mercoledì, novembre 02, 2011
Frate Pietro, della comunità cattolica di Meknes in Marocco, ci parla di un’esperienza incredibile in occasione della Festività di Ognissanti

É un po' come quando vorresti poter dire "c'ero anch'io". Vorresti cioé esserci in quei momenti unici, irripetibili, che fanno la storia. E, si sa, "la storia siamo noi", come cantava il mitico De Gregori. Allora, in quel "noi" che è la comunione dei Santi, vorrei esserci anch'io, perchè sono proprio loro, i Santi, donne e uomini miti, di tutti i tempi e di tutte le razze, quelli che tirano avanti il carrozzone della storia. Non sono i dittatori, quelli di ieri (che oggi cadono), quelli di domani e, purtroppo, di tutti i tempi, che scrivono le pagine della storia vera. Loro fanno un gran baccano e poi lasciano il vuoto, spariscono. Ma le pagine le scrivono quelli che vincono la paura dell'altro, che non cedono alla tentazione della violenza o della chiusura in sé, che poi è la stessa cosa. Quando faccio un passo verso il diverso da me, quello che mi fa paura, faccio fare un gran balzo alla storia, giro una pagina e comincio a scrivere su un foglio bianco.

Insomma, l'avrete capito, l'avrete sentito che in questi giorni gli uomini di fede di diverse religioni si sono incontrati, si sono parlati, ascoltati. Come 25 anni fa, con Giovanni Paolo II, proprio ad Assisi, la città di un piccolo uomo che non sapeva parlare, ma che ancora fa parlare di sé, dopo 8 secoli. Altra città, altro tempo, ma stesso spirito: Meknes 30 ottobre 2011, donne e uomini credenti, figli dell'Islam e discepoli del Cristo si sono trovati per confessare insieme che Dio è l'Unico. Un pomeriggio per dirsi con semplicità, ma con il cuore, che le nostre differenze non basteranno a separarci, perchè l'amore che viene da Dio gioca proprio il gioco della diversità che attrae. E siamo entrati nel gioco, questa domenica. Ci siamo dati come tema "Imboccare il cammino della pace": l'intenzione non era tanto di dire delle "belle cose", ma di portare la nostra esperienza e la nostra speranza. Abbiamo ascoltato una suora francescana, per 30 anni professoressa di matematica in un liceo del profondo sud marocchino, quando ricordava le parole scambiate con gli studenti, a colpi (perchè no?) di S. Agostino: "L'uomo è in Dio come la spugna nell'acqua". Poi giovani studentesse dell'università di Meknes, ben velate e ben musulmane, proclamare la loro gioia di scoprire come sia possibile avere amici cristiani, o riscoprire che i giovani africani che incontrano alla facoltà sono anche loro credenti, ma forse in un modo diverso; e poi che sanno cantare a Dio in altre lingue.

E ancora: uno di questi giovani africani della parrocchia di Meknes ha testimoniato la sua gioiosa sorpresa di essere invitato alla grande festa musulmana da un compagno di corso marocchino; lo stesso studente africano (si chiama Modesto), battezzato solo qualche mese fa a Meknes, ci ha detto, con la freschezza del "neofita", che in Marocco vive profondamente il comandamento dell'amore. Ed è vero: ho passato con lui 3 ore al commissariato di polizia, insieme ad un marocchino che lo aveva aggredito per rubargli le bottiglie prese per la festa di battesimo. Denuncia fatta, ladro in galera, storia conclusa? No. I genitori del marocchino vanno da Modesto e lo supplicano di ritirare la denuncia. Modesto perdona, ritira la denuncia e adesso, quando incontra il suo "aggressore" nel quartiere, si salutano come amici.

Abbiamo poi dato spazio a interventi liberi fino al momento di dare voce alla lode. E allora la parola si è fatta musica, canto sacro, in arabo, francese, lingue africane. Le lodi a Allah e al suo profeta si sono intrecciate all'alleluia, ai canti a Gesù Signore e ai Salmi recitati in ebreo antico dall'unico giudeo presente. E poi, prima di concludere con un piccolo momento di festa, abbiamo proposto di fare un minuto di silenzio. Un minuto. Di silenzio vero, profondo. Forse è stato il momento più carico, più denso di preghiera, pareva che pure gli angeli fossero lí, ad ascoltare i cuori che battevano. Ecco cosa un'amica marocchina mi ha scritto la sera stessa, rientrata casa: "Vorrei ringraziarti per avermi invitata! Ero veramente emozionata e contenta di essere con voi! É vero: abbiamo bisogno di questi incontri che ci danno la possibilità di realizzare uno scambio spirituale e di raccontare le nostre esperienze. Io credo che se riusciamo ad accettare la differenza dell'altro e ad amarlo cosí come è, potremo vivere nella Pace. Certo, è con il diverso da me che posso completarmi! Grazie di esistere".

Beninteso, un incontro cosí non nasce dall'oggi al domani. É almeno da giugno che un piccolo gruppo si riunisce per prepararlo. Poi abbiamo invitato gli amici, perchè "la storia siamo noi: nessuno di senta escluso". Grazie Signore, di avere voluto cosí, di aver permesso che tra questi tuoi piccoli fratelli, che si riconoscono fratelli tra loro, questa volta, ci sono stato anch'io.

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