lunedì, luglio 02, 2012
Si è svolto lunedì 18 giugno il convegno promosso dai frati del Sacro Convento di Assisi per riflettere sulla difficile crisi che stiamo vivendo e proporre soluzioni concrete. Intervista a Luigi Bozzi dell’Ofs.

di Monica Cardarelli

“E io lavoro con le mie mani e voglio lavorare… voglio che tutti lavorino”: questo il titolo dell’incontro che, riprendendo le frasi del Testamento di san Francesco (FF 119), ha voluto riflettere sull’attuale crisi economica e fornire un contributo concreto alla sua soluzione. Alla giornata di lavoro hanno partecipato il ministro Corrado Passera, il Presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini, il Presidente di Confcommercio-Imprese per l’Italia Carlo Sangalli, il prof. Stefano Zamagni e altri rappresentanti delle istituzioni. Ha aperto gli interventi il saluto del Custode del Sacro Convento, P. Giuseppe Piemontese, cui sono seguiti gli interventi di P. Maurizio Annoni (OFM Cappuccini) e Fra Giorgio Silvestri (OFM Conventuali). In rappresentanza dell’Ordine Francescano Secolare ha partecipato Luigi Bozzi, che negli anni scorsi ho ricoperto ruoli significativi nell’ambito dell’ordine sia a livello regionale che nazionale, a cui abbiamo il piacere di rivolgere alcune domande.

D. Alla giornata di riflessione e studi del 18 giugno lei ha raccontato la sua esperienza di vita, fornendo così una proposta concreta. Ce ne vuole parlare?
R. Io e mia moglie Piera, con cui sono sposato da 32 anni, siamo francescani secolari, cioè laici appartenenti alla grande famiglia francescana. Dopo aver collaborato in un progetto missionario con i frati minori in Congo Brazzaville, abbiamo riflettuto sul fatto che molta “Africa” ci fosse anche sotto casa nostra, così abbiamo avuto l’opportunità di realizzare il nostro sogno a Milano, in zona Garibaldi, dove ora viviamo da 8 anni in un ex oratorio che era abbandonato e che, dopo aver ristrutturato coinvolgendo amici, volontari e francescani, abbiamo fatto rivivere. Appena trasferiti con la famiglia (abbiamo 4 figli) il nostro pensiero era di conoscere il nostro nuovo quartiere, lavorare per renderlo più vivace, portare gioia nella vita locale e lavorare a favore di persone bisognose o socialmente escluse. Viviamo in Via Farini, zona Garibaldi, in pieno centro e vicino alle vie della moda e dei divertimenti serali e notturni come Corso Como. Un quartiere ricco di contraddizioni dove accanto ai locali del divertimento di divi e calciatori molte famiglie non riescono ad arrivare alla fine del mese e molti ragazzi sono per strada perché non accolti in famiglia o appartenenti a famiglie disgregate. Noi abbiamo visto in loro il Signore a cui restituire i doni ricevuti e così oggi il nostro progetto, che si chiama Qiqajon (nome in ebraico della pianta che diede sollievo al profeta Giona nel suo viaggio verso Ninive), vede in questa struttura diverse attività: un micro-nido che accoglie 10 bambini da 1 a 3 anni, 2 centri diurni che ogni giorno accolgono 25 ragazzi delle scuole medie inferiori e 15 adolescenti delle scuole medie superiori.


D. Sono servizi offerti in totale gratuità e che possono anche creare posti di lavoro?
R. Sì, perché tutte queste attività, che danno lavoro a 5 dipendenti della nostra associazione, sono completamente gratuite per chi ne usufruisce. Abbiamo desiderato cioè restituire in modo gratuito e non far diventare questa azione sociale un mezzo di sostentamento economico. Credo voi sappiate quanto costi a Milano un posto al nido: siamo dai 450 ai 600 € mese. Al micro-nido “il Germoglio”, così l’abbiamo chiamato, non si paga alcuna retta e le 2 educatrici addette accolgono bimbi provenienti da famiglie che non avrebbero in alcun modo potuto accedere a un servizio analogo: stranieri senza permesso di soggiorno, bimbi di ragazze madri senza più la presenza del padre, bimbi di famiglie senza possibilità economiche. Sono solo 10 i nostri bambini ma rappresentano il mondo, e gli italiani non sono certo esclusi. Così anche i 2 centri diurni, che vedono ragazzi accolti da 3 operatori fissi e numerosi volontari che li aiutano non solo a fare i compiti ma anche a condividere con loro un tratto della loro vita.
Piera, mia moglie, è la direttrice di tutto questo: lavora a tempo pieno nell’organizzare e programmare le attività e lo fa volontariamente senza percepire salario; io, lavorando per mantenere la famiglia, mi occupo della gestione e delle relazioni. Insieme e con l’aiuto di un frate assistente cerchiamo di tenere alta la motivazione e i valori per i quali abbiamo deciso di metterci in gioco: l’accoglienza, la solidarietà, la sobrietà, la gioia. Sì, proprio la gioia, poiché ci impegniamo con fatica a volte a vivere una fede più coerente e quindi più aderente all’insegnamento del Vangelo.


