sabato, marzo 30, 2013
Barocci apre la primavera alla National Gallery

di Nicolina Sambo-Bozza

La scelta della National per questa stagione è ricaduta sull’urbinate Federico Barocci (1535-1612), artista di grande levatura che, a parte un periodo di formazione a Roma, scelse di operare per la maggior parte della sua vita nella sua amata città, centro di massima importanza nel Rinascimento. Parlando di Urbino non si può non ricordare Raffaello, altro illustre figlio di questa terra, che ebbe un’inevitabile influenza sullo sviluppo artistico di Barocci. Le opere esposte raccolgono la maggior parte delle sue pale d’altare e dei suoi dipinti assieme ad oltre 65 disegni prepartori che ci danno la possibilità di entrare nel processo creativo delle operee di essere testimoni della minuziosa attenzione di Barocci per il dettaglio, come anche del suo amore per il colore, che doveva creare una composizione armoniosa, quasi musicale. Questi due aspetti sono infatti i protagonisti di un’incessante ricerca da parte dell’artista che poco si affidava ai suoi assistenti, preferendo essere egli stesso l’artefice della maggior parte delle sue creazioni. La sua opera fa da ponte tra il Rinascimento e il Barocco, anticipato dal suo interesse nell’esplorazione di nuovi posizionamenti delle figure e in una distribuzione dello spazio inusuale.

Uomo di grande spiritualità, Barocci si dedicò principalmente ad opere religiose in un momento buio per la chiesa cattolica: le sue opere si fanno carico della riaffermazione di valori e verità universali. Tra le più belle ci sono “La deposizione di Cristo” (1579-82) e “L’ultima cena” (1590-99), dipinta per la cattedrale di Urbino, entrambe in mostra all’estero per la prima volta e che assieme alla “Crocefissione” (ca. 1590-96) rievocano con semplicità tutta la drammaticità del sacrificio di Cristo.
Ne “L’ultima cena” gli angeli entrano al momento della consacrazione e, assieme a personaggi della vita di ogni giorno, si fanno partecipi del grande annuncio di Cristo e quindi della riaffermazione di una delle grandi verità di una Chiesa soggetta ad un’ondata di critiche: l‘istituzione dell’Eucarestia.
Nella “Deposizione di Cristo” ogni singola figura si fa portavoce del dolore della scena; dai disegni preparatori, ma in particolare per la figura di Giovanni, si nota l’influenza di Michelangelo, che Barocci aveva conosciuto a Roma. La figura catalizzatrice dell’opera è però quella di Maria Maddalena, in cui il movimento dei capelli e delle vesti si fa specchio del tumulto e della disperazione dell’animo, un’unitarietà ribadita dall’armonia dei colori, soprattutto del corallo, la cui intensità viene richiamata dal rossore intorno agli occhi e al naso, segno del pianto della santa.
Nella “Crocefissione” il cielo che si apre descrive l’esatto momento della morte e lo sigilla per sempre anche nel profondo di chi è spettatore all’esterno. I disegni testimoniano il ruolo importante degli apprendisti di Barocci, ai quali spesso l’artista chiedeva di assumere le pose dei personaggi per verificarne la naturalezza e l’autenticità.

Barocci, devoto di San Francesco d’Assisi, amava condurre una vita semplice, lontana dai fasti dei palazzi dei suoi patroni, tra cui il più assiduo, il duca Francesco Maria II della Rovere, gli aveva riservato un appartamento personale e utilizzava le sue opere come doni per persone care (come la moglie, a cui donò il “Riposo dalla fuga in Egitto” (1570-73)) o per persone importanti (come la regina di Spagna e l’imperatore del sacro romano impero Rodolfo II).

Grande tenerezza si respira nel dipinto “La Madonna del Gatto” (circa 1575), raro esempio di opera composta su cavalletto. La Sacra Famiglia viene ritratta nella semplicità della vita domestica, nella spensieratezza di un momento di gioco che la fa assomigliare ad una famiglia come le altre, con anche un gatto, che era il tipico animale domestico del tempo, che viene incluso nella scena quasi a rafforzare questo concetto; ma proprio prima di immergerci completamente in questa beatitudine siamo riportati alla realtà dall’immagine del pettirosso, simbolo della passione di Cristo, che presagisce il rivoluzionario disegno divino.

Tra le opere secolari sono esposti alcuni ritratti e la “Fuga di Enea da Troia” (1998), la sua unica opera narrativa a soggetto non religioso. Alla fine, l’autoritratto di Barocci (circa 1595-1600) ci fissa con una tranquillità quasi disarmante a confermare le sue convinzioni e la sua integrità.

Vale senz’altro la pena di dedicare del tempo a questa mostra (Barocci, Brilliance and Grace, National Gallery, Trafalgar Square, fino al 19 maggio 2013, in collaborazione con The Joseph F. McCrindle Foundation), ricca di suggestione e di atmosfere meditative, che si allontana da tutto ciò che è mondano per concentrarsi sul messaggio più puro del Cristianesimo.

È presente 1 commento

Anonimo ha detto...

molto interessante la sintesi dell' ampia produzione del Barocci, soprattutto perchè ci presenta una riproduzione de "la Madonna del gatto". L'ho cercata su altri siti dedicati al Nostro ma ho trovato tutto tranne questo.Il mio interesse è motivato dalla presenza di una copia speculare della suddetta tela presso il Museo Diocesano di Bisceglie. provvederò quanto prima a inserirla sul sito del Museo in modo che si possa effettuare un confronto.

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