Il 12 settembre ha visto una concentrazione di eventi importanti per il futuro dell’Unione europea, in particolare per la ricerca di vie d’uscita dalla crisi dell’Eurozona
Città Nuova -Gli otto giudici della Corte costituzionale di Karlsruhe hanno autorizzato la Germania a ratificare il trattato di disciplina di bilancio, voluto dalla cancelliera Merkel e firmato da 25 dei 27 stati membri dell’Ue (il fiscal compact), e il Meccanismo europeo di stabilità (MES), il famoso fondo salva-stati permanente che sostituirà il fondo temporaneo attivato per aiutare gli stati della zona euro in difficoltà. Il fondo temporaneo è stato finora utilizzato per iniettare liquidità nelle casse di Grecia, Portogallo e Irlanda, in momenti in cui gli spread rispettivi erano saliti alle stelle e questi stati non erano più in grado di finanziarsi sui mercati.
Il MES dovrebbe quindi diventare operativo a ottobre e procedere alla ricapitalizzazione urgente del settore bancario in Spagna (ci sono tra 60 e 100 miliardi di euro in gioco) e, forse, al rilascio di una nuova tranche di aiuti alla Grecia. Dico forse perché – come si dice in Gran Bretagna, “non esiste un pasto gratis”, e l’accesso alla solidarietà finanziaria degli stati membri dell’Eurozona è subordinato al rispetto di pesanti condizioni. La Grecia si era impegnata, al momento dell’aiuto, a risanare in tempi ragionevoli le proprie finanze pubbliche, assai pericolanti. Nel frattempo, le doppie elezioni legislative, una recessione di oltre il 6 per cento, ed una situazione sociale sull’orlo del collasso hanno spinto il governo greco a chiedere più tempo per rispettare gli impegni, tra cui una maxi riduzione della spesa pubblica di oltre 11 miliardi. La troika (Commissione Ue-Bce-FMI) è in Grecia per valutare le reali possibilità di risanamento, e si pronuncerà in autunno. Una pronuncia di cui dipenderà la possibilità della Grecia di ricevere nuovi aiuti, e la permanenza o meno del paese nell’area euro (mentre in ogni caso la Grecia continuerà a essere membro dell’Ue).
Tornando alla sentenza della Corte costituzionale tedesca, molto attesa dalle cancellerie europee e dai mercati (che hanno reagito le une con un sospiro di sollievo e gli altri con la solita euforia emotiva della durata di poche ore), i giudici hanno accompagnato il via libera al rafforzamento dei poteri del parlamento tedesco, che dovrà essere consultato nel caso in cui il contributo tedesco superi i 190 miliardi (su 500 miliardi di dotazione totale del MES) ed informato dell’uso che sarà fatto delle somme sborsate dal MES.
Un ulteriore sospiro di sollievo nelle capitali europee ha salutato il risultato delle elezioni politiche in Olanda. Il timore aleggiava da tempo che il partito nazionalista ed euroscettico di Geert Wilders facesse man bassa di voti e potesse rendere difficile la formazione di un nuovo governo. Proprio Wilder aveva causato la crisi di governo ad aprile, rifiutandosi di sottoscrivere i tagli di bilancio necessari a rispettare nel 2013 i criteri europei di stabilità, per poi impostare la campagna elettorale lanciando attacchi contro i generosi aiuti olandesi alle cicale spendaccione del Sud Europa e invocando l’uscita dell’euro e dall’Ue. Dopo una campagna in cui l’Europa ha concentrato l’attenzione e i dibattiti, gli elettori olandesi hanno dimostrato di credere nel progetto europeo e nella solidarietà che l’appartenervi comporta: i due maggiori partiti, infatti, i liberali di centro destra del VVD del premier uscente Rutte e i socialisti di Roemer, hanno ottenuto un risultato superiore alle aspettative, con, rispettivamente 41 e 39 seggi su 150 – mentre il Partito della Libertà di Wilders crollava dal 24 a 13 seggi. Ora si tratta di mettere in piedi una coalizione – si parla di settimane, forse di mesi – ma intanto un Parlamento non dominato da euroscettici, in uno dei Paesi chiave per il futuro dell’euro (è uno dei quattro Stati con la tripla A nel rating delle agenzie di notazione) è un buon segnale per il difficile e lungo processo di uscita della crisi dell’eurozona.
