Padre Timothé Diallo: "Lo stato d’animo dei maliani è molto cupo e preoccupato per un futuro sempre più incerto"
Mi
sna - "In molti qui a Bamako non riescono a mettersi in contatto con parenti e amici da tempo residenti al Nord, la cui vita è messa in pericolo dal conflitto. A questo si aggiungono le difficoltà crescenti della vita quotidiana come conseguenza delle sanzioni decise dai paesi dell’Africa occidentale nei confronti della giunta. Nei due scenari sono i civili a pagare il prezzo più alto della crisi. Bisogna agire, e in fretta, per salvare vite umane”: è l’appello rivolto alla MISNA da padre Timothé Diallo, curato della cattedrale di Bamako e responsabile della comunicazione dell’arcidiocesi.
L’unico motivo di speranza è la prospettiva di una sospensione in tempi brevi dell’embargo deciso lunedì dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas) per spingere la giunta militare al potere dal 22 marzo a favorire un ritorno all’ordine costituzionale. Una possibile distensione nella crisi è stata annunciata ieri da Djibril Bassolé, ministro degli Esteri del Burfina Faso, paese mediatore, al termine dei suoi colloqui con il capitano Amadou Sanogo. “La gente - aggiunge padre Diallo - si aspetta che la giunta esca dal silenzio per darci qualche buona notizia. Ne abbiamo tutti bisogno” .
Il deteriorarsi della situazione umanitaria in Mali è stato anche confermato dal Comitato internazionale della Croce Rossa (Icrc), da Caritas Internationalis e da altre organizzazioni. I primi a essere colpiti sono le decine di migliaia di persone scappate dai combattimenti, in corso dal 17 gennaio, e le circa 100.000 fuggite negli ultimi giorni da Kidal, Gao e Timbuctù. Bisognose di aiuti è anche chi si trova ancora nelle tre città e nei villaggi del Nord. “Numerose infrastrutture essenziali per la popolazione, in particolare centri sanitari e ospedali, sono state pesantemente danneggiate. Molti depositi di aiuti alimentari sono stati saccheggiati, soprattutto a Gao. Anche a Timbuctù la gente, già colpita dalla crisi alimentare, non ha più accesso a cibo e cure. Una situazione destinata ad aggravarsi nei prossimi giorni e settimane” riferisce un comunicato del ‘Icrc’, annunciando nuovi interventi umanitari a Gao e Timbuctù. “A complicare ulteriormente l’intervento umanitario – sottolineano fonti del ‘Icrc’ – sono i numerosi elementi che hanno armi in dotazione in tutte le città e nei villaggi della regione: per potere intervenire in modo neutrale e imparziale, è cruciale riuscire a stabilire o ristabilire il dialogo con loro”. Oltre agli sfollati interni, ci sono i rifugiati, stimati in almeno 400 al giorno, il doppio rispetto all’ultimo periodo, che stanno varcando i confini col Burkina Faso e la Mauritania.
“Abbiamo testimonianze dirette e notizie certe che comprovano che i diritti elementari delle persone non vengono rispettati. Bisogna aprire un corridoio umanitario per salvare vite umane” dice alla MISNA Brahima Koné, presidente dell’Unione interafricana dei diritti umani (Uidh), contattato a Bamako. Il difensore dei diritti umani e altre fonti locali della MISNA confermano che a scappare dal Nord sono stati “non solo i cristiani ma anche la popolazione del Sud, Bambara e Malinké, costretti dagli assalitori a andarsene”. La situazione per chi è rimasto è altrettanto rischiosa e difficile: “La gente è abbandonata a sé stessa, senza cibo né medicinali – prosegue Koné –. Edifici e negozi sono stati saccheggiati e gli interventi umanitari sono in parte bloccati. Le donne sono le prime vittime delle violenze dei ribelli e oltretutto si vedono imporre leggi, usi e costumi che non riconoscono come propri”. La situazione più grave è quella di Gao, ma in parte anche quella di Timbuctù. Chi è riuscito a fuggire e si trova ora al sicuro racconta alla MISNA che “tribù arabe e alcune etnie stabilite da decenni nella zona non sembrano disposte ad accettare le regole imposte da Ansar al Din; potrebbero esprimere il proprio dissenso anche con le armi”.
Un altro problema sono le sanzioni economiche e commerciali decise dalla Cedeao, che stanno quasi bloccando l’arrivo di prodotti alimentari e di vario genere – in particolare il carburante – dei quali il Mali è molto dipendente. Una limitazione che comincia a farsi sentire tra le fasce più deboli della popolazione, con tre milioni e mezzo di persone colpite da una grave insicurezza alimentare. La carenza di cibo sta avendo ripercussioni sui prezzi, in aumento, mentre la gente ha difficoltà a prelevare denaro contante dalle banche per via del rallentamento delle attività commerciali e dell’embargo che blocca le attività della Banca centrale.
