Il ciclo di riflessioni quaresimali con le parole di Francesco e Chiara prosegue in questi giorni della Settimana Santa con nuovi appuntamenti quotidiani a cura di Monica Cardarelli
I giorni del Triduo pasquale rappresentano il fulcro delle celebrazioni della settimana Santa. Abbiamo appena assistito nel Giovedì Santo ad un episodio particolare, strano anche per gli apostoli: Gesù che si inginocchia e lava i piedi ai suoi amici, ammonendoli di fare altrettanto gli uni gli altri. Non si tratta solo di un atteggiamento servizievole, di carità e di attenzione; l’evangelista Giovanni infatti, prima di narrare l’episodio precisa: “Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. Ecco il motivo di quel gesto, l’amore.
Per amarci “sino alla fine”, la notte seguente Gesù non si tirerà indietro di fronte alle guardie chiamate da Giuda per arrestarlo e, docilmente, permetterà che si compia la volontà del Padre. “Tu sei mansuetudine” ci pone davanti agli occhi un Dio debole, fragile, deriso e sbeffeggiato, che “come agnello condotto al macello, non aprì la sua bocca”. Ogni volta la violenza e la forza della passione di Cristo e la crudeltà dei suoi aguzzini ci lasciano senza fiato, a volte non riusciamo nemmeno a guardare quelle mani e quei piedi trafitti dai chiodi della croce. Quasi ci disturba, ci infastidisce. Forse preferiremmo un Dio che si salva, che reagisce, si libera o con qualche intervento miracoloso pone fine a questa atroce sofferenza e finalmente fa giustizia.
Eppure non è così. La mansuetudine di Gesù Cristo gli permette di restare sulla croce, di amare i suoi e tutti gli uomini sino alla fine. Ma noi, siamo disposti a restare con Maria e Giovanni e le altre donne ai piedi della croce? Riusciamo a “rimanere” di fronte alla sofferenza e all’ingiustizia, a non reagire e a prendere anche sulle nostre spalle la sua croce? Come possiamo non fuggire da quello sguardo posato su di noi con cui ci ama sino alla fine?
Ci siamo trovati con gli apostoli seduti intorno al tavolo per mangiare insieme e non avevamo capito niente. Siamo stati nel Getsemani e non siamo riusciti a stare svegli e pregare nemmeno per un’ora. Eravamo con Pietro che in un primo momento non voleva che Gesù gli lavasse i piedi e poco dopo eravamo con lui quando lo ha rinnegato per tre volte. Abbiamo aiutato Simone di Cirene o stavamo in mezzo alla folla a gridare con gli altri “Crocifiggilo!”?
Oggi vogliamo, con Maria e Giovanni, “rimanere” sotto la croce di quel Dio mansueto che ci ha amati sino alla fine, vogliamo solo “rimanere”. “E, in basso, contempla l’ineffabile carità per la quale volle patire sul legno della croce e su di essa morire della morte più infamante. Perciò è lo stesso specchio che, dall’alto del legno della croce, rivolge ai passanti la sua voce perché si fermino a meditare. O voi tutti, che sulla strada passate, fermatevi a vedere se esiste un dolore simile al mio; e rispondiamo, dico a Lui che chiama e geme, ad una voce e con un solo cuore: Non mi abbandonerà mai il ricordo di te e si struggerà in me l’anima mia”. (IV Lettera di Chiara d’Assisi ad Agnese di Praga)
Per leggere tutte le riflessioni del ciclo quaresimale, cliccate sull'etichetta famiglia francescana
I giorni del Triduo pasquale rappresentano il fulcro delle celebrazioni della settimana Santa. Abbiamo appena assistito nel Giovedì Santo ad un episodio particolare, strano anche per gli apostoli: Gesù che si inginocchia e lava i piedi ai suoi amici, ammonendoli di fare altrettanto gli uni gli altri. Non si tratta solo di un atteggiamento servizievole, di carità e di attenzione; l’evangelista Giovanni infatti, prima di narrare l’episodio precisa: “Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. Ecco il motivo di quel gesto, l’amore.Per amarci “sino alla fine”, la notte seguente Gesù non si tirerà indietro di fronte alle guardie chiamate da Giuda per arrestarlo e, docilmente, permetterà che si compia la volontà del Padre. “Tu sei mansuetudine” ci pone davanti agli occhi un Dio debole, fragile, deriso e sbeffeggiato, che “come agnello condotto al macello, non aprì la sua bocca”. Ogni volta la violenza e la forza della passione di Cristo e la crudeltà dei suoi aguzzini ci lasciano senza fiato, a volte non riusciamo nemmeno a guardare quelle mani e quei piedi trafitti dai chiodi della croce. Quasi ci disturba, ci infastidisce. Forse preferiremmo un Dio che si salva, che reagisce, si libera o con qualche intervento miracoloso pone fine a questa atroce sofferenza e finalmente fa giustizia.
Eppure non è così. La mansuetudine di Gesù Cristo gli permette di restare sulla croce, di amare i suoi e tutti gli uomini sino alla fine. Ma noi, siamo disposti a restare con Maria e Giovanni e le altre donne ai piedi della croce? Riusciamo a “rimanere” di fronte alla sofferenza e all’ingiustizia, a non reagire e a prendere anche sulle nostre spalle la sua croce? Come possiamo non fuggire da quello sguardo posato su di noi con cui ci ama sino alla fine?
Ci siamo trovati con gli apostoli seduti intorno al tavolo per mangiare insieme e non avevamo capito niente. Siamo stati nel Getsemani e non siamo riusciti a stare svegli e pregare nemmeno per un’ora. Eravamo con Pietro che in un primo momento non voleva che Gesù gli lavasse i piedi e poco dopo eravamo con lui quando lo ha rinnegato per tre volte. Abbiamo aiutato Simone di Cirene o stavamo in mezzo alla folla a gridare con gli altri “Crocifiggilo!”?
Oggi vogliamo, con Maria e Giovanni, “rimanere” sotto la croce di quel Dio mansueto che ci ha amati sino alla fine, vogliamo solo “rimanere”. “E, in basso, contempla l’ineffabile carità per la quale volle patire sul legno della croce e su di essa morire della morte più infamante. Perciò è lo stesso specchio che, dall’alto del legno della croce, rivolge ai passanti la sua voce perché si fermino a meditare. O voi tutti, che sulla strada passate, fermatevi a vedere se esiste un dolore simile al mio; e rispondiamo, dico a Lui che chiama e geme, ad una voce e con un solo cuore: Non mi abbandonerà mai il ricordo di te e si struggerà in me l’anima mia”. (IV Lettera di Chiara d’Assisi ad Agnese di Praga)
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