di essermi mai preoccupato più di tanto. Cosa avrei perso eventualmente morendo?


Mi rattristava al più il dolore in cui avrei lasciato i miei genitori. Il mondo, così com’era, non mi piaceva: non avevo ancor dato un senso alla mia giovane vita. Si, c’era quella ragazza di origine rumena che abitava a Meina, l’altra sponda del lago e che ogni tanto incontravo sui mercati essendo a sua volta figlia di altri ambulanti che vendevano attrezzi per agricoltura, ma era solo un’amicizia superficiale. Amicizia che avrei desiderato approfondire. Purtroppo c’era l’impedimento della distanza. Io non possedevo un’auto e nemmeno un motorino: cose da ricchi, per cui come fare per raggiungere Meina? Lisanza, il piccolo paese in riva al lago Maggiore, dove risiedevo con la mia famiglia distava quasi una cinquantina di chilometri.

Naturalmente ora non seguivo più i miei genitori nel loro continuo girovagare per i mercati cercando di racimolare il necessario per vivere. Verso le dieci di mattina, anche se faceva molto freddo, andavo in riva al mio lago per respirare l’aria fresca che, sola, concedeva tregua alla mia perpetua tosse. Sembrava un buon rimedio. L’avevo scoperto casualmente. Così, anche in quella mattina del dieci di gennaio mi trovavo a camminare sul bagnasciuga ghiaioso e osservavo la superficie del lago appena increspata dalla brezza. Là in fondo potevo scorgere avvolta da una sottile nebbiolina, la sagoma massiccia della Rocca Di Angera. Antico fortilizio medievale dei signorotti dell’epoca da cui si poteva osservare tutto il lago Maggiore e difendersi per tempo da orde di malintenzionati assalitori. Mi avevano anche detto il nome del loro casato ma lo avevo dimenticato.
Camminavo immerso nei miei pensieri allorché scorsi, seduto su di un masso prospiciente la riva del lago un ragazzo che stava pescando. Non credevo di averlo mai incontrato prima d’allora. Noi a Lisanza, ci conoscevamo tutti. Mi avvicinai a lui e lo salutai:

“Buongiorno. Si pesca qualcosa? – Domandai tanto per scambiare due parole. – Dicono che il lago sia tornato pescoso da quando hanno chiuso le aziende che ci scaricavano dentro di tutto.” “Ciao. – Rispose sorridendo. – Qualche alborella, ma con fatica. Per pesci persici o lucci non è stagione.”
“A bhé sai io non me ne intendo e anche se abito qui in paese non sono mai stato attratto dalla pesca. Ma forse un giorno ci vorrò provare. Magari mi potrebbe piacere e potrei portare qualcosa da mangiare a casa invece delle solite cose. Come ti chiami? Sei di queste parti?” Domandai avvicinandomi a lui. “ Chris. Ma non sono di qui vicino.” Rispose distogliendo appena lo sguardo dalla superficie dell’acqua dove il galleggiante di sughero dipinto di rosso aveva dato un piccolo segnale di abboccata. “Io sono di là.” Disse indicando un punto non specificato con la mano sinistra.
Poi seguitò. “E tu come ti chiami?”
“Un nome comune. Mi chiamo Pietro e se non fosse per questa tosse che mi sta rovinando l’esistenza ora dovrei essere sul mercato di Lesa con i miei. Mah, che vuoi fare!”
“Quale tosse?” Non hai ancora tossito una volta da che sei arrivato.”
“Mi capita spesso di stare meglio quando sono qui al lago. Strano no?”
“Non tanto Pietro. L’aria pura e fresca a volte è un toccasana. Vienici più spesso.”
“Ci verrai anche tu, qualche volta?” “Perché no? Ti posso insegnare a pescare se vorrai. Ora devo andare. Ti lascio questi pesci così tua mamma domani li preparerà e mangerete una cosa diversa dal solito. Tieni Pietro.” Cercai di rifiutare quel piccolo dono ma lui insistette. “Ci vediamo domani?” Mi domandò con una luce gioiosa nei begli occhi azzurri. “Domani no. Devo andare a Milano per fare dei controlli, dei raggi, roba del genere, per veder cosa cavolo ho nei polmoni. Però posdomani potrò venire ancora sulla riva. E tu ?” Chris rispose affermativamente e ci stringemmo la mano. “A dopodomani allora Pietro. Ciao!”
