martedì, luglio 17, 2012
Il Congresso degli Stati Uniti ha votato e il presidente Barack H. Obama ha firmato una legge, chiamata RESTORE Act, che finanzierà - con un fondo compreso tra i 5 e i 20 miliardi di dollari - il recupero ambientale e la ricerca scientifica nell'area del Golfo del Messico dove, nel 2010, si è verificato l'esplosione della Deepwater Horizon, che causò la morte di 11 persone e la fuoriuscita di almeno 5 milioni di barili di petrolio dal pozzo Macondo, scavato a 1.500 metri di profondità. 

GreenReport - Il RESTORE Act, sostiene con un minimo di trionfalismo Science, la più importante rivista scientifica americana, trasforma uno dei più importanti eventi di inquinamento da petrolio che si siano mai verificati in uno dei meglio finanziati progetti di recupero ambientale che siano mai stati realizzati al mondo. La legge prevede, infatti, che l'80% della "multa" che dovrà pagare la multinazionale petrolifera inglese BP, proprietaria dell'impianto e responsabile dell'incidente. La causa in tribunale non si è ancora conclusa. Ma le previsioni sono, appunto, che la compagnia sarà costretta a pagare un conto molto salato: tra i 6 e i 25 miliardi di dollari. Finora la BP ha consegnato alle autorità americane 500 milioni di dollari per finanziare la ricerca sull'impatto ecologico ed economico dell'incidente e 1 miliardo di dollari per (iniziare a ) pagare i danni diretti dell'incidente.

La volontà del Congresso e del presidente americano è chiara. E si fonda sul combinato disposto di due principi, niente affatto scontati nella storia dell'inquinamento ambientale. Da un lato il principio del "chi inquina, paga". E dall'altro il principio "chi rompe paga e i cocci non sono suoi, ma vanno riattaccati per riformare il vaso".

Il combinato disposto di questi due principi potrebbe diventare una regola utile anche nel nostro paese, che ha centinaia di siti industriali inquinati (alcuni definiti di "interesse nazionale") ma lamenta una certa difficoltà a recuperarli, anche per mancanza di fondi.

L'obiettivo finale del RESTORE Act non è, tuttavia, punire il colpevole ma utilizzare i quattrini con cui il colpevole sarà chiamato a espiare la sua colpa per ripristinare l'integrità ecologica di un'area che ha subito non solo gli effetti dell'incidente della Deepwater Horizon, ma anche quelli di un secolo di pressione industriale scarsamente controllata.

Naturalmente occorrerà definire cosa significa ripristino delle condizioni ecologiche "ex ante" e come raggiungere l'obiettivo. Anche per questo è previsto un generoso finanziamento alla ricerca nel settore dell'ecologia marina. Nasceranno nuovi centri di studi e quelli antichi verranno potenziati.

I fondi verranno ripartiti tra i cinque stati interessati: Alabama, Florida, Louisiana, Mississippi e Texas. Tuttavia viene creato il Gulf Coast Ecosystem Restoration Council, diretto da rappresentati dei cinque stati e del governo federale, che controllerà il 60% delle risorse disponibili. Con un vincolo preciso: la metà dei fondi dovrà essere investita in un piano complessivo di ripristino ambientale, mentre l'altra metà potrà essere speso per finanziare progetti selezionati dai singoli stati.

Il 35% dei fondi sarà assegnato direttamente ai cinque stati, per i loro progetti di recupero. E, infine, il restante 5% sarà dedicato esplicitamente alla ricerca scientifica, sotto la direzione della la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l'agenzia federale che si occupa di scienza ambientali e in particolare delle scienze del mare e dell'atmosfera. La NOAA dovrà finanziare i progetti che mirano: a) creazione di "centri di eccellenza" nel ricerca in ecologia, energia ed economia; b) creazione di centri di ricerca sul recupero degli ecosistemi e sulla pesca sostenibile.

Nessuno sa se e come tutto questo si realizzerà. Certo l'impianto generale della legge è da studiare. Perché, almeno in alcune sua parti, può essere utilizzato come modello per la gestione di un incidente a forte impatto ambientale.

Pietro Greco

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