Solo nel 1980 è stata inserita nel manuale diagnostico dell’American Psychiatric Association, ma la depressione, soprattutto in occidente, è uno dei mali che maggiormente colpisce la popolazione
Anche se spesso si abusa del termine, vi è sicuramente una grande differenza tra una depressione occasionale e una vera e propria depressione clinica... ma in alcuni casi il passo è breve. Nell’antichità si chiamava “melanconia” e Ippocrate la spiegava come una condizione di “malessere” e “tristezza che perdura nel tempo”. Oggi il significato è sicuramente più ampio, anche perché la società è cambiata di molto nel corso dei secoli, e sono cambiati anche i motivi per cui ci sentiamo felici e quelli per cui ci sentiamo tristi. La depressione oggigiorno è la prima causa di disfunzionalità nel periodo compreso tra la preadolescenza e i 40 anni, e le donne che soffrono di questo disturbo sono circa il doppio rispetto agli uomini. I fattori che la determinano possono essere genetici (non di rado i figli soffrono di depressione se almeno uno dei genitori ne ha sofferto o ne soffre), biologici (è stato visto come 3 neurotrasmettitori, serotonina, noradrenalina e dopamina, ne siano responsabili), psicologici e sociali.
La crisi economico-sociale che da qualche anno a questa parte viviamo non fa che peggiorare la condizione e far lievitare la percentuale di malati. La depressione innesca un meccanismo di autodistruzione con conseguenze devastanti come l’uso di alcolici e di droghe, le violenze domestiche e i divorzi, la disoccupazione e così via.
Oggi, è necessario riflettere in particolare sul fenomeno della disoccupazione che investe moltissimi imprenditori, spingendoli alla depressione e spesso al suicidio. Quali sono le conseguenze per il nostro cervello quando si perde il lavoro? Il dottor Barbanti, primario del “Centro delle Cefalee e del dolore” dell’IRCCS San Raffaele Pisana, ci spiega che paradossalmente “è dimostrato che problemi di ansia o depressione affliggono il 34% dei disoccupati e il 16% degli occupati seppure in periodo di crisi. La disoccupazione ha meno effetti negativi sulla psiche quando il tasso di disoccupazione generale è elevato (si chama “effetto norma sociale”) come accade nei Paesi poveri (ma non in Italia)”.
In ogni caso, la perdita del lavoro produce alcuni effetti indiscutibilmente negativi: la perdita del nostro ruolo nella società (racchiusa nell’espressione “non servo a niente”), la perdita dei rapporti e del contatto con gli altri e la perdita della capacità di esprimere la nostra vena creativa (quando si era gratificati del proprio lavoro).
Una delle motivazioni più drastiche è sicuramente la paura della morte. Secondo il dottor Gottardo Marconi, nel passato questa veniva vissuta diversamente: “Nell’ordine primitivo il cerimoniale del lutto e i riti di iniziazione – spiega - erano operazioni simboliche che rendevano la morte reversibile, tollerabile”. Oggi invece “nell’ordine della nostra cultura tutto è fatto affinché la morte non capiti mai a nessuno”. Aggiunge il dottor Barbanti: “Di fatto esiste una correlazione lineare tra disoccupazione e suicidio: per ogni punto percentuale di disoccupazione aumenta dello 0.79% il tasso dei suicidi sotto i 65 anni”.
Che ruolo può avere lo Stato? Sicuramente molto grande. In particolare una buona politica di welfare può essere un’arma fondamentale contro la malattia: più denaro si investe nel benessere sociale più la malattia risulta contrastata. Un’"astuzia” per prevenire il rischio, come dimostrato dalla storia, è semplicemente l’integrazione sociale. Barbanti ha notato come “gli effetti negativi della crisi sul piano psichico sono diminuiti in quelle aree dove i soggetti erano impegnati nell’associazionismo sindacale e non, nei gruppi sportivi, in comunità religiose o di culto. Questo conferma che l’integrazione sociale, anche quando manca il lavoro, è il migliore antidoto al disagio psichico”.
Anche se spesso si abusa del termine, vi è sicuramente una grande differenza tra una depressione occasionale e una vera e propria depressione clinica... ma in alcuni casi il passo è breve. Nell’antichità si chiamava “melanconia” e Ippocrate la spiegava come una condizione di “malessere” e “tristezza che perdura nel tempo”. Oggi il significato è sicuramente più ampio, anche perché la società è cambiata di molto nel corso dei secoli, e sono cambiati anche i motivi per cui ci sentiamo felici e quelli per cui ci sentiamo tristi. La depressione oggigiorno è la prima causa di disfunzionalità nel periodo compreso tra la preadolescenza e i 40 anni, e le donne che soffrono di questo disturbo sono circa il doppio rispetto agli uomini. I fattori che la determinano possono essere genetici (non di rado i figli soffrono di depressione se almeno uno dei genitori ne ha sofferto o ne soffre), biologici (è stato visto come 3 neurotrasmettitori, serotonina, noradrenalina e dopamina, ne siano responsabili), psicologici e sociali.
La crisi economico-sociale che da qualche anno a questa parte viviamo non fa che peggiorare la condizione e far lievitare la percentuale di malati. La depressione innesca un meccanismo di autodistruzione con conseguenze devastanti come l’uso di alcolici e di droghe, le violenze domestiche e i divorzi, la disoccupazione e così via.
