domenica, novembre 10, 2013
Presentata al vescovo di Rimini la documentazione sulla “fama di santità”  

Radio Vaticana - E’ stata consegnata nei giorni scorsi al vescovo di Rimini, mons. Lambiasi, la richiesta formale di avvio della causa di beatificazione di don Oreste Benzi, il fondatore dell’Associazione comunità Papa Giovanni XXIII. A comunicare questo atto, a sei anni dalla morte del sacerdote, avvenuta la notte tra il 1 e 2 novembre 2007, la stessa comunità il cui presidente - dopo don Benzi - è ora Giovanni Ramonda. Ma che cosa rappresenta questa richiesta subito accolta dal vescovo? Fabio Colagrande ha sentito lo stesso Ramonda: ascolta

R. - E' intanto una grande gioia non solo per la Comunità Papa Giovanni, ma per tutta la Chiesa, per i tanti uomini e donne di buona volontà che hanno incontrato don Oreste, soprattutto i tanti poveri. È un dono grande che la Chiesa abbia fatto sua questa richiesta, questo itinerario che speriamo possa portare a riconoscere le virtù eroiche di questo sacerdote della tonaca lisa, che ha consumato la sua vita girando tutte le nostre comunità in tutti i continenti e soprattutto incontrando, abbracciando, ascoltando i più poveri e amandoli fino alla fine.

D. - C’è qualcosa ancora da scoprire per quanto riguarda la figura di don Oreste Benzi?

R. - Penso che don Oreste, pur avendo girato molto, poche persone lo abbiano conosciuto. Oggi il compito nostro - e forse anche della Chiesa - è quello di farlo conoscere, soprattutto la sua vita, i fatti. È il tesoro della sua spiritualità: questo uomo che lavorava quasi venti ore al giorno, dormiva in macchina … Il cuore era in intima unione con Dio, una vita di preghiera e questo lo mandava proprio a queste periferie esistenziali con i più poveri. Ci richiamava sempre per stare in piedi, perché appunto con i poveri bisognava stare in ginocchio e con il Signore.

D. - Per stare in piedi, bisogna stare in ginocchio. Questo è un riconoscere la carne di Cristo nelle persone più bisognose, è un tema molto presente nel magistero di Papa Francesco …

R. - Sì, riconoscere Cristo nei poveri, nei sofferenti e soprattutto riconoscere che nel popolo di Dio le membra più deboli sono le più necessarie. Per don Oreste questa realtà era vivissima: i poveri non possono essere solo coloro che sono più oggetto di assistenza, ma devono diventare i protagonisti della storia e della vita della Chiesa, e anche il punto di ripartenza per l’unificazione del genere umano. Anche in questa crisi epocale ,soprattutto culturale, di valori, il ripartire dagli ultimi può essere un punto unificante che ridarà forza, speranza anche giustizia ad un mondo che non sa più riconoscere gli altri come fratelli. Questa visione anche teologica di Papa Francesco era molto presente in don Oreste.

D. - A sei anni dalla scomparsa del suo fondatore le varie comunità continuano ad avere la necessaria vitalità? Questo ovviamente è un problema che hanno tutte le realtà, le comunità che devono portare avanti l’eredità del loro fondatore …

R. – Paradossalmente, ma come accade un po’ nella storia della Chiesa, con la morte del fondatore, c’è come un’esplosione del carisma, prima di tutto perché il fondatore è presso Dio e lo stesso don Oreste diceva: “Quando io sarò arrivato continuerò ad assistervi. Vi spronerò sempre”. Questo carisma si sta diffondendo non solo nelle centinaia di diocesi italiane, ma anche nei cinque continenti: siamo in Nepal, stiamo facendo i passi per aprire la nostra casa- famiglia a Baghdad, in Grecia a Patrasso per accogliere i minori, i profughi non accompagnati, il poliambulatorio gratuito per gli immigrati qui a Rimini, l’albergo solidale per le famiglie che si trovano in strada … C’è una vitalità che è nel dna del carisma.

D. - Possiamo dire che adesso che si sta aprendo la via verso la beatificazione di don Oreste Benzi, il suo mandato come successore si fa ancora più "pesante"?

R. - Io colgo la distanza abissale tra la mia persona e la sua, però ho tanta fiducia, perché ho coscienza che c’è un mandato del Signore, della comunità ed io quando è morto don Oreste ho detto che era il tempo della comunità, era il tempo della responsabilità. Posso dire che dopo sei anni questo si è attuato, ma possiamo fare ancora di più in questo donarci totalmente ai poveri come faceva don Oreste.


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