Mi
sna - "In molti qui a Bamako non riescono a mettersi in contatto con parenti e amici da tempo residenti al Nord, la cui vita è messa in pericolo dal conflitto. A questo si aggiungono le difficoltà crescenti della vita quotidiana come conseguenza delle sanzioni decise dai paesi dell’Africa occidentale nei confronti della giunta. Nei due scenari sono i civili a pagare il prezzo più alto della crisi. Bisogna agire, e in fretta, per salvare vite umane”: è l’appello rivolto alla MISNA da padre Timothé Diallo, curato della cattedrale di Bamako e responsabile della comunicazione dell’arcidiocesi.L’unico motivo di speranza è la prospettiva di una sospensione in tempi brevi dell’embargo deciso lunedì dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas) per spingere la giunta militare al potere dal 22 marzo a favorire un ritorno all’ordine costituzionale. Una possibile distensione nella crisi è stata annunciata ieri da Djibril Bassolé, ministro degli Esteri del Burfina Faso, paese mediatore, al termine dei suoi colloqui con il capitano Amadou Sanogo. “La gente - aggiunge padre Diallo - si aspetta che la giunta esca dal silenzio per darci qualche buona notizia. Ne abbiamo tutti bisogno” .
Il deteriorarsi della situazione umanitaria in Mali è stato anche confermato dal Comitato internazionale della Croce Rossa (Icrc), da Caritas Internationalis e da altre organizzazioni. I primi a essere colpiti sono le decine di migliaia di persone scappate dai combattimenti, in corso dal 17 gennaio, e le circa 100.000 fuggite negli ultimi giorni da Kidal, Gao e Timbuctù. Bisognose di aiuti è anche chi si trova ancora nelle tre città e nei villaggi del Nord. “Numerose infrastrutture essenziali per la popolazione, in particolare centri sanitari e ospedali, sono state pesantemente danneggiate. Molti depositi di aiuti alimentari sono stati saccheggiati, soprattutto a Gao. Anche a Timbuctù la gente, già colpita dalla crisi alimentare, non ha più accesso a cibo e cure. Una situazione destinata ad aggravarsi nei prossimi giorni e settimane” riferisce un comunicato del ‘Icrc’, annunciando nuovi interventi umanitari a Gao e Timbuctù. “A complicare ulteriormente l’intervento umanitario – sottolineano fonti del ‘Icrc’ – sono i numerosi elementi che hanno armi in dotazione in tutte le città e nei villaggi della regione: per potere intervenire in modo neutrale e imparziale, è cruciale riuscire a stabilire o ristabilire il dialogo con loro”. Oltre agli sfollati interni, ci sono i rifugiati, stimati in almeno 400 al giorno, il doppio rispetto all’ultimo periodo, che stanno varcando i confini col Burkina Faso e la Mauritania.
“Abbiamo testimonianze dirette e notizie certe che comprovano che i diritti elementari delle persone non vengono rispettati. Bisogna aprire un corridoio umanitario per salvare vite umane” dice alla MISNA Brahima Koné, presidente dell’Unione interafricana dei diritti umani (Uidh), contattato a Bamako. Il difensore dei diritti umani e altre fonti locali della MISNA confermano che a scappare dal Nord sono stati “non solo i cristiani ma anche la popolazione del Sud, Bambara e Malinké, costretti dagli assalitori a andarsene”. La situazione per chi è rimasto è altrettanto rischiosa e difficile: “La gente è abbandonata a sé stessa, senza cibo né medicinali – prosegue Koné –. Edifici e negozi sono stati saccheggiati e gli interventi umanitari sono in parte bloccati. Le donne sono le prime vittime delle violenze dei ribelli e oltretutto si vedono imporre leggi, usi e costumi che non riconoscono come propri”. La situazione più grave è quella di Gao, ma in parte anche quella di Timbuctù. Chi è riuscito a fuggire e si trova ora al sicuro racconta alla MISNA che “tribù arabe e alcune etnie stabilite da decenni nella zona non sembrano disposte ad accettare le regole imposte da Ansar al Din; potrebbero esprimere il proprio dissenso anche con le armi”.
Un altro problema sono le sanzioni economiche e commerciali decise dalla Cedeao, che stanno quasi bloccando l’arrivo di prodotti alimentari e di vario genere – in particolare il carburante – dei quali il Mali è molto dipendente. Una limitazione che comincia a farsi sentire tra le fasce più deboli della popolazione, con tre milioni e mezzo di persone colpite da una grave insicurezza alimentare. La carenza di cibo sta avendo ripercussioni sui prezzi, in aumento, mentre la gente ha difficoltà a prelevare denaro contante dalle banche per via del rallentamento delle attività commerciali e dell’embargo che blocca le attività della Banca centrale.
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