mercoledì, giugno 05, 2013
Sesto giorno di proteste antigovernative in Turchia. 

Radio Vaticana - La scorsa notte, centinaia di manifestanti si sono scontrati con gli agenti non solo a Istanbul e Ankara, ma anche a Smirne. Il vicepremier, Arinc, ha chiesto scusa a nome dell’esecutivo a quanti hanno subito violenze da parte della polizia e ha assicurato che nessuno vuole imporre un pensiero unico ispirato all’islam. Ma piazza Taksim non cede e continua a chiedere le dimissioni del premier Erdogan. Cecilia Seppia ha sentito Alberto Rosselli, analista esperto dell’area: ascolta

R. – Le motivazioni in qualche modo che hanno portato migliaia e migliaia di giovani a protestare contro il governo non sono solo esclusivamente di tipo politico e istituzionale, ma anche economico. Anche perché i giovani turchi stentano a trovare lavoro e occupazione, se non nelle grandi città. Diciamo, quindi, che c’è una forte richiesta di modernizzazione da parte dei giovani a livello istituzionale, costituzionale, del Paese, ma è anche una richiesta di modernizzazione del mondo del lavoro.

D. – Oggi, c’è anche lo sciopero generale, durerà 48 ore, proclamato dal sindacato dei lavoratori del pubblico impiego e questo potrebbe aggiungere tensione a un clima già infiammato…

R. – Certamente. Settori del pubblico impiego – ma non solo, anche del privato – si trovano in difficoltà a dispetto di quelle che sono le cifre che apparentemente potrebbero far pensare a una Turchia in grande crescita economica. Non credo che sospenderanno questo sciopero.

D. – Un altro punto che bisogna sottolineare è che l'opposizione che sta riempiendo le piazze di Istanbul, di Ankara, in realtà è formata da diversi settori della popolazione, quindi è molto eterogenea, però sembra fortemente compatta…
 
R. – Sì. C’è la trasversalità e questo lo ha dimostrato anche una fotografia, abbastanza emblematica, che è uscita oggi su Internet, dei tifosi delle tre maggiori squadre di Istanbul che manifestano insieme contro Erdogan, al di là dei loro attriti di tipo sportivo. Questo sta a dimostrare che c’è una condivisione di interessi da parte della popolazione. Stiamo parlando di ragazzi che sono scesi in piazza che sono studenti, che sono precari, collegati col mondo occidentale attraverso Twitter, attraverso Internet, ma non hanno un collegamento diretto col mondo occidentale nel quale si rispecchiano in qualche modo.

D. – Il vicepremier continua a dire che in una democrazia tutto questo è possibile, quindi è possibile che ci siano manifestazioni. Di fatto, però, il pugno duro delle forze dell’ordine comincia a farsi sentire: parliamo di migliaia di feriti, parliamo di oltre 1700 arresti, tra l’altro anche con accuse blande come per esempio quella di aver usato Twitter per divulgare messaggi non veri. Quindi, insomma, l’impronta della polizia si comincia a far sentire in maniera determinante?

R. – Non è la prima volta che manifestazioni di piazza in Turchia vengano in qualche modo gestite con un pugno di ferro e in realtà, al di là delle dichiarazioni del vicepremier, al di là delle dichiarazioni del presidente, al di là delle dichiarazioni del primo ministro, la polizia turca non va tanto per il sottile. Ma questo fa parte anche della tradizione “reprimenda” della Turchia e dei governi turchi. Ricordiamoci che la Turchia è un Paese che ha avuto molti colpi di Stato, ha avuto in passato altre manifestazioni di questo tipo, di natura diversa, che sono state represse anche con violenza ben maggiore. Anzi, fino a questo punto mi sembra che, in qualche modo, il governo turco cerchi di tenere la mano leggera: cosa non facile, perché i militari quando hanno da sedare manifestazioni lo fanno non proprio col guanto di velluto, ma questo anche perché la Turchia è un Paese sotto osservazione internazionale.


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