Prese la strada che dalla spiaggia saliva verso il paese. Lo stetti ad osservare finché svoltò dietro la curva.
“Che strano ragazzo – Pensai guardando i pesci che aveva catturato e che stavano dentro il sacchetto di plastica. – Non sono mica pochi! - Constatai sorpreso. – Ce ne sono in abbondanza per noi tre. Mamma sarà contenta. Però, pescare: non deve essere tanto male. In più hai roba buona da mettere sotto i denti.”
Tornando verso casa notai che non avevo nemmeno un colpo della solita maledetta tosse. Quella notte, la precedente al giorno dell’esame a Milano, riposai finalmente per diverse ore di fila.

Entrai, accompagnato da mio padre, nel grande centro sanitario olistico e la mia attenzione fu attratta dalla moltitudine di persone sofferenti che ne affollavano l’atrio in attesa che un numerino lampeggiante indicasse il rispettivo turno.
Mi parve di avvertire l’enorme peso di quella valanga di sofferenza. Su molti di quei volti tirati e spaventati potevo leggere la disperazione. Sensazione orribile che mi lacerò l’anima e mi fece sentire una nullità assoluta. Ma del resto pensai che anch’io facevo parte di quegli esseri e che non avrei potuto fare nulla per loro. In quel mentre scattò un numero. Il mio. Non avrei davvero pensato di sbrigarmela tanto in fretta.
“Tu resta qui papà. – Dissi con un tono che non avrebbe ammesso repliche. – Entro da solo tanto poi ci diranno qualcosa. A dopo.” Lo specialista mi fece sdraiare su un lettino metallico coperto da un lenzuolino di carta e passò alla visita generale quindi mi chiese di alzarmi e prendere posizione sotto un complesso macchinario che cominciò, ronzando, a passarmi su tutto il corpo soffermandosi poi alla zona polmonare ed al capo. Terminata quell’indagine il sanitario disse: “ Ora si alzi e si rivesta intanto che stilo il responso della T.A.C.”
Eseguii e mi sedetti davanti alla scrivania bianca e attesi che il referto fosse compilato.
Me lo porse con un’espressione poco rassicurante. “Lei capisce quel che c’è scritto?” Lessi titubante. “... nel distretto polmonare si evidenziano nettamente formazioni neoplastiche riferentesi a probabile carcinoma sviluppatosi in zona mediastinica e inoperabili con le metodiche correnti. Si invia al locale distretto ospedaliero dell’ospedale circondariale per le terapie oncologiche del caso.” Seguiva la firma del relatore. “Tumore?”
“Purtroppo si. E di una massiccia estensione. Lei fuma?”
“Mai fatto in vita mia. A casa non fuma nessuno. Da che cosa è derivata questa malattia?” Chiesi rassegnato. “Probabile forma da inquinamento ambientale. La causa va cercata nelle fughe di radioattività fuoruscita negli anni da quella centrale atomica che ha devastato il Giappone nel 2011. Ne ha sentito parlare?”
“Non ricordo esattamente. All’epoca avevo solo dieci anni. Comunque per quanto ne avrò ancora? Si, voglio dire quanto mi resta da vivere?” Il mio interlocutore sospirò stringendosi nelle spalle. Si vedeva che era molto dispiaciuto per me. “Chi può dirlo? – Rispose annotando qualcosa sul registro delle visite. – Mesi, forse un anno. Comunque vada al suo ospedale e segua le cure terapeutiche del caso poi si vedrà. Le faccio tanti auguri di cuore ragazzo mio e si ricordi comunque che sin che c’è vita c’è speranza. Auguri.”
Mi congedò stringendomi la mano con un sorriso di cui non lo avrei creduto capace.
- Ecco – Pensai mentre percorrevo il lungo corridoio verde che portava al salone delle attese. – La mia esistenza si fermerà fra poco e lascerò nel dolore la mia famiglia. Questo il mio cruccio più vero. Come farò a dirlo a mamma? Papà è più forte ma lei...”
“Allora Pietro?” Disse mio padre alzandosi dalla sedia sulla quale mi aveva atteso con ansia comprensibile.
Lo guardai sentendomi morire dentro. Come dire quella verità tanto crudele?
