Un’altra soddisfazione per i Fratelli Paolo e Vittorio Taviani: dopo essersi aggiudicati l’ultimo Orso d’Oro al Festival di Berlino con il film “Cesare deve morire”, i due cineasti italiani hanno ricevuto oggi la notizia che la loro opera rappresenterà l’Italia alla selezione degli Oscar, da cui uscirà la cinquina di candidati per il miglior film straniero.
Radio Vaticana - Commentando la notizia poco prima di imbarcarsi per il Festival di New York, i due registi hanno detto fra l'altro: "E' davvero un bel 'buon viaggio'. Comunque il gioco è appena cominciato". “Cesare deve morire”, girato nel braccio di massima sicurezza del carcere romano di Rebibbia, ha come protagonisti i detenuti che lavorano per mettere in scena il “Giulio Cesare” di Shakespeare. Un film scarno e profondo, che ha colpito primi fra tutti gli stessi registi. Lo ricordavano così, nel marzo scorso, nell’intervista di Luca Pellegrini: ascolta
R. - (Paolo Taviani) Noi pensiamo che l’arte è una scoperta per questi detenuti, dolorosissima, perché lo dice con dolore: “Allora esiste anche un mondo che non conoscevo? E ora ho scoperto che cosa ho perduto, oltre tutto quello che ho già perduto e lo sapevo!”. Quindi, dà sofferenza e dolore la scoperta di questo Shakespeare. Al tempo stesso, pensiamo che la scoperta dell’arte possa aver creato una coscienza nuova, per certi aspetti, anche in questi carcerati e questa autocoscienza forse li aiuterà ad affrontare alcuni aspetti della vita dolorosa che vivono giorno dopo giorno.
D. - All’inizio i vostri detenuti-attori si presentano con forza e verità. Come hanno commentato questa vostra richiesta?
R. - (Vittorio Taviani) Noi ci siamo molto emozionati e, attraverso questi detenuti, abbiamo capito qualcosa di ciascuno di loro, della loro natura, del loro dolore… E poi, vederli tutti quanti schierati, ciascuno con la condanna e la colpa che ha compiuto… Le dirò, noi abbiamo avuto dispiacere a farli vedere improvvisamente sul grande schermo, ma era l’unica maniera perché il pubblico capisse davvero che non sono soltanto dei bravi filodrammatici, ma si portando dentro un dolore - come diceva Paolo - che è un dolore del passato e che è un dolore del presente.
Radio Vaticana - Commentando la notizia poco prima di imbarcarsi per il Festival di New York, i due registi hanno detto fra l'altro: "E' davvero un bel 'buon viaggio'. Comunque il gioco è appena cominciato". “Cesare deve morire”, girato nel braccio di massima sicurezza del carcere romano di Rebibbia, ha come protagonisti i detenuti che lavorano per mettere in scena il “Giulio Cesare” di Shakespeare. Un film scarno e profondo, che ha colpito primi fra tutti gli stessi registi. Lo ricordavano così, nel marzo scorso, nell’intervista di Luca Pellegrini: ascolta
R. - (Paolo Taviani) Noi pensiamo che l’arte è una scoperta per questi detenuti, dolorosissima, perché lo dice con dolore: “Allora esiste anche un mondo che non conoscevo? E ora ho scoperto che cosa ho perduto, oltre tutto quello che ho già perduto e lo sapevo!”. Quindi, dà sofferenza e dolore la scoperta di questo Shakespeare. Al tempo stesso, pensiamo che la scoperta dell’arte possa aver creato una coscienza nuova, per certi aspetti, anche in questi carcerati e questa autocoscienza forse li aiuterà ad affrontare alcuni aspetti della vita dolorosa che vivono giorno dopo giorno.
D. - All’inizio i vostri detenuti-attori si presentano con forza e verità. Come hanno commentato questa vostra richiesta?
R. - (Vittorio Taviani) Noi ci siamo molto emozionati e, attraverso questi detenuti, abbiamo capito qualcosa di ciascuno di loro, della loro natura, del loro dolore… E poi, vederli tutti quanti schierati, ciascuno con la condanna e la colpa che ha compiuto… Le dirò, noi abbiamo avuto dispiacere a farli vedere improvvisamente sul grande schermo, ma era l’unica maniera perché il pubblico capisse davvero che non sono soltanto dei bravi filodrammatici, ma si portando dentro un dolore - come diceva Paolo - che è un dolore del passato e che è un dolore del presente.
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