domenica, gennaio 29, 2012
In esclusiva per La Perfetta Letizia, le fiabe (fantasia o realtà?) di Silvio Foini

T
anti e tanti anni or sono, in un minuscolo paesino della val d’Ossola, Cuzzego per la precisione, venne al mondo un bimbo da una famiglia poverissima dedita al duro lavoro della lavorazione della pietra. Lo chiamarono con il nome di Michelangelo. La dura vita di quei tempi, pochi anni dopo la Grande Guerra, lo costrinse, al pari degli altri bambini, ad una vita di stenti, e certo non ebbe un’infanzia serena quale quella che può godere un bimbo dei giorni nostri nato in una città. Niente giochi se non un cerchio di legno da far correre con un bastone o una palla di pezza o la compagnia di un bastardino di cui prendersi cura. La Santa Messa domenicale celebrata nella Chiesuola di sasso e le parole del sacerdote, spesso in dialetto locale per farsi intendere dai fedeli nella maggioranza ancora analfabeti, erano l’unico diversivo di una ben misera esistenza. Michelangelo dal canto suo non aspettava altro che venisse la domenica. Gli piacevano le cose che diceva il prete, amava ascoltare le semplici prediche e i racconti della vita di Gesù che lo affascinavano. Ebbe la fortuna che i suoi genitori lo mandassero a scuola a imparar a leggere e a scrivere e lui fece tesoro di quel modesto sapere: leggeva tutto ciò che gli capitava a portata di mano.
Il parroco, vedendolo tanto ansioso di conoscere le Scritture, gli regalò un Vangelo e una vecchia Bibbia. Michelangelo aveva compiuto dieci anni, aveva terminato le scuole elementari e conosceva ormai molto bene i testi sacri. Non poteva più andare a scuola e così iniziò a lavorare duramente con suo papà. Sulle sue piccole mani si formarono i calli ma egli non vi faceva caso. La domenica serviva Messa ed era orgogliosissimo di essere un chierichetto. Si sentiva utile al Signore indossando la tonaca nera e sopra questa una sopraveste candida di pizzo da ministrante.
Era affascinato dalle vicende della vita di San Francesco che il suo paziente parroco gli veniva raccontando e si sforzava a sua volta di cercare di parlare con gli animaletti che aveva intorno, qualche cane, un gatto che stava a fissarlo incuriosito mentre parlava con lui e gli uccellini che venivano a beccare le briciole di pane che egli raccoglieva dalla povera tavola dei genitori. Aveva letto tante volte “Il cantico delle creature” che trovava bellissimo. Come aveva ragione San Francesco: tutto il creato era armonia e bellezza e cantava le lodi al suo Signore...
Crescendo, Michelangelo sentiva sempre più forte il desiderio di farsi fraticello e seguire Francesco. I suoi genitori esultarono di gioia quando disse loro che egli desiderava entrare in un convento francescano. Così, qualche anno più tardi vestì il saio e fu ordinato sacerdote. Incominciò a interessarsi al grave problema degli orfanelli che spesso vagavano per le strade dell’Ossola smagriti e smunti cercando la carità.
Correva a destra e a manca chiedendo l’aiuto di tutti per poter poi riversarlo sui piccoli bisognosi d’ogni cosa. Intanto la sua fama di uomo della carità cristiana varcava i piccoli confini della valle. Moltissimi ne ammiravano il coraggio e la tenacia piuttosto che la caparbietà nel voler aiutare quanti più bimbi poteva. Levarli dalla strada, dare loro pane e istruzione quando non un tetto era divenuto lo scopo della sua vita.
Divenne parroco di un misero rione della cittadina di Domodossola, meta di tanti emigranti che dal Sud dell’Italia venivano negli anni cinquanta qui ai confini con la Svizzera per cercare lavoro e migliorare le loro vite e quella delle famiglie.
Michelangelo si coprì di tanti debiti per portare aiuto a questa buona e povere gente. Si copriva di enormi debiti per raggiungere gli obbiettivi che di volta in volta si prefiggeva e misteriosamente questi venivano poi sempre onorati anche se a fatica. “Io come Francesco confido sempre nella Provvidenza di Dio - amava ripetere - e guarda caso Lei non mi abbandona mai.” In pochi anni, il misero rione chiamato un tempo “L’Abissinia” divenne “La Cappuccina” in onore del modesto fraticello innamorato di Dio e dei fratelli sofferenti.