“ Non tanto bene. – Esordii tristemente. – Ho una brutta malattia ai polmoni e sarà difficile curarla. Andrò a Varese, in ospedale per tentare qualcosa. Comunque la mamma non deve saperlo. Le diremo che è una brutta polmonite. Inutile farla soffrire prima che sia tempo. D’accordo?”
Lui non rispose. Mi guardava fisso mentre due grosse lacrime scendevano sul suo bel viso cotto dal sole e dalle intemperie quotidiane. Mi abbracciò forte sussurrando: “Pietro! Pietro!” Lungo tutto il viaggio di ritorno da Milano nessuno dei due parlò. Il nostro furgone rosso con la scritta bianca del nome della ditta percorse le strade semideserte con la solita lentezza e con il suono di quel suo motore ormai sfinito dai chilometri quindi si arrestò nel piccolo cortile di casa. Mamma corse fuori e ci si fece incontro. Nonostante la nostra intenzione comune di tacerle, almeno per il momento, la verità lei avvertì immediatamente il nostro disagio. Pianse abbracciandomi stretto poi alzò gli occhi al cielo in una muta preghiera.
“Non morirai Pietro. Non succederà. Guarirai presto. Io lo sento. Coraggio, siamo una famiglia e lotteremo con tutte le nostre forze.” Non so perché ma io e anche mio padre ci sentimmo rinfrancati da quelle affermazioni. Poteva anche avere ragione.
Si telefonò all’ospedale di Varese e ci venne stabilito il tempo per il ricovero di lì a un mese. Tempo ne avevo quindi. Anche di morire. La Sanità già disastrata ai tempi dell’inizio crisi ora era quasi al lumicino e lo sapevamo tutti. La notte che venne fu per me una vera tribolazione. La tosse era ricomparsa in pompa magna e ormai ero a conoscenza del perché della sua insistenza ed ero anche conscio che, passando il tempo, sarebbe andata sempre più peggiorando. Poi ricordai che il mattino seguente avevo un appuntamento col mio nuovo amico, quel Chris che mi aveva regalato i pesci. Avevo desiderio di rimanere in sua compagnia: gli avrei detto del responso clinico, avremmo parlato di pesca... aveva detto che mi avrebbe insegnato i rudimenti di questo sport che aveva comunque suscitato il mio interesse. Per quel che sarebbe servito poi l’apprenderli o meno non aveva importanza ma intanto non avrei seguitato a pensare a quel che mi stava per accadere.
Uscii di casa e mi colpì immediatamente il rigore del gelo. Forse Chris non sarebbe venuto a pescare. Il lago era quasi ghiacciato per buona parte della superficie. Camminai verso il masso e in quel momento lo vidi giungere a propria volta. Mi sembrava più alto... non lo ricordavo così. Camminava sfiorando il terreno con quella sua lunga canna di semplice bambù stretta nella mano. Mi vide e agitò la mano in un cenno di saluto.
Poco dopo mi diede un buffetto sulla spalla. “Sei venuto anche tu vedo.”
“Certo, non ci eravamo dati appuntamento per una lezione di pesca?” Risi felice.
“Oh, non me ero certo dimenticato. Come è andata a Milano?” Si informò con un’espressione fattasi seria sul bel viso.
“Lasciamo perdere Chris e parliamo di pesca.” Le mie parole furono seguite da una violenta crisi di tosse.
“No, dimmi per favore, che ti hanno detto?” “ Nulla di buono. Ho un cancro inoperabile ai polmoni e mi rimane poco tempo da vivere ma non me ne importa molto. Spero solo che dove andrò dopo si stia meglio che di qua.” Chris sorrise scuotendo il capo ricciuto. “Per il fatto di star meglio, se sei stato una brava persona, questo è assicurato ma credo che prima che tu oltrepassi quella porta, di tempo ne abbia a passare moltissimo. Tu credi davvero nel paradiso?”
“Certo! – Risposi con entusiasmo. – E’ la mia speranza dopo questa specie di vita. Poi dicono i preti che si incontrerà Dio e tutti gli altri cui hai voluto bene... Pensa che bello sarà ritrovare i nonni che mi hanno cresciuto e sono morti, quel mio amico che è annegato sei anni fa proprio qui davanti. E poi sai, sono curioso di vedere Gesù. Vedere se è davvero alto e biondo con gli occhi azzurri e se ha ancora i segni dei chiodi. Si, io credo.”
