mercoledì, aprile 24, 2013
Emanuela Orlandi sparì il 22 giugno 1983. Sono passati 30 anni da allora, ma ancora oggi il suo caso non ha una soluzione

di Ilaria Sulla

Furono coinvolti in questa controversa pagina della cronaca nera italiana soprattutto lo Stato Vaticano, lo Stato Italiano, l’associazione criminale romana denominata ‘Banda della Magliana’ e lo IOR (Istituto per le Opere di Religione). All’epoca dei fatti Emanuela aveva 15 anni e viveva a Città del Vaticano, perché suo padre era un commesso della Prefettura della Casa Pontificia. La ragazza suonava il flauto presso una scuola di musica in piazza Sant’Apollinare a Roma, e il giorno della scomparsa uscì dalla lezione in anticipo. Incontrò uno sconosciuto a bordo di una berlina verde che le offrì un lavoro: vendere cosmetici durante una sfilata di moda. Le promise 375mila lire, una somma esagerata per una sola serata di lavoro. Emanuela però gli credette e telefonò a casa per chiedere il permesso: la sorella le rispose che avrebbe dovuto chiedere ai genitori. Questa fu l’ultima volta che la ragazzina parlò con la famiglia.

Secondo la testimonianza di un vigile, Emanuela fu avvistata con un uomo alto e snello, sui 35 anni. Dall’identikit tracciato si notò una certa somiglianza con Enrico De Pedis, membro della Banda della Magliana, ma le indagini in merito non furono approfondite perché si pensava che il criminale fosse latitante all’estero. Qualche giorno dopo la scomparsa, il 25 giugno, arrivò la telefonata di un uomo che diceva di chiamarsi ‘Pierluigi’. Sosteneva che la sua fidanzata avesse visto Emanuela insieme ad un’altra ragazza vendere cosmetici a Campo dei Fiori. Aggiunse che Emanuela aveva un flauto, ma non voleva suonarlo perché si vergognava di farsi vedere in pubblico con gli occhiali. Aggiunse in una telefonata successiva che gli occhiali le servivano “per correggere l’astigmatismo”. Queste dichiarazioni furono ritenute attendibili perché i dati riportati erano veri.

Il 28 giugno arrivò a casa Orlandi una nuova chiamata: un uomo che sosteneva di chiamarsi ‘Mario’ e di avere 35 anni confermò le parole di ‘Pierluigi’, ma quando gli venne chiesta l’altezza di Emanuela esitò, e una voce di sottofondo aggiunse: “No, de più!”. Molti anni dopo, “Mario” venne associato a un uomo vicino alla Banda della Magliana.

Il 3 Luglio Papa Giovanni Paolo II rivolse un appello agli ipotetici rapitori di Emanuela Orlandi durante un Angelus. Due giorni dopo arrivò una telefonata alla sala stampa vaticana: un uomo con uno spiccato accento anglosassone disse di tenere in ostaggio Emanuela e che la ragazza sarebbe stata liberata solo nel caso in cui il Vaticano avesse deciso di liberare Mehmet Ali Ağca, l’uomo che aveva sparato a Papa Giovanni Paolo II nel 1981. Per il suo accento l’uomo al telefono fu denominato da quel momento ‘l’Amerikano’. Secondo alcune pubblicazioni l’identikit dell’uomo corrisponderebbe a monsignor Paul Marcinkus, all’epoca presidente della “banca” vaticana, lo IOR. Lo stesso Mehmet Ali Ağca chiamò nel 2010 Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, sostenendo che il rapimento della ragazzina fosse avvenuto per conto del Vaticano e nominò il Cardinale Giovanni Battista Re come persona informata sui fatti.

Solo tra il 2005 e il 2006 si tornò a parlare della Banda della Magliana, quando arrivò una telefonata anonima alla trasmissione televisiva ‘Chi l’ha visto?’ dove una voce diceva di andare a controllare chi era sepolto nella basilica di Sant’Apollinare: in effetti lì c’era il corpo di Enrico de Pedis, il capo della Banda della Magliana. Importanti in merito furono le dichiarazioni di Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore Bruno Giordano che a suo dire all’epoca della scomparsa aveva una relazione con De Pedis. Le sue dichiarazioni non sempre furono ritenute attendibili, ma segnarono un punto di svolta per il caso, perché si tornò ad indagare sulla banda della Magliana, incolpata di aver rapito la ragazza per ottenere la restituzione del denaro investito nello IOR attraverso il Banco Ambrosiano.

Quest’anno si è profilata un’ulteriore svolta nel caso: una segnalazione alla trasmissione ‘Chi l’ha visto?’ ha portato al ritrovamento di quello che probabilmente era il flauto di Emanuela, avvolto in un foglio di giornale del 1985 che riportava un’intervista del padre della ragazza. L’uomo della segnalazione si è fatto avanti e ha detto di essere stato “uno dei principali telefonisti” del rapimento, confermando il collegamento tra la scomparsa dei Emanuela e quella di Mirella, altra ragazza sparita in quel periodo. Ha aggiunto che Emanuela “non subì violenze, visse in due appartamenti e in due camper, le procurammo un pianoforte e la rassicuravamo dicendole che la famiglia era al corrente”. “Poi – dopo il 1983 - il gruppo la trasferì all'estero, nei sobborghi di Parigi – sostiene il super-testimone - dove potrebbe essere ancora viva, così come Mirella, ma non so dove”. Sulle dichiarazioni dell’uomo la Procura si muove con cautela, ma dopo 30 anni il giallo infinito di Emanuela riparte da qui.


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