lunedì, agosto 06, 2012
Il nostro cammino nei monasteri di clarisse continua e giunge oggi al Monastero delle Sorelle Povere di santa Chiara di Cortona, che ci testimoniano la grazia e il dono della loro vocazione e come, non “nonostante” ma proprio “grazie” alla clausura, possono essere vicine ad ogni uomo e ad ogni donna che si rivolge a loro.

La forma di vita delle Sorelle Povere è vivere il Vangelo senza nulla di proprio, in castità, in obbedienza: ciò significa vivere radicalmente il comandamento dell’amore, essere disponibili a convertire l’egoismo e l’egocentrismo nello sguardo attento e nel cuore aperto verso Dio, verso le sorelle e i fratelli, verso tutto ciò che esiste, in spirito di servizio secondo i talenti ricevuti. La ‘santa unità’ è uno degli aspetti caratterizzanti la spiritualità clariana. E’ la sfida a cui la nostra comunità, ricca di diversità, si sente interpellata: sfida di una comunione che non si appiattisca nell’uniformità, sfida del rispetto dell’unicità di ciascuna che non scivoli nell’individualismo. Nella misura in cui viviamo responsabilmente questo cammino possiamo essere significative nell’ambiente in cui viviamo, bisognoso di testimonianza di comunione e di composizione delle differenze. Non nascondere le nostre fatiche e allo stesso tempo compiere il percorso di superamento delle stesse può essere il modo di dare una testimonianza evangelica capace di incidere nella società, donando speranza al mondo che ci circonda.

Vivere in fraternità è fare esperienza di uno dei multiformi volti della povertà. Ciascuna è parte di ‘un corpo’ e la sua storia si intreccia con quella di persone non scelte ma ricevute dal Signore in dono: ciò esige uno spogliamento interiore, chiede di fare spazio, di promuovere la vita della sorella, di non possedere tempo, gusti, iniziative, modi di vedere, ma di condividerli e di ricevere quanto l’altra offre. Ciascuna è provocata a riconoscere di aver bisogno della sorella e che la sorella ha bisogno di lei.

Noi sorelle povere possiamo offrire, nella semplicità delle nostre fraternità, un luogo in cui fermarsi, stare, ritrovare se stessi davanti a Dio. Non tanto un luogo in cui si trovano parole – anche se ciò non è escluso – ma piuttosto un luogo in cui c’è la possibilità di incontrarsi con la Parola che rivela e fa emergere quelle parole che lo Spirito suscita in ciascuno, ma che le circostanze esterne o l’affollarsi dei pensieri possono soffocare.

Accogliere l’altro, chiunque altro, così come è, nella situazione in cui si trova, è per noi sorelle un modo per essere con gli altri, per condividere la nostra scelta di vita pur essendo in clausura e diventare, allo stesso tempo, un servizio da offrire oggi alla società civile, alla città in cui viviamo, alla Chiesa in cui siamo inserite. Di fronte alla corsa del mondo per il raggiungimento di un benessere economico, fisico, sociale e in contrapposizione all’appiattimento, al vuoto e all’emarginazione che caratterizza l’esistenza dei tanti che non sono inseriti in certi meccanismi frenetici, noi ci presentiamo con ritmi di vita scanditi da “altro”: preghiera, silenzio, lavoro, vita fraterna… e offriamo a chi ci avvicina la possibilità di fare una sosta, di mettersi in ascolto del proprio silenzio, di ritrovare uno sguardo nuovo su se stessi e su ciò che li circonda. Può essere una possibilità per abbandonare “cisterne screpolate, che non tengono acqua” per ritrovare la “sorgente dell’acqua viva”? Noi ce lo chiediamo.

La grazia e il dono della nostra vocazione - nello specifico della nostra forma di vita contemplativa - anziché isolarci ed escluderci dalle gioie e dai dolori, dalle attese e dalle sfide della vita sociale, ci interpella e ci immerge ancor più profondamente nel cuore della realtà umana in tutti i suoi aspetti vitali. E’ importante, quindi, sottolineare che non “nonostante” la scelta della clausura, ma proprio a motivo di essa possiamo rimanere costantemente accanto ad ogni uomo e ad ogni donna, ascoltare ed accogliere i gemiti nascosti dei loro cuori per condividere con essi lo stesso cammino di vita contrassegnato da questo specifico tempo storico in cui ci troviamo. Non presenti “fisicamente”, senza una partecipazione visibile e toccabile, ma con la forza nascosta della fede e dell’amore, desideriamo portare nel cuore e affidare al Signore ogni realtà della nostra vita quotidiana credendo che Lui solo può portare pienamente a compimento ogni desiderio di bene.

Vivere un ruolo sociale per noi significa prima di tutto incoraggiare l’uomo a scoprire il volto di Dio presente nella storia, aiutarlo a scorgere i segni del suo amore e della sua grazia, sostenerlo nel tempo della prova affinché sappia orientare il proprio sguardo verso di lui, Signore della storia.

Molti sono i motivi per cui la gente si avvicina e si rivolge a noi, non ultimo il bisogno di un cuore (non solo una mente!) che lo ascolti e lo accolga. C’è chi si rivolge a noi per affidare situazioni dolorose, da portare nella preghiera, o per sentire accanto qualcuno che partecipi alla sua sofferenza. C’è chi bussa al monastero perché cerca il Signore e qualcuno che lo accompagni in questo cammino. C’è infine chi chiede un aiuto materiale.

Noi offriamo quello che siamo e quello che abbiamo, desiderando di farlo nel modo più semplice possibile, consapevoli che l’unico capace di dare una risposta definitiva alle domande più profonde del cuore umano è il Signore. Noi siamo suoi strumenti e collaboratrici.

Tutti noi possiamo realizzare grandi opere a servizio della società con i doni e le capacità ricevuti da Dio, ma senza il suo aiuto sperimenteremmo ben presto una gioia effimera, inconsistente, come colui che, nel racconto evangelico, costruisce la propria casa sulla sabbia.

La nostra scelta di vita desidera lasciare unicamente il primato a Dio e lasciare nelle sue mani senza alcuna resistenza tutto ciò che siamo e che speriamo, credendo che tutto possa diventare potenza di bene nella vita di ogni persona, della Chiesa, del mondo intero.

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