domenica, giugno 02, 2013
La Turchia è un gigante che si sveglia. Migliaia in piazza, gente di ogni religione e fede politica, per contestare la deriva islamista del governo di Racip Herdogah 

Paolo Di Mizio 

Da giorni Istanbul, la più grande città della Turchia, è un inferno in mano alla violenza cieca delle forze dell'ordine. Oltre mille i feriti. Mille gli arresti. Si parla di quattro morti. Lacrimogeni sparati da terra e perfino sganciati da elicotteri sulla folla, composta di studenti, donne, bambini. Quattro persone, tra i feriti, rimarranno certamente prive di vista a causa dei gas. Alberghi e ristoranti della zona trasformati in infermerie per curare i feriti.

La folla era scesa in piazza giorni fa per impedire l'abbattimento di alberi secolari di un parco cittadino. L'abbattimento era, ed è ancora, mirato a sgomberare  il terreno per potervi edificare l'ennesimo centro commerciale. Istanbul è già piena di enormi centri commerciali.  Nonostante le violenze della polizia, la folla continua a scendere nelle strade. Di sera, le luci delle finestre di Istanbul si accendono e spengono, a distanza di pochi secondi, per indicare che anche coloro che non hanno avuto il coraggio di uscire di casa sono al fianco della folla che protesta in piazza.

Un elemento caratterizza la rivolta spontanea, e l’elemento è che a scendere in strada sono persone di diverse fedi religiose e politiche, ma tutte unite nel respingere la soffocante cappa del governo guidato dal Partito Islamico.

La Turchia è un grande Paese, con alti tassi di crescita economica ed enormi potenzialità. L'opinione pubblica europea reagisca a quanto sta avvenendo. Non lasciamo che la Turchia rimanga in mano alla "agenda conservatrice" del governo islamista di Herdogan. 

Un governo che manda la polizia a massacrare la gente. Un governo che legifera per ridurre gli spazi delle libertà individuali. Un governo che, tra le tante altre cose, stabilisce perfino i colori di rossetto leciti e non leciti per le hostess di volo della compagnia di bandiera. 

Sarebbe davvero un peccato se un Paese così grande e importante - un Paese oltretutto così "geostrategico" - si trasformasse in un altro inferno islamista e in un altro regime teocratico, simile all'Iran o all'Arabia Saudita.

Kemal Ataturk, il padre della Turchia moderna, aveva lasciato una grande eredità: aveva lasciato un Paese laico e filo occidentale. Aveva perfino sostituito l'alfabeto arabo con l'alfabeto latino, che è infatti quello oggi usato nella scrittura della lingua  turca.

Quest’ultima può sembrare una piccola cosa, ma non lo è affatto. La forza dei simboli è superiore alla forza dei discorsi. La scelta di aturk a favore dell’alfabeto dei Paesi occidentali fu un intervento di grande lungimiranza e di grande valore simbolico: una sorta di viatico per indicare alla Turchia il punto cardinale da seguire: l'Ovest, con la sua democrazia, e non l'Oriente, con le sue teocrazie.

A proposito di simboli. Non è un caso che, come oggetto-simbolo della rivolta, i giovani in piazza sollevino il braccio con una bottiglia di birra: una bevanda alcolica, una delle bevande appunto avversate dall’islam più rigido.


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