martedì, gennaio 24, 2012
Abbiamo la possibilità di intervistare Mons. Carlos Maria Collazzi, Vescovo di Mercedes, Presidente della Conferenza Episcopale Uruguaya e Presidente della commissione economica del CELAM (Conferenza Episcopale dell’America Latina)

di don Vincenzo Vigilante, nostro corrispondente in Uruguay

D - Monsignor Collazzi, lei come presidente della CEU e membro del CELAM conosce molo bene la situazione dell’America Latina. Come presenterebbe ai lettori italiani la situazione religiosa di questa terra?
R - Le Chiese particolari dell’A.L. sono giovani rispetto a tante altre nel mondo. La più antica arriva a 500 anni. La Chiesa diocesana di cui sono vescovo io ha per esempio solo cinquanta anni. Una forte prima evangelizzazione le diede caratteristiche proprie. Parlare di evangelizzazione è parlare anche d’inculturazione del vangelo, La realtà di questi popoli, con tradizioni comuni e con una lingua che è praticamente comune, dà all’America e ai Caraibi una stessa caratteristica. Inoltre col passare degli anni i Sinodi particolari e poi le recenti Assemblee Generali dell’Episcopato di A.L. hanno contribuito a dare un’identità, partendo dalla ricerca di una risposta comune alle sfide che sono di tutti, tra cui la povertà dei nostri popoli. Senza dubbio il servizio del CELAM è di grande e fondamentale importanza. D’altra parte passata l’epoca della cristianità oggi l’evangelizzazione affronta le sfide della secolarizzazione, del laicismo e del relativismo che ci colpisce. Viviamo con speranza questo tempo dopo Aparecida (ultimo sinodo di L.A. ndr) e pre-Sinodo sull’Evangelizzazione (che si terrà il prossimo ottobre). Indubbiamente essere discepoli missionari è la grande sfida dell’essere cristiano oggi e per la Chiesa, come abbiamo detto nell’Assemblea di Aparecida, il formare un cristiano oggi.

D - Nel nostro giornale abbiamo presentato
la lettera pastorale dei vescovi dell’Uruguay nel Bicentenario del processo di emancipazione dell’Uruguay. Quali sono le principali sfide per i cattolici Uruguay in questo tempo?
R - L’Uruguay sta vivendo il suo Bicentenario dell’inizio del processo di emancipazione iniziato il 1811 e culminato negli anni 1825 e 1830. Una delle caratteristiche forti della nostra storia è il laicismo “alla uruguaiana” che ci segna. Dico alla uruguaiana perché i sentimenti religiosi del nostro popolo e le sue manifestazioni ci sono sempre, anche se è sempre stata scarsa, in percentuale, la pratica religiosa. Penso che la grande sfida sia l’evangelizzazione e il ruolo fondamentale dei laici nella costruzione di una società basata sulla verità, la giustizia, la libertà e l’amore. In questi termini lo abbiamo segnalato, noi vescovi dell’Uruguay, già nel primo messaggio del novembre 2010.

D - Lei è salesiano e pertanto ha una speciale attenzione al tema della educazione. E’ un tema sul quale stanno lavorando e riflettendo le comunità in Italia secondo il progetto pastorale per gli anni 2011-2020. Anche nella lettera dei vescovi uruguaiani si parla di questo tema. Può darci un suo commento?

R - L’educazione è uno dei due capitoli (l’altro è la famiglia) sviluppati nella nostra Lettera Pastorale. Fondamentalmente l’educazione è un problema di cuore. Si tratta di accompagnare, di trasmettere valori di processi d’incontro. Fondamentalmente di affrontare il tema della verità, della verità sulla persona umana, della libertà. Non si tratta solo di acquisire conoscenze, possedere scienza… Prezioso il Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno.

D - Altro tema scottante: le vocazioni sacerdotali e religiose. Com’è la situazione in A. L. e in Uruguay?

R - Una delle caratteristiche della nostra Chiesa uruguaiana è stata sempre la scarsezza di vocazioni. Ciononostante, se guardiamo le cifre sulla percentuale di presbiteri per numero di abitanti, l’Uruguay è tra i primi paesi. Abbiamo sempre avuto la grande collaborazione missionaria di altre Chiese, specialmente della Spagna e dell’Italia. Però anche la mia diocesi ha potuto mandare due anni fa il suo primo presbitero missionario in Bolivia. Per me la grande sfida sta nella dimensione vocazionale della catechesi, della Pastorale degli adolescenti e della Pastorale dei giovani. Come si presenta il tema della vocazione! Credo si stia sentendo molto forte la crisi di vocazioni religiose sia maschili che femminili.

D - Lei, come molti uruguaiani, è nipote di italiani: suo nonno veniva da un paese della Basilicata. Le chiediamo che a conclusione ci lasci un messaggio per i giovani italiani.

R - Sono nipote di un emigrante che da Brienza (Potenza) partì nell’epoca in cui si diceva “vado a fare l’America”. Lui voleva essere sacerdote ma non glielo consentirono. Si stabilì nella zona del Departamento di Colonia. Formò famiglia con la sua consorte, discendente di emigranti svizzeri del Ticino. Il mondo senza frontiere... e questo è il mio messaggio: sentirsi cittadini del mondo, senza abbandonare le caratteristiche proprie dei popoli, che bisogna sempre coltivare. Sentirsi universali (“cattolici”) è molto di più che qualunque buon fenomeno d’integrazione dei popoli. I giovani con il loro dinamismo possono buttare giù tante barriere come quelle che acuiscono tanti nazionalismi. Apprezzo molto le tante esperienze di volontariato che fanno giovani italiani in tante parti del mondo. Poco tempo fa ho visitato la diocesi di Lodi per l’invio di due presbiteri nella mia diocesi, me ne sono tornato entusiasta nel pensare che giovani di questa diocesi e di quella di Crema possano fare questa esperienza nella mia diocesi.

Grazie monsignore della sua disponibilità. Ai nostri lettori annunciamo una prossima intervista con uno dei sacerdoti di Lodi appena arrivati in Uruguay.

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