domenica, novembre 10, 2013
Genitori alla scoperta del nuovo campo di emigrazione della figlia

di Renato Zilio

“Ne siamo orgogliosi, sì orgogliosi!”: la mamma di Laura lo dice come in un grido. Con veemenza ne sottolinea l’aggettivo. L’orgoglio, l’onore, fanno parte dei cromosomi della gente siciliana. Qui lo si sente, a giusta ragione, in una persona pur calma come una convinzione forte. Per una figlia che è partita dal Sud e - nonostante ami una terra che le manca - ha saputo rinascere in terra straniera. A Londra.

Così, dopo mesi di attesa, sono risaliti dal catanese, da un paese alle falde laviche dell’Etna in riva al mare, per ricadere nel calderone multiculturale di una vera metropoli. Precisamente in un vulcano umano di culture, lingue e religioni differenti. Ma sono venuti per ritrovarla. Per vedere con i loro occhi in che mondo lei stessa coltivi delle opportunità di crescita professionale.

Laura, ventisette anni, un bel casco bruno di capelli, profilo dolce, sguardo vivo e intelligente, è arrivata in terra inglese quasi un anno fa. Studia e lavora allo stesso tempo, vivendo all’ostello Scalabrini, un’oasi di pace quasi completamente italiana, se non fosse per Alison, la responsabile caraibica di colore, ma con un fluently italiano. Così, la giovane siciliana ha imparato da Oscar Wilde che “l’esperienza è l’insegnante più difficile: prima ti fa l’esame, poi ti spiega la lezione”.

Spesso era andata brevemente all’estero, spinta dai genitori, per un corso di inglese. Ma di ritorno a Catania ripeteva sempre lo stesso ritornello: “Io mi sento una cittadina del mondo!”. Quasi per dire ad alta voce che il paese le stava stretto. “Il malcontento é il primo passo verso il progresso” ricorda qualcuno. E così, appena laureata in Economia, partì. Ne è felicissima, ora. Tuttavia, dopo un duro combattimento degli inizi. “Struggle is my life”(La lotta è la mia vita )potrebbe ripetere con Mandela. Rinascere, costa, anche fino al pianto. Solo, così, si diventa l’orgoglio di una mamma siciliana. “Quelle come me guardano avanti – direbbe con Alda Merini - anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro”.

In questa manciata di giorni passati assieme, i genitori vi diranno che non si sentono affatto dei turisti. Pur cambiando mondo, hanno la fortuna di scoprire piacevolmente qualcosa di sconosciuto con una guida di eccezione: la figlia. Sono entrati, in questo modo, nel cuore stesso di una cultura, di una mentalità. E se ne sono quasi innamorati. Perchè da noi, come constata un autore, “spesso confondiamo il dovere con ciò che compiono gli altri e non ciò che noi stessi dobbiamo compiere”.

Così, un mattino, si presentano a colazione con gli occhi gonfi dal sonno. E vi raccontano la meraviglia... come una notte passata a teatro: sono rimasti appesi ai vetri della finestra per contemplare il lavoro notturno di giganteschi macchinari nel rifare interamente l’asfalto della strada principale davanti a noi, strappando via quello vecchio. E tutto questo in una sola notte! Alle sette, il traffico riprendeva come se nulla fosse accaduto. “Da noi ci vuole una settimana solo per mettere giù la segnaletica dei lavori...” protestava il padre. “E per mesi ci teniamo delle strade piene di voragini!” incalzava la moglie.

Osservano, guardano, paragonano. Sanno interrogarsi anche sulla nostra civiltà, il nostro stile di vita. “Abbiamo cementificato tutto, costruendo dappertutto in Italia! - lamentano, affascinati dai bei parchi della metropoli e dagli square verdi e curatissimi - Da noi gli spazi pubblici sono trascurati, quasi abbandonati!”. Sottolineano poi il culto per l’auto in Italia: “I nostri vicini sono in quattro e hanno quattro macchine! Ma questa non è civiltà...”. Guardano il traffico intenso londinese, nessun clacson, non trovano lo smog che temevano, si godono i bus rossi puntualissimi e frequenti, e sentono la gente ben integrata, sempre disponibile ad aiutare. “Anche da noi si accoglie chi viene - ti precisano - ma non si sa nessuna lingua, non si sa parlare loro. L’inglese è il mondo!” . E senti l’orgoglio di abitare per qualche istante il mondo, per davvero. Viene in mente quel giovane scrittore: “La cosa più difficile a questo mondo? Vivere! Molta gente esiste, ecco tutto”.


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