martedì, gennaio 29, 2013
Intervista in esclusiva de La Perfetta Letizia al Cardinale Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

di Mariangela Laviano

D - Eminenza, innanzitutto grazie per la Sua cortesia e disponibilità. Come Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ci potrebbe spiegare in cosa consiste l’attività di questo dicastero?
R - Il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti è un Dicastero della Curia Romana che ha il compito di aiutare il Santo Padre a promuovere e animare l'azione pastorale in favore delle persone coinvolte nella mobilità. Ogni anno, nonostante la crisi economica, cresce la mobilità delle persone, sia per libera scelta sia per costrizione: ideologica, politica, economica, ecc. Mi riferisco a migranti, rifugiati, studenti internazionali, marittimi e pescatori, nomadi, circensi e fieranti, il mondo del turismo e dei pellegrinaggi, dell'aviazione civile, utenti della strada e persone che vivono sulla strada (donne, bambini e persone senza fissa dimora).
Queste persone non possono usufruire della cura pastorale ordinaria dei parroci o ne sono del tutto prive. Il nostro Dicastero si attiva in loro favore attraverso le Chiese locali: le Conferenze episcopali e le loro Commissioni per la mobilità umana, le diocesi e le parrocchie, come pure con organismi regionali e continentali. Le iniziative concrete di assistenza pastorale si attuano a livello locale, lì dove vanno a risiedere i migranti e gli itineranti. Nel Pontificio Consiglio, di cui sono il Presidente, lavorano una ventina di collaboratori, tra sacerdoti, religiosi/e e laici, impegnati in nove settori pastorali, che riguardano i diversi ambiti di mobilità umana summenzionati. Ciascun settore studia la realtà del fenomeno nelle diverse regioni del mondo e si impegna nella ricerca di possibili risposte alle esigenze spirituali delle persone coinvolte. A tal fine si promuovono simposi, incontri con esperti, visite, scambio di informazioni e di corrispondenza con gli incaricati in loco. Per ogni settore è stato redatto un documento con orientamenti pastorali specifici, che viene aggiornato periodicamente. Sul nostro sito web www.pcmigrants.org si possono consultare le iniziative in corso e l’attività svolta negli ultimi anni, come pure i documenti base. La nostra rivista “People on the Move” è curata dal Dicastero con l’ausilio di un comitato di esperti che vi collaborano a titolo volontario. Vi pubblichiamo interventi del Santo Padre e di esperti sulle tematiche della mobilità umana, ed uno spazio è dedicato all’attività del Dicastero. Oltre al Bollettino dell’Apostolato del Mare, divulghiamo periodicamente i cosiddetti “Quaderni Universitari” di approfondimento tematico e cd con gli atti di Congressi e raccolte di documenti.

D - In occasione della 99esima Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato, Lei ha sottolineato che “dire che i migranti tentano soltanto di trovare un miglioramento alla loro situazione semplifica troppo la realtà”. Quali sono, a Suo avviso, le motivazioni che a diverso titolo caratterizzano il fenomeno della mobilità umana?
R - Osservando la questione della migrazione dal punto di vista “teorico” e per descrivere le cause dell’emigrazione, è utile ribadire che ci sono diversi fattori che spingono e attraggono i migranti. I fattori di spinta (cioè, i push factors) sono spesso collegati alle condizioni negative che esistono nel luogo di origine e determinano, in un certo modo, la migrazione. Queste ragioni possono essere varie: fisiche (come il clima o catastrofi naturali), demografiche, economiche (come la povertà o disoccupazione), socioculturali (xenofobia o emarginazione), o anche ragioni politiche.
D’altra parte, i fattori di attrazione (cioè, i pull factors) sono associati a condizioni positive, effettive o presumibili, presenti nel luogo di destinazione. Come con i push factors, anche qui possiamo parlare delle ragioni fisiche (clima favorevole), demografiche, economiche (possibilità di lavoro, disponibilità di terra), socioculturali (libertà e accoglienza) e politiche.
In effetti, quelle mie parole, che Lei ha citato, sono state dette in occasione della presentazione del Messaggio Pontificio in Sala Stampa e fanno riferimento al pensiero del Papa circa il senso più profondo della migrazione e della ricerca che ne è all’origine. Questi migranti, nel loro pellegrinaggio esistenziale verso un futuro migliore, in senso ampio, portano con sé sentimenti di fede e di speranza, anche se non si rendono ancora conto di ciò che stanno cercando esattamente.

