Il ministro Fornero avvia il dibattito con le parti sociali sulla riforma del mondo del lavoro sottolineando più volte che mancano risorse per gli ammortizzatori sociali e che quindi il reddito minimo potrebbe essere inserito nella riforma prevedendo però “una applicazione dilazionata”.
E-ilmensile - Anche la presidente di Confindustria Marcegaglia ci tiene a sottolineare che “abbiamo ragionato su una riforma più profonda degli ammortizzatori sociali e ci siamo detti aperti a ragionare su Cassa integrazione e indennità di licenziamento ma anche che, al momento, dobbiamo fronteggiare una grande crisi e quindi per ora che non si debba procedere a grandi cambiamenti”. Il Sole24Ore (cioè Confindustria) di oggi commenta: “La richiesta che arriva a gran voce da una schiera nutrita di parti sociali è quella di costruire un sistema universale di tutele che protegga tutti coloro che si trovano senza un impiego. In che modo? Rete Imprese (l`associazione che riunisce Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti), per esempio, chiede di ridurre la frammentazione degli ammortizzatori sociali per eliminare oneri, disfunzioni e iniquità, ma senza scaricare compiti impropri sulle aziende; Cgil, Cisl e Uil, invece, propongono uno schema assicurativo con un contributo da parte di tutte le imprese. Le risorse pubbliche, d`altro canto, sono risicate”.
Insomma, nell’architettura che si va delineando non si capisce come affrontare i costi della flessibilità. Il foglio confindustriale, si lancia in un’ipotesi: “Probabile che si opti per una razionalizzazione degli ammortizzatori esistenti, riducendo le inefficienze ed estendendo la platea di contribuenti”. [qui, una lista delle aziende ammesse agli ammortizzatori sociali, ndr]
È lo stesso parere di Massimo Pallini, professore di diritto del lavoro all’Università degli Studi di Milano, che a “E-online” dichiara: “si possono salvare un po’ di soldi razionalizzando gli ammortizzatori già presenti ed estendendo l’onere contributivo a tutte le imprese; certo – aggiunge – non si arriva a garantire la copertura della spesa per gli ammortizzatori contro la disoccupazione di 3 anni di durata all’80 per cento dell’ultima retribuzione”.
E quindi? Dove si vanno a pescare gli altri soldi? In questi giorni, si è fatta strada l’ipotesi che anche gli ammortizzatori possano essere privatizzati, così come è avvenuto con la previdenza complementare. Sarebbe un bel regalo per le assicurazioni, che a questo punto potrebbero anche diventare obbligatorie.
Di nuovo Pallini: “Si può pensare ad una sorta di privatizzazione degli ammortizzatori (sarebbe un po’ un ritorno alle origini) rimettendo ad enti bilaterali di categoria o per più categoria omogenee, composti da rappresentanti di sindacati e associazioni dei datori , quello di disciplinare, gestire e finanziare sistemi di ammortizzatori sociali e servizi di formazione e placement privati.”
E-ilmensile - Anche la presidente di Confindustria Marcegaglia ci tiene a sottolineare che “abbiamo ragionato su una riforma più profonda degli ammortizzatori sociali e ci siamo detti aperti a ragionare su Cassa integrazione e indennità di licenziamento ma anche che, al momento, dobbiamo fronteggiare una grande crisi e quindi per ora che non si debba procedere a grandi cambiamenti”. Il Sole24Ore (cioè Confindustria) di oggi commenta: “La richiesta che arriva a gran voce da una schiera nutrita di parti sociali è quella di costruire un sistema universale di tutele che protegga tutti coloro che si trovano senza un impiego. In che modo? Rete Imprese (l`associazione che riunisce Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti), per esempio, chiede di ridurre la frammentazione degli ammortizzatori sociali per eliminare oneri, disfunzioni e iniquità, ma senza scaricare compiti impropri sulle aziende; Cgil, Cisl e Uil, invece, propongono uno schema assicurativo con un contributo da parte di tutte le imprese. Le risorse pubbliche, d`altro canto, sono risicate”.Insomma, nell’architettura che si va delineando non si capisce come affrontare i costi della flessibilità. Il foglio confindustriale, si lancia in un’ipotesi: “Probabile che si opti per una razionalizzazione degli ammortizzatori esistenti, riducendo le inefficienze ed estendendo la platea di contribuenti”. [qui, una lista delle aziende ammesse agli ammortizzatori sociali, ndr]
È lo stesso parere di Massimo Pallini, professore di diritto del lavoro all’Università degli Studi di Milano, che a “E-online” dichiara: “si possono salvare un po’ di soldi razionalizzando gli ammortizzatori già presenti ed estendendo l’onere contributivo a tutte le imprese; certo – aggiunge – non si arriva a garantire la copertura della spesa per gli ammortizzatori contro la disoccupazione di 3 anni di durata all’80 per cento dell’ultima retribuzione”.
E quindi? Dove si vanno a pescare gli altri soldi? In questi giorni, si è fatta strada l’ipotesi che anche gli ammortizzatori possano essere privatizzati, così come è avvenuto con la previdenza complementare. Sarebbe un bel regalo per le assicurazioni, che a questo punto potrebbero anche diventare obbligatorie.
Di nuovo Pallini: “Si può pensare ad una sorta di privatizzazione degli ammortizzatori (sarebbe un po’ un ritorno alle origini) rimettendo ad enti bilaterali di categoria o per più categoria omogenee, composti da rappresentanti di sindacati e associazioni dei datori , quello di disciplinare, gestire e finanziare sistemi di ammortizzatori sociali e servizi di formazione e placement privati.”
Gabriele Battaglia
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