giovedì, agosto 22, 2013
Figli e basta. Questo in sintesi il significato della equiparazione tra figli legittimi e naturali stabilita da un recente schema di decreto legislativo, insieme ad una nuova visione della "responsabilità" dei genitori.  

Città Nuova - Stavolta ci siamo. Nonostante qualche mese fa fosse stata già emanata una legge delega (la n.219/20132) per l'introduzione del nostro ordinamento di tutti i princìpi, le regole, le modifiche e le integrazioni delle norme attualmente in vigore, e necessarie a realizzare quella che è stata definita – anche dai mass media – una vera e propria rivoluzione copernicana (l’equiparazione dei figli naturali a quelli legittimi), solo in questi giorni si è appreso di uno schema di quello che sarà un (primo) decreto legislativo attuativo della materia.

Il concetto è semplice: ora tutti i figli hanno uno stesso stato giuridico. Non ci sono più distinzioni – a qualsiasi effetto – tra figli nati "nel" o "fuori" dal matrimonio.

Nonostante, infatti, la rilevanza di tali distinzioni su un piano concettuale fosse già da un po’ di tempo metabolizzata nel comune sentire (in quanto c’è da dire che la coscienza civica e popolare si adegua molto spesso al buon senso e alla logica naturale delle cose di quanto non faccia il "sistema"), restavano scolpite nella roccia differenze di trattamento e di "qualificazioni" (con pesanti ricadute anche sul piano economico-giuridico e prima ancora su quello psicologico) tra queste due categorie di figli.

Una sola per tutte: tra il figlio "naturale" e la famiglia del genitore non si costituiva finora mai alcun rapporto di parentela, in quanto l’unico rapporto rilevante era quello intercorrente tra il genitore e il figlio, sicché questi "sulla carta", pur potendo avere zii, nonni o fratelli/sorelle naturali, di fatto era come se non li avesse; e addirittura qualche tempo fa era dovuta intervenire la Corte costituzionale stessa a dire che un fratello naturale (di un defunto) poteva succedergli (anche se all’ultimo gradino della scala, dopo tutti i parenti "legittimi" eventualmente esistenti fino al sesto grado!) prima dello Stato (cui altrimenti i beni non ereditati vengono attribuiti per legge).

Sarà pertanto ora possibile che anche il nipote "naturale" del defunto (deceduto senza discendenti) possa acquisire la sua eredità in luogo e nel grado del suo ascendente (fratello "naturale" del defunto), magari premorto o che non abbia voluto accettare l’eredità a lui devoluta in prima battuta: e ciò per il semplice motivo che, a differenza della disciplina previgente, ora è previsto, come si accennava, che il rapporto di parentela si stabilisca tra il figlio "naturale" e tutta la famiglia cui appartiene il genitore, consentendo così al primo di venire alla successione dello zio "naturale".

Inoltre, in base alla disciplina previgente, i figli legittimi avrebbero potuto ‘commutare’ (e cioè convertire) in danaro la quota di eredità spettante a quelli naturali, senza che questi avessero potuto opporre alcunché: cosa che adesso non sarà più possibile.

Ma il ‘nuovo’ vento legislativo in materia arreca un forte cambio di ‘prospettiva’ anche in un’altra direzione: trasforma infatti la soggezione dei figli (quali che siano, ormai) alla vecchia ‘potestà’ dei genitori nell’obbligo che questi vanno ad assumere di esercitare la ‘responsabilità genitoriale’. Non si riguarda più il rapporto genitori/figli dalla prospettiva della incombente potestà dei primi da esercitare nei confronti dei secondi, quanto da quella degli obblighi di mantenimento, di educazione, di istruzione e di sostegno cui sono esposti i genitori, in quanto tali, e ciò a prescindere da un limite temporale (come invece finora poteva essere il raggiungimento della maggiore età dei figli).

Inoltre viene dato molto più spazio all’“ascolto del minore” (anche dodicenne se del caso o comunque in età tale da esprimere quella capacità di discernimento liberamente valutabile dal giudice che sia chiamato ad interpellarlo) se si tratta di procedimenti che lo riguardino o che, pur riguardando i genitori, necessariamente lo coinvolgano; e alla possibilità (e al diritto) di costruire e mantenere rapporti – dice lo schema del decreto legislativo – significativi tra gli ascendenti e i nipoti minorenni, potendo, in caso di impedimento all’esercizio del diritto, ricorrere anche al giudice per l’adozione dei provvedimenti ritenuti più idonei nell’interesse del minore.

Certo, sembra eccessivamente formalistico relegare ad una norma di legge un diritto dell’ascendente ad avere un rapporto significativo con il minore, ma tant’è: la filosofia perseguita sembra essere quella per cui è meglio affermare e consacrare anche su di un piano normativo ciò che dovrebbe trovare causa e fondamento nella sfera degli affetti e dell’emotività piuttosto che rischiare di lasciare solo alla pura occasionalità e alla mera concessione altrui la cura di questo profilo non trascurabile dei rapporti relativi a qualsiasi famiglia allargata. Infine ampio risalto viene dato all’elemento importante della bigenitorialità, sempre più distaccandosi dal retaggio di un modello culturale fondato su una sorta di prevaricazione della sola autorità paterna rispetto a quella materna.

Ora i genitori di comune accordo dovranno stabilire la residenza abituale del minore (ciò soprattutto al fine di scongiurare la piaga della sottrazione internazionale dei minori per volontà unilaterale di uno solo di essi); in caso di riconoscimento di un figlio nato fuori dal matrimonio, la responsabilità genitoriale verrà esercitata da entrambi i genitori, prescidendo dall’elemento (prima invece determinante) della convivenza con il minore, di guisa che i rapporti tra i genitori non abbiano ad influire su una gestione in ogni caso concertata tra di essi dei compiti ai medesimi affidati per il maggior bene del figlio.

E in quest’ottica non sarà più possibile (come invece accadeva finora) che il padre (da solo) adotti provvedimenti urgenti ed indefettibili in caso di pericolo di un grave pregiudizio per il figlio: si trattava infatti di una facoltà prevista per il solo padre in grave contrasto proprio con il detto principio della bigenitorialità, e quindi discriminatoria rispetto all’altro genitore, e non più tollerabile dinanzi alla grande sottolineatura dei princìpi di non discriminazione presenti nel Trattato dell’Unione europea, nonché nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Adriana Pischetola

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