venerdì, marzo 08, 2013
Inchiesta giornalistica, cronaca nera, il poliziesco e il thriller furono componenti di un linguaggio originale che ne caratterizzarono stile e personalità del regista morto stanotte. Poi il lavoro su Gesù di Nazareth: «Dargli il volto e il corpo di un attore mi fa sentire insufficiente e smarrito» raccontava. Aveva in progetto un film sulla Sindone.

Città Nuova - Sarà ricordato come l'autore della Piovra, modello che aveva rivoluzionato linguaggio e contenuti della fiction all'italiana, ma i suoi meriti, anche se non sempre avevano riscosso quella popolarità che avrebbe dovuto compensarli, erano stati altri. E tanti. A cominciare dalla pittura, che Damiano Damiani (nato il 23 luglio 1922 a Pasiano, in provincia di Udine) aveva studiato all'Accademia di Brera. Antesignano della pop-art, Damiani aveva anticipato il post-moderno mischiando le pratiche alte con quelle basse della cultura, nobilitando la scenografia (che gli aprì le porte del cinema), ma soprattutto il fumetto. Come non ricordare, infatti, la sua collaborazione all' “Asso di picche”, la rivista di Hugo Pratt per la quale poco più che ventenne firmò “Il club dei suicidi”, dal capolavoro di Stevenson?

Inchiesta giornalistica, cronaca nera, generi e filoni popolari di largo consumo come il poliziesco e il thriller furono per Damiani le componenti di un linguaggio originale che ne caratterizzarono stile e personalità. Il suo esordio nel 1960 con Il rossetto, un poliziesco intimista e malinconico con Pietro Germi nel ruolo del protagonista, preceduto da un'intensa attività di sceneggiatore e seguito da una quarantina di regie fra cinema (L'isola di Arturo, La noia, Il giorno della civetta, La moglie più bella, Girolimoni, Il sorriso del grande tentatore, Pizza connection) e televisione (su questo versante da segnalare Il treno di Lenin con Ben Kingsley).

Ma l'aspetto meno conosciuto, eppure non per questo meno intrigante e interessante, è quello che riguarda Damiano Damiani, personalità laica di formazione e di cultura, attratta dal mistero della fede e da quel “Dio nascosto” di cui parlava Mauriac. Il suo “Dio nascosto” Damiani lo trovò nell'Inchiesta, un progetto nato da una sceneggiatura di Ennio Flaiano e Suso Cecchi D'Amico, riveduta da Valerio Zurlini su un'idea di Anatole France. Il film, del 1986, fu inserito nel programma “Cristo nel cinema”, un corso di studi organizzato nel 1997 dall'Angelicum, la Pontificia Università San Tommaso d'Aquino, a Roma. In quell'occasione Damiano Damiani figurò anche fra i relatori della tavola rotonda conclusiva, articolata intorno alla domanda “Chi è Cristo per noi?”.

Vale la pena ricordare le sue parole in quella circostanza: «E' difficile parlare di Gesù di Nazareth. Forse è più facile farlo con la letteratura, la pittura, la musica, che con il cinema. Il cinema inquadra la parte umana di Gesù, proprio perché bisogna dargli un volto, un corpo, un modo di gesticolare e di camminare. Bisogna, insomma, scegliere un attore che lo interpreti e la cosa mi intimorisce, mi fa sentire smarrito e insufficiente di fronte a questo compito».

E ancora: «Per questo con L'inchiesta mi sono adeguato a una scoperta diversa, mi sono adeguato al senso di mistero che prova chi lo incontra per la prima volta e lo scopre attraverso la sua parola e l'eredità che la sua parola ha lasciato nelle persone che l'hanno conosciuto. E infatti che cos'è L'inchiesta? E' la storia della stupefazione, dello smarrimento e dell'illuminazione di un magistrato romano che dopo la morte di Gesù viene mandato in Palestina dall'imperatore per trovare il corpo di Cristo. A poco a poco questo magistrato si accorge che le sue convinzioni di trovarsi di fronte a un impostore, a un falso profeta, a un mago, sono soltanto pregiudizi, e che invece l'uomo di cui cerca inutilmente il corpo per poter smentire la resurrezione è veramente un personaggio diverso da tutti gli altri».

Che Damiano Damiani fosse affascinato dal mistero del sacro è testimoniato da un progetto rimasto tale, uno dei tanti film incompiuti che affollano la storia del cinema. Si intitola La voce della Sindone ed è un trattamento scritto nel 1998 assieme alla figlia Sibilla.

A Torino, nei giorni dell'ostensione del sacro lenzuolo, il mistero del tessuto che avvolse il corpo di Cristo si abbina al dramma di una ragazza che, influenzata da una sacra rappresentazione, si autodenuncia per un borseggio salvando così un innocente. Un atto di generosità diventa in tal modo il “miracolo” della coscienza ritrovata. E la Sindone si fa messaggero di riconciliazione. Se questo è un laico!

di Enzo Natta


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