martedì, novembre 13, 2012
Vuole che la gente lo chiami semplicemente Justin. Sarà il 105° Arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e entrerà ufficialmente nella celebre cattedrale il 21 marzo 2013.

del nostro corrispondente in Gran Bretagna Renato Zilio

Sguardo mite, sorridente, leggermente intellettuale: è il nuovo designato ad Arcivescovo di Canterbury, massima autorità spirituale anglicana, che emerge in tutti giornali. La candidatura del vescovo Justin Welby, con poco più di cinquant’anni di età, è sorta come un coniglio dal cappello. Una vera sorpresa. Molto spesso, questo è anche lo stile di Dio. Sorprendere, infatti, è infrangere i calcoli umani. “È il nostro Obama” si spinge a dire il corrispondente di un giornale.

Nessuno avrebbe immaginato, all’annuncio delle dimissioni dell’attuale primate Rowam William qualche mese fa, un successore con appena qualche mese di ordinazione episcopale, per dirigere i 79 milioni di fedeli anglicani nel mondo. Un incarico altamente strategico, alla frontiera tra società civile e religiosa, tra Gran Bretagna e mondo intero. Gli elementi, tuttavia, che lo distinguono da qualsiasi nostro arcivescovo non si riducono a questo. “Il successo avuto nel mondo non ecclesiastico non lo renderà un estraneo al mondo reale” titola il Times. Ricordando così i suoi undici anni di attività in una compagnia petrolifera internazionale, di cui era diventato il tesoriere, prima di essere ordinato prete. Nella difficile e contrastata situazione del mondo anglicano, Rowam William invocava “un successore dalla solidità di un bue e la pelle di un rinoceronte”. Ciononostante, gli riconosce grazia, pazienza, saggezza e... humour. Qualità che serviranno per “mettere olio in acque agitate”, sottolineano ancora i giornali, richiamando in mente il suo vecchio mestiere. In quanto “peacemaker” nel mondo, lo sanno preoccupato poi di portare la Buona Novella e la riconciliazione prima di tutto all’interno della Chiesa.

“Può andare ad una riunione, ottenere ciò che desidera e non farsi nessun nemico,” titola entusiasticamente il Times. Secondo lo spirito pragmatico degli inglesi si vagliano le sue qualità e in particolare questa preziosa capacità di gestire i conflitti. “Gifted strategist”, stratega dotato, lo definiscono. “Persuasive and discreet,” ma non timoroso di stare sui suoi piedi. Forse, in questo messo alla prova anche nell’ambiente familiare. Infatti ha cresciuto cinque figli, anzi sei, ma uno perduto in un incidente stradale che fu una prova forte di fede, come lui stesso ricorda. Due scogli prossimamente lo attendono: l’ordinazione di donne-vescovo e la problematica del mondo gay. Ed è questa la prima linea di un’altra tradizione religiosa, ben differente dalla nostra storia e dalla nostra sensibilità. Con l’esperienza passata e la competenza in materia non mancherà di intervenire, pure, con una precisa preoccupazione per il bene comune, nel mondo della finanza, sempre più strategico nella società d’oggi con le sue pieghe più oscure.

Ricordava alla BBC che il compito di un arcivescovo è di essere cristiano. Ciò significa “una profonda e appassionata preoccupazione per la giustizia sociale nella società di oggi”. Le sue armi di fronte ai giornalisti che lo assediano sono l’auto-commiserazione e l’elogio appassionato degli altri o dei predecessori. Armi preziose, sicuramente anche nel gestire i conflitti. Umiltà ed empatia, infatti, sono la via maestra per saper vivere insieme. Ancora una lezione, pur senza salire sul pulpito.

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