Oggi, è necessario riflettere in particolare sul fenomeno della disoccupazione che investe moltissimi imprenditori, spingendoli alla depressione e spesso al suicidio. Quali sono le conseguenze per il nostro cervello quando si perde il lavoro? Il dottor Barbanti, primario del “Centro delle Cefalee e del dolore” dell’IRCCS San Raffaele Pisana, ci spiega che paradossalmente “è dimostrato che problemi di ansia o depressione affliggono il 34% dei disoccupati e il 16% degli occupati seppure in periodo di crisi. La disoccupazione ha meno effetti negativi sulla psiche quando il tasso di disoccupazione generale è elevato (si chama “effetto norma sociale”) come accade nei Paesi poveri (ma non in Italia)”.
In ogni caso, la perdita del lavoro produce alcuni effetti indiscutibilmente negativi: la perdita del nostro ruolo nella società (racchiusa nell’espressione “non servo a niente”), la perdita dei rapporti e del contatto con gli altri e la perdita della capacità di esprimere la nostra vena creativa (quando si era gratificati del proprio lavoro).
Una delle motivazioni più drastiche è sicuramente la paura della morte. Secondo il dottor Gottardo Marconi, nel passato questa veniva vissuta diversamente: “Nell’ordine primitivo il cerimoniale del lutto e i riti di iniziazione – spiega - erano operazioni simboliche che rendevano la morte reversibile, tollerabile”. Oggi invece “nell’ordine della nostra cultura tutto è fatto affinché la morte non capiti mai a nessuno”. Aggiunge il dottor Barbanti: “Di fatto esiste una correlazione lineare tra disoccupazione e suicidio: per ogni punto percentuale di disoccupazione aumenta dello 0.79% il tasso dei suicidi sotto i 65 anni”.
Che ruolo può avere lo Stato? Sicuramente molto grande. In particolare una buona politica di welfare può essere un’arma fondamentale contro la malattia: più denaro si investe nel benessere sociale più la malattia risulta contrastata. Un’"astuzia” per prevenire il rischio, come dimostrato dalla storia, è semplicemente l’integrazione sociale. Barbanti ha notato come “gli effetti negativi della crisi sul piano psichico sono diminuiti in quelle aree dove i soggetti erano impegnati nell’associazionismo sindacale e non, nei gruppi sportivi, in comunità religiose o di culto. Questo conferma che l’integrazione sociale, anche quando manca il lavoro, è il migliore antidoto al disagio psichico”.
| Tweet |

Nicolò Renna, chitarrista palermitano, sbanca il web con il suo singolo Breathing. Lo abbiamo incontrato a Palermo. L'intervista di Paolo A.Magrì
Domenico Fioravanti, la Leggenda di Sydney 2000. Una vita da rincorrere a bracciate.Il ranista, prima medaglia d’oro azzurra alle Olimpiadi di Sydney 2000, intervistato da Emanuela Biancardi.
"L'intelligenza umana è la nostra principale risorsa". Parla Ermete Realacci, tra attivismo e sfide economiche
mons. Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara, intervistato per LPL News 24 da Patrizio Ricci su politica europea ed immigrazione.
Max Cavallari della coppia 'I Fichi d'India', intervistato per LPL News 24 da Emanuela Biancardi.
Laura Efrikian, Attrice, scrittrice, promotrice di 'Laura For Afrika', intervistata per LPL News 24 da Emanuela Biancardi.
Patty Pravo festeggia cinquant’anni di successi intramotabili nel mondo della musica, tirando fuori ancora una volta pezzi da ‘90. Intervista di S. Santullo
Sergio Caputo celebra i trent’anni di “ Un Sabato Italiano”, con un nuovo omonimo album. Intervista a Sergio Caputo, di Simona Santullo
Sono presenti 2 commenti
Un ruolo fondamentale penso possiamo assumerlo anche noi cristiani, vivendo e trasmettendo una cultura di vita e di speranza. Dobbiamo riscoprire il valore della speranza cristiana come virtù teologale. Tutta la riflessione pastorale odierna è incentrata sulla carità (spesso ridotta a pura solidarietà umana) e sulla fede. Ma la speranza dove l'abbiamo messa? Forse è quella di cui oggi c'è più bisogno.
Riporto dal mio sito http://www.tuttosulladepressione.com/ che non può esserci salute mentale, nella sua accezione più ampia, senza equità sociale e soddisfacimento dei bisogni primari.
Essa è esercizio e riconoscimento delle libertà nelle relazioni interpersonali e nella organizzazione della società; è rispetto dell'uomo e dell'ambiente; è riflessione solitaria e comunanza di azioni. I temporali scoppiano lo stesso ma è determinante affrontarli insieme.
Allora, come in un formicaio o in un alveare l'Io può rigenerarsi nel Noi. O la conoscenza elementare che attribuiamo alle formiche e alle api non alberga nella mente dell'uomo? Il formicaio e l'alveare sono per questi insetti un bene comune, una proprietà equamente distribuita, che è valorizzata dalla differenza funzionale tra le creature.
Anche la salute (ad incominciare dal “buon umore”) è un bene che se posseduto dai più rende prospera l'intera comunità.
Non so da quanti millenni l'uomo ha smarrito questa concezione della vita e dell'ambiente come un patrimonio comune, equiparando la sua tendenza ad inglobare “oggetti” ad una “naturale” contrapposizione di forze.
Perché sorprendersi se, quando alcuni uomini perdono una proprietà (quale è la salute), altri cercano di sfruttare le conseguenze di quella perdita (la malattia) per estendere i propri possedimenti?
La cupidigia di pochi alla fine affama (nell'animo o nel corpo) tutti. Un comportamento da infanti!
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.