Città Nuova -Gli otto giudici della Corte costituzionale di Karlsruhe hanno autorizzato la Germania a ratificare il trattato di disciplina di bilancio, voluto dalla cancelliera Merkel e firmato da 25 dei 27 stati membri dell’Ue (il fiscal compact), e il Meccanismo europeo di stabilità (MES), il famoso fondo salva-stati permanente che sostituirà il fondo temporaneo attivato per aiutare gli stati della zona euro in difficoltà. Il fondo temporaneo è stato finora utilizzato per iniettare liquidità nelle casse di Grecia, Portogallo e Irlanda, in momenti in cui gli spread rispettivi erano saliti alle stelle e questi stati non erano più in grado di finanziarsi sui mercati.
Il MES dovrebbe quindi diventare operativo a ottobre e procedere alla ricapitalizzazione urgente del settore bancario in Spagna (ci sono tra 60 e 100 miliardi di euro in gioco) e, forse, al rilascio di una nuova tranche di aiuti alla Grecia. Dico forse perché – come si dice in Gran Bretagna, “non esiste un pasto gratis”, e l’accesso alla solidarietà finanziaria degli stati membri dell’Eurozona è subordinato al rispetto di pesanti condizioni. La Grecia si era impegnata, al momento dell’aiuto, a risanare in tempi ragionevoli le proprie finanze pubbliche, assai pericolanti. Nel frattempo, le doppie elezioni legislative, una recessione di oltre il 6 per cento, ed una situazione sociale sull’orlo del collasso hanno spinto il governo greco a chiedere più tempo per rispettare gli impegni, tra cui una maxi riduzione della spesa pubblica di oltre 11 miliardi. La troika (Commissione Ue-Bce-FMI) è in Grecia per valutare le reali possibilità di risanamento, e si pronuncerà in autunno. Una pronuncia di cui dipenderà la possibilità della Grecia di ricevere nuovi aiuti, e la permanenza o meno del paese nell’area euro (mentre in ogni caso la Grecia continuerà a essere membro dell’Ue).
Tornando alla sentenza della Corte costituzionale tedesca, molto attesa dalle cancellerie europee e dai mercati (che hanno reagito le une con un sospiro di sollievo e gli altri con la solita euforia emotiva della durata di poche ore), i giudici hanno accompagnato il via libera al rafforzamento dei poteri del parlamento tedesco, che dovrà essere consultato nel caso in cui il contributo tedesco superi i 190 miliardi (su 500 miliardi di dotazione totale del MES) ed informato dell’uso che sarà fatto delle somme sborsate dal MES.
Un ulteriore sospiro di sollievo nelle capitali europee ha salutato il risultato delle elezioni politiche in Olanda. Il timore aleggiava da tempo che il partito nazionalista ed euroscettico di Geert Wilders facesse man bassa di voti e potesse rendere difficile la formazione di un nuovo governo. Proprio Wilder aveva causato la crisi di governo ad aprile, rifiutandosi di sottoscrivere i tagli di bilancio necessari a rispettare nel 2013 i criteri europei di stabilità, per poi impostare la campagna elettorale lanciando attacchi contro i generosi aiuti olandesi alle cicale spendaccione del Sud Europa e invocando l’uscita dell’euro e dall’Ue. Dopo una campagna in cui l’Europa ha concentrato l’attenzione e i dibattiti, gli elettori olandesi hanno dimostrato di credere nel progetto europeo e nella solidarietà che l’appartenervi comporta: i due maggiori partiti, infatti, i liberali di centro destra del VVD del premier uscente Rutte e i socialisti di Roemer, hanno ottenuto un risultato superiore alle aspettative, con, rispettivamente 41 e 39 seggi su 150 – mentre il Partito della Libertà di Wilders crollava dal 24 a 13 seggi. Ora si tratta di mettere in piedi una coalizione – si parla di settimane, forse di mesi – ma intanto un Parlamento non dominato da euroscettici, in uno dei Paesi chiave per il futuro dell’euro (è uno dei quattro Stati con la tripla A nel rating delle agenzie di notazione) è un buon segnale per il difficile e lungo processo di uscita della crisi dell’eurozona.
di Carlo Blengini
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