Chris sorrise, lasciò cadere a terra la canna di bambù e mi abbracciò.
“Sei un caro ragazzo sai? Mi spiacerebbe tanto vederti morire quindi voglio aiutarti a vivere. Hai fede in Dio?”
“Te lo ho appena detto. Tanta. E tu?”
Chris scoppiò in una bella risata e batté le mani piegandosi in due.
“Perché ridi? Cos’ho detto di strano?”
“Invero nulla Pietro. Nulla di strano. E’ il modo in cui l’hai detto che mi ha colpito. Poi dicono che la gente non crede più al soprannaturale né al divino. Ascoltami bene ora e non prendermi per un pazzo senza cervello. Adesso io comincerò a camminare sul ghiaccio di questo lago e tu mi sarai al fianco. Te la senti?”
Lo guardai allibito. “E se si spezza? Annegheremo come due imbecilli! Ma poi, perché?”
Mi fissò negli occhi un lungo istante. In essi scorsi una luce infinita e buona e dentro me sentii che dovevo seguirlo. Al massimo sari morto qualche tempo prima del dovuto, mi dissi. “Andiamo Chris ma prima fammi togliere il giaccone.”
Lo feci e mi stupii di non provare freddo. La tosse mi stava concedendo una tregua.
Mosse i primi passi e io lo imitai portandomi giusto al suo fianco.
“Vedi fifone di un Pietro che il ghiaccio regge? Continuiamo questa passeggiata. Non trovi sia bella?
Risi felice. “E’ stupenda, quasi come camminare sull’acqua. Guarda sotto: si vedono pure i pesci e il fondo con le alghe. Non ho paura Chris, andiamo in mezzo al lago, dai.” E così camminando tranquillamente ci trovammo molto distanti dalla sponda da cui eravamo partiti. Non tossivo più, sentivo l’aria gelida affluire nel mie polmoni come non capitava da tempo ed ero estremamente gioioso.
“Grazie di questa bella trovata Chris. Non so come ringraziarti!”
“E di che Pietro? Cosa c’è di strano nel camminare sul ghiaccio? Lo potrebbe fare chiunque. Ma se fosse acqua?”
“Sarebbe impossibile. A memoria d’uomo pare l’abbia saputo fare solo Gesù sul suo lago.” Risposi sorridendo. “E tu Pietro sei sicuro di non poterlo fare?”
“Che discorsi! Non son certo Gesù!” Risposi scherzando mentre seguitavo a camminare accanto a quel mio nuovo strano amico. Improvvisamente mi resi conto che dell’acqua si stava infiltrando nelle mie scarpe ed era quanto mai gelida. Guardai i miei piedi e rimasi terrorizzato da ciò che vidi. Il ghiaccio non c’era più. Stavamo entrambi camminando sull’acqua. Pensai di essere impazzito, che qualche metastasi partita dai polmoni avesse raggiunto il cervello. Chris stava osservandomi soddisfatto e faceva cenni d’incoraggiamento col capo. Tutto ad un tratto il mio terrore scomparve. “Gesù! – Gridai con quanto fiato avevo in gola. – Sei venuto a prendermi! Ma certo! Chris! Cristo!” “Ora, dato che ci siamo, fatti anche un bel bagno!”
Mi gridò allontanandosi.
Sprofondai nelle gelide acque che mi mozzarono il fiato. Giù, sempre più giù... Non avevo timore: Lui mi avrebbe tratto in salvo. Non avrei mai aver voluto fare la figura del mio omonimo sul lago di Tiberiade!
Infatti riemersi dalle profondità del lago con la velocità di un pesce: Lui stava lì fermo in piedi con l’acqua che gli carezzava le caviglie. “Avanti Pietro, dammi la mano ed esci di lì.”
Presi quella mano e i miei occhi scorsero una brutta ferita all’altezza del polso. I chiodi della Croce! La baciai con infinito trasporto. “Grazie Gesù! Grazie di essere venuto da me.” Mi guardò con infinita dolcezza: in quegli occhi tutta la luce del creato.
“Sono sempre stato accanto a te. Da ancor prima che tu nascesti.”
“Perché io mio Signore?” Balbettai attonito nell’udir quelle parole.