D - Il dicastero di cui Lei è a capo si rivolge anche ai migranti di altre fedi e confessioni: a che punto è il dialogo interreligioso e, in particolare, quello tra Islam e Cristianesimo?
R - L’attenzione pastorale che la Chiesa rivolge ai migranti non conosce confini di nazionalità, etnia o religione. Si tratta di un impegno fatto di accoglienza e ospitalità che cerca di raggiungere tutti gli uomini e le donne in quanto figli di Dio. Si è appena conclusa la settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani, durante la quale si è avvertito più forte il disagio per la divisione della Chiesa Cattolica dalle altre Chiese, e nel contempo abbiamo ricevuto nuovi incentivi a camminare verso la ricerca dell’unità.
Quando facciamo riferimento, poi, ai migranti non cristiani, la Chiesa si impegna soprattutto nella promozione umana e nella testimonianza della carità (come dice il nostro documento “Erga migrantes caritas Christi” al n. 59). La pastorale dei migranti fa ricorso al dialogo, che è una condizione necessaria per la conoscenza dell’altro e del suo modo di pensare e di agire. Un dialogo aperto e rispettoso, che mira a una migliore comprensione reciproca. A questo dialogo naturalmente deve corrispondere l’ascolto, per poter creare un processo in cui “ambedue le parti possono trovare purificazione e arricchimento” (Papa Benedetto XVI nel discorso alla Curia Romana del 21dicembre scorso).
Per quanto riguarda in modo particolare le relazioni con l’Islam c’è un Dicastero ad hoc, che è il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.

D - Il dramma della condizione di rifugiato, purtroppo, aumenta in tutto il mondo, tant’è che questo secolo è stato definito il secolo dei rifugiati. L’esempio più emblematico è quello dei profughi palestinesi, musulmani e cristiani, che ancora rivendicano il diritto a ritornare nelle proprie case d’origine e a riappropriarsi dei loro beni. Qual è la Sua opinione a riguardo?
R - Le soluzioni per qualunque problema inerente ai rifugiati sono essenzialmente tre. La prima soluzione è quella in cui si verifica un miglioramento delle condizioni nella terra d'origine, tanto da azzerare i motivi alla base della loro fuga e consentire ai profughi di tornare alle loro case. Una seconda soluzione è quando il Paese di accoglienza è disposto a offrire asilo e possibilità di iniziare una nuova vita. La terza soluzione può avverarsi quando un’altra nazione invita i rifugiati a reinsediarsi entro i propri confini. Anche questa è un'opportunità per iniziare una nuova vita. Gli Stati Uniti d’America, l’Australia e il Canada sono stati molto generosi ad offrire questa soluzione, mentre nell'Unione Europea si potrebbe condividere l'onere di accogliere rifugiati aumentando rapidamente le possibilità di reinsediamento.
La situazione dei profughi palestinesi costituisce uno dei più annosi casi di sfollamento forzato nel mondo di oggi. Si tratta di una parte integrante del conflitto israelo-palestinese, e un fattore fra i più difficili per arrivare a una soluzione giusta in questa crisi. Le cause del problema devono essere affrontate, con "salde garanzie per i diritti di tutti i popoli coinvolti, sulla base della legge internazionale e delle importanti risoluzioni e dichiarazioni delle Nazioni Unite" (Papa Giovanni Paolo II, discorso all’Eliporto di Betlemme nei Territori Autonomi Palestinesi, 22 marzo 2000).
La Chiesa cattolica è presente fin dall'inizio tramite la sua Missione Pontificia per la Palestina, che fornisce e coordina l'assistenza umanitaria cattolica ai rifugiati.

D - Alla luce di quanto sta accadendo sugli scenari siriano e malese, come il suo Ufficio può intervenire o è intervenuto per soccorrere le popolazioni inermi, vittime delle guerre?
R - Gli interventi da parte del nostro ufficio sono limitati. A volte possiamo incoraggiare le Chiese locali nei loro sforzi, invitandole a partecipare più attivamente all’opera di assistenza, o a rivolgere la loro attenzione su alcuni specifici aspetti di un problema. Nei periodi di grave crisi, la Chiesa cattolica locale cerca di essere presente attraverso le sue strutture e di affrontare i diversi problemi dei rifugiati. La sua azione si svolge tramite gli uffici diocesani, la Caritas, la Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni o il Jesuit Refugee Service. Attualmente si sta adoperando su diversi fronti, come in Mali, in Somalia, nella Repubblica Democratica del Congo e nei riguardi degli sfollati e dei rifugiati in Siria o nei Paesi circostanti. Le richieste sono enormi. Si prevede che nei prossimi mesi la crisi siriana si aggraverà ancor più e il numero dei rifugiati raddoppierà. Si passerà dagli attuali 650 mila a più di un milione e centomila profughi fuori dalla Siria, e nei prossimi sei mesi saranno necessari finanziamenti per circa un miliardo e cinquecento milioni di dollari.
Solo una massiccia risposta da parte della comunità internazionale può affrontare un problema di tale entità. Naturalmente, anche le comunità cristiane e i singoli individui sono invitati a sostenere queste cause. Noi cristiani possiamo scorgere il volto di Cristo in quanti sono in fuga, proprio come indica uno dei passaggi più impegnativi della Bibbia: “[Signore], quando mai ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato?” (Mt 25, 38).

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