lunedì, luglio 02, 2012
Il primo sito palestinese nella lista del Patrimonio dell’umanità: riconoscimento politico o speranza per i suoi abitanti?

di Mariangela Laviano

Betlemme, il cui nome in ebraico, Beit Lehem, significa "casa del pane" e in arabo, Bait Lahm, “casa della carne” ha vinto la sua “battaglia”: la chiesa della Natività, incluso il percorso del pellegrinaggio, sono entrati a far parte dei siti ritenuti “Patrimonio mondiale dell’Umanità” da parte dell’Unesco. Questa notizia, che ha fatto indignare Israele e Stati Uniti, ha invece suscitato grande soddisfazione da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese, che aveva presentato richiesta con “procedura d’urgenza” in quanto la zona era ritenuta in stato di degrado. Certo questa motivazione non è piaciuta a Israele che, pur non essendo contrario all’iscrizione del sito nel Patrimonio mondiale, ha interpretato questa mossa dell’Autorità Palestinese come un voler sottolineare una mancanza di attenzione di Israele per la Basilica.

Crediamo che visitare la Basilica della Natività sia un’esperienza che giustifica ampiamente il riconoscimento conferito dall’Unesco, anche in ragione del fatto che il sito, meta di innumerevoli pellegrinaggi, abbraccia fraternamente ogni anno decine di migliaia di uomini di fede sia cattolica che ortodossa, su un territorio che ha una popolazione per la gran parte di fede islamica. Il tutto deve essere poi inquadrato in un contesto geo-politico per cui la piccola cittadina di Betlemme, in linea d’aria prossima alla più ricca Gerusalemme, è pressoché “assediata” da decine e decine di chilometri di blocchi di cemento armato e torrette di avvistamento che la isolano dal contesto territoriale, pregiudicando il commercio e la libera circolazione delle persone. A tal riguardo forse non tutti sanno che la conseguenza di questo “apartheid non ufficializzato” è proprio l’isolamento di artigiani e commercianti, anche arabi di fede cristiana, che sopravvivono solo grazie ai viaggi dei pellegrini che decidono di pernottare nella zona palestinese piuttosto che a Gerusalemme. Ecco allora le ragioni che dovrebbero spingere ognuno di noi a sostenere la decisione dell’Unesco, vivendo questa scelta per ciò che essa veramente significa: la possibilità per la popolazione di Betlemme di continuare a preservare il proprio inestimabile “tesoro” al di là delle ambigue posizioni politiche che rappresentano un valore marginale rispetto alla chance di una vita migliore.

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