La sua fama non perse tempo a diffondersi fra le popolazioni Ossolane che nel frate vedevano qualcosa di miracoloso. Ancor più quando si ammalò gravemente e in molti temettero la sua prematura scomparsa.
A Michelangelo era stato diagnosticato un brutto male che gli aveva colpito i polmoni. I sanitari avevano deciso per l’operazione, un disperato tentativo di sottrarlo alla morte. Il paziente era come sempre sereno, con l’eterno sorriso sulle labbra che spuntavano dalla folta barba rossiccia.
“Se il Signore mi chiama, come posso non rispondergli se non che sia fatta la Sua volontà e non la mia? Provate pure ad operarmi. Non ho nulla in contrario tuttavia”.
Nel mattino stabilito per l’intervento, alle sette di mattina, il chirurgo si avvicinò al letto del frate malato e gli chiese con infinita gentilezza se fosse pronto. Michelangelo, con un radioso sorriso scosse il capo. “Caro dottore, la sua opera non è più necessaria. Io sono guarito e sto benissimo!” Affermò saltando letteralmente giù dal lettino in cui sino a qualche ora prima giaceva quasi senza la forza di parlare. Il chirurgo rimase allibito e incredulo. “Ma reverendo padre... le lastre della radiografia hanno mostrato una grande massa tumorale... Come fa a dire di essere guarito?”. “San Tommaso, eh? Quello che si dice non ci creda sin che non ci metta il naso, vero dottore? Avanti, rifacciamo la radiografia. Facciamo presto perché i miei bambini mi aspettano!”
Meno di mezz’ora dopo, i sanitari rimasero a bocca aperta nell’osservare la lastra: della massa tumorale più nemmeno l’ombra! “Ma padre - l’interrogò ancora il primario con le lacrime agli occhi – Questo è un miracolo!”. Michelangelo alzando gli occhi dai sandali che si stava infilando seduto sulla sedia di metallo della radiologia lo guardò intensamente. “Ora glielo dico. Stanotte ero sprofondato in un sonno profondissimo quando San Francesco si presentò accanto al letto e mi disse: ‘Michelangelo il Signore non vuole che tu muoia. Hai ancora tanto da fare qui sulla terra. Avanti che sorga l’alba tu sarai guarito. Ti saluto, frate Michelangelo Falcioni’. Poi sparì. Quando mi ridestai, mi accorsi di non aver sognato, sa? Non avevo più alcun dolore né tosse. Tutto qui.”, affermò senza quasi dare importanza alla cosa. La notizia della miracolosa guarigione del frate della Cappuccina fece il giro della città di Domodossola con un grande clamore e la gente festeggiò per la strada. Il loro San Francesco era tornato a continuare la propria opera. Alla Cappuccina sorse una grande Chiesa e Michelangelo poté accogliere moltissimi fedeli nella Casa del Signore.
Un ministro della Repubblica Italiana, grande e sincero amico del frate, accolse la richiesta di potere avere delle case speciali per i bimbi. Gli donò e fece trasportare sul territorio alcuni vagoni ferroviari dismessi dalle F.S. che Michelangelo, con l’aiuto spontaneo di tutti, trasformò in casette per i suoi protetti. Il frate, parlando con il buon ministro, ebbe a dirgli per ringraziarlo: “Carissimo Oscar tu arriverai molto in alto!”. Oscar Luigi lo abbracciò e gli rispose: “ Tu ancor più in alto di me Michelangelo”, e mentre diceva queste parole Scalfaro indicò il Paradiso.

E questa, cari bambini è una fiaba vera. La fiaba di un grande uomo esistito veramente e che chi scrive ha avuto il fantastico privilegio di conoscere e di amare. Sapete cosa mi rispose una sera poco prima di un Natale ormai lontano, allorché gli domandai se non fosse mai stanco di percorrere tanta strada? “Amico caro, nessuna fatica! Ti svelo il mio segreto. Io metto sempre le suole dei miei sandali nelle orme di Francesco. La strada l’ha fatta lui. Non io. Capito?”

In memoria di padre Michelangelo Falcioni.

È presente 1 commento

Anonimo ha detto...

Semplicemente meravigliosa!

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