D. Da cosa nasce questo progetto? Quali le necessità che avete sentito, le situazioni che vi hanno spinto a concretizzare un modo di vivere diverso?
R. La mia esperienza professionale, nei diversi ruoli di responsabilità ricoperti nelle varie aziende in cui ho lavorato, è sempre stata nell’ambito dell’attività commerciale. Ho notato però anno dopo anno un lento ma costante deterioramento dei rapporti di lavoro dovuto anche alle varie crisi economiche avvenute. Questa ultima che stiamo ancora vivendo penso però sia la più drammatica per le conseguenze e l’impatto sulle famiglie. Così come è verità il fatto che si fa sempre più netta la distanza tra la ricchezza di pochi e la fatica di molti. L’altro aspetto è che la mancanza di lavoro e la pratica spesso usata delle trattative al massimo ribasso porta le aziende, pur di prendere il lavoro, a offrire prezzi non remunerativi con il risultato che il committente crede di realizzare un risparmio immediato che alla lunga poi si tramuta in una spesa aggiuntiva per via del fatto che le aziende falliscono o lasciano i lavori incompiuti per mancanza di risorse.
Anche le relazioni interpersonali spesso si tramutano in relazioni di convenienza, e quindi a volte false e non connotate da sentimenti più umani di stima reciproca e trasparenza, ma piuttosto dal disinteresse nel momento del bisogno, qualunque esso sia. Pur vivendo in questa situazione, mi sono chiesto se sia giusto che la vita di ognuno di noi debba essere regolata solo in funzione di quanto guadagno in termini di denaro da una certa operazione o da una certa conoscenza, e se questo porta una felicità ed un entusiasmo verso la vita.


D. Una delle riflessioni che avete fatto prima di intraprendere tale cammino è stata quella della gratuità dei doni ricevuti e della ‘restituzione’ gratuita. Mi sembra un aspetto molto importante: come è stato vissuto in famiglia e quanto può essere attualizzato oggi?
R. Abbiamo riflettuto sull’idea che tutto quello che abbiamo non è solo frutto di una nostra capacità di tipo economico ma ci è anche stato donato. Il dono è gratuito e non sta in una compensazione concreta che viene a seguito di un’azione commerciale, ma in una compensazione spirituale che si attua immediatamente. Nella famiglia per esempio il benessere dell’altro si riflette in benessere proprio ed è quello che i miei genitori mi hanno insegnato: vivere felice nel sapersi accontentare, nella solidarietà, nella condivisione, nell’accoglienza gratuita e nel mettere a disposizione le proprie doti umane e professionali. E’ dalla gioia dello sperimentare questo modo di essere che anche nella mia famiglia è sorto il desiderio profondo di vivere secondo questo stile e di mettere in pratica, per quel poco che riuscivamo, questa utopia. Abbiamo dialogato molte volte su quali doni noi avessimo da offrire e mettere in comune. E dopo molto ricercare, aiutati dall’amicizia di un frate che ci ha seguiti spiritualmente nel nostro cammino di vita, abbiamo cercato di trovare una via nostra di realizzazione di un sogno per cui valesse la pena mettersi in gioco e dedicare la nostra vita.


D. Al convegno fra Giorgio Silvestri, OFM Conv., ha presentato due proposte concrete: la creazione di un osservatorio economico francescano e la creazione di una grande iniziativa di concertazione a livello mondiale, poiché a suo avviso serve un incontro tra esperti e governanti del mondo. Cosa ne pensa? Ha altre proposte da fare?
R. Personalmente sono favorevole alle proposte fatte, nella speranza che queste iniziative non servano solo agli studiosi, ma concretamente orientino le scelte dei politici e dei potentati economici per migliorare la vita di tutti noi e riequilibrare la distanza tra chi ha molto e chi non ha niente. Noi francescani tutti dobbiamo stare dalla parte di chi soffre di più: dalla parte di chi non ha lavoro,dalla parte dei precari, dalla parte di chi ha necessità di sostegno sociale, dalla parte dei poveri. Dobbiamo mettere in pratica quell’economia del dono che consiste nel mettersi personalmente in gioco e far emergere quello che di più bello sta dentro di noi a favore dei più deboli, ma con fatti concreti e non solo con parole.

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