“Perché tu sei Pietro ed ancora una volta su di te io fonderò il mio regno. Sei un giovane che ha sempre creduto in me, che mi chiamava perché voleva conoscermi, perché non mi hai mai pregato per salvarti la vita ma ti sei preoccupato del dolore degli altri che ti amano. Ti bastano queste ragioni o vuoi che seguiti Pietro?”
“Bastano... Chris o Gesù? Come devo chiamarti mio Signore?”
“Va bene Chris. Ora io ti comando di guarire dalla malattia con cui ti ho messo alla prova e ti comando inoltre che tu non parli con alcuno di me né che tanto meno mi sveli. Il tempo è vicino ma non è ancor giunta l’ora mia.”
“Ora che sei tornato il mondo diverrà migliore e tutto si sistemerà vero?”
“Io mantengo la Promessa: Il figlio dell’uomo verrà nella sua gloria assiso sulle nubi e giudicherà i vivi e i morti Pietro.

Io distruggerò questo mondo perverso e ne farò uno migliore.”
Non riuscivo a credere alle mie orecchie.
“Distruggerai il creato dunque? Riserverai la terra solo ai giusti come credono i testimoni di Geova?”
“No, non così. Tu sarai testimone di avvenimenti che muteranno tutto quanto ma che ora non devi sapere. Sarai ancora una volta il mio primo apostolo e a te riconsegnerò le chiavi del regno. Vuoi aiutarmi ancora una volta Pietro?”
“Io sono servo Tuo Chris e farò tutto ciò che mi ordinerai. Lo sai.”
“Bene allora. Ora usciamo dall’acqua. Freddina stamattina eh?”
“Ghiacciata direi! Ma dimmi, sono guarito per sempre dalla malattia?”
“Naturale Pietro.”
Gesù mi stava parlando come quando l’avevo incontrato per la prima volta, mentre era intento a pescare sulle rive del mio lago. Come un ragazzo qualunque. Adesso era tornato ad essere semplicemente Chris, il mio nuovo divino amico ed io che non avevo mai pescato in vita mia ero in procinto di diventare forse pescatore di uomini. Non avrei dovuto dire a nessuno chi Lui fosse se non un nuovo inseparabile meraviglioso amico sino a quando... Quel memorabile giorno volgeva al termine. Chris mi accompagnò a casa ed entrò, invitato da me, a conoscere i miei genitori. Mamma lo ringraziò per i pesci che ci aveva regalato e gli chiese di rimanere con noi per la cena. Lui accettò di buon grado. Stavo aspettando che spezzasse il pane... Lui mi guardò sorridendo e mi strizzò l’occhio. Fu mio padre a compiere quel sacro gesto e poi ci accingemmo a mangiare.
Si parlò del più e del meno, di come andava il mondo, della gente che era diventata malvagia e di tante altre cose correnti. Mio padre chiese che lavoro facessero i suoi genitori ed Egli spiegò che avevano una piccola falegnameria nei dintorni di Verbania, a Suna per la precisione e che, come per tutti, le cose andavano sempre peggio. “Presto forse cambieranno. – Aveva ribattuto serenamente Chris. – Bisogna dare tempo al tempo ma cambieranno.”
Dicendo queste parole mi lanciò uno sguardo eloquente. Per ora, solo Lui ed io sapevamo che il mondo sarebbe stato diverso. La fine dei tempi stava per giungere. Si era fatto tardi. Mio padre chiese a Chris con che mezzo fosse giunto a Lisanza. Verbania non stava davvero dietro l’angolo. Lui rispose che aveva lasciato la sua bicicletta al deposito del lago.
“Allora telefona a casa tua. I tuoi genitori ti staranno aspettando e noi non vogliamo restino in pena. Digli pure che stanotte dormirai qui con il tuo amico poi domattina ti carico la bicicletta sul furgone e ti riaccompagneremo noi a casa. Guarda caso facciamo il mercato a Fondotoce. Sai bene dov’è: due passi da Suna di Verbania. Va bene?” “Grazie signor Mario. Ne approfitto e chiamo subito casa. Pietro vuoi farmi tu il numero?” Sobbalzai sulla sedia su cui stavo seduto: e se avesse risposto Sua Madre? “Va bene Chris, andiamo di la.”Risposi. Ero riottoso a comporre quel numero ma Chris mi disse: “Tanto prima o poi dovrai conoscerla e incontrarla. L’hai pregata così tanto e adesso ne hai timore?” Composi il numero. Continua...


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