giovedì, giugno 23, 2011
In esclusiva per La Perfetta Letizia, le fiabe di Silvio Foini

Erano ormai due mesi che non cadeva una goccia d’acqua e il campo del contadino Serafino era ormai quasi del tutto secco. Il raccolto dei carciofi era davvero compromesso. Cosa avrebbe potuto offrire al mercato delle verdure fra poco? L’ultima volta aveva portato solamente una cassetta di carciofi e non li aveva nemmeno venduti tutti. “Non vedi quanto sono asciutti? - aveva detto una massaia soppesandone due che aveva preso in mano- Se tu porti questa roba per venderla è meglio che te ne stia a casa. Farai meno fatica Serafino!”.

Lui si era stretto nelle spalle e aveva sospirato alzando gli occhi al cielo. Che avrebbe mai detto alla sua poco amabile moglie che brontolava come una pentola di fagiolo borlotti a causa della scarsità del denaro che lui riusciva a racimolare? E sì che si spezzava la schiena nel campo che coltivava!

Una volta perché i parassiti infestanti divoravano il raccolto, una volta era la grandine a prendersi giuoco della sua fatica e un’altra volta, come questa, era la pioggia che latitava. Ma Serafino non si perdeva mai d’animo e seguitava a chiedere alla terra di rendergli quel che seminava. Lo si sarebbe potuto definire un uomo costante. “Chiedete e vi sarà dato”, recitava il vangelo, ma in certi casi non si ottenevano risposte. Così andava il mondo e così va tuttora.

Quella sera stava seduto sull’uscio della sua modesta casetta e fumava un buon sigaro toscano mentre tre gallinelle razzolavano accanto a lui lanciando il loro verso, becchettando e raspando la terra. “Beate voi che ingozzate anche i sassolini per riempirvi lo stomaco. Io stasera non ho nemmeno un pezzo di pane... mica posso mangiare i carciofi secchi no? Pioggia dispettosa e nemica della mia fatica! Perché non scendi e bagni la mia povera terra?”, stava pensando scuotendo il capo ricciuto, sconsolato.

In quel momento stava passando di là un refolo di vento che si fermò un attimo a osservare il malinconico Serafino. “Che hai buon uomo? Perché leggo tanta tristezza nei tuoi occhi? Avanti, dillo al vento”. Il contadino alzò gli occhi: “Chi ha parlato? Ora sento delle voci che parlano dal nulla? Sarà la fame che fa questi scherzi”, considerò tornando a guardare a terra. “Non sono una voce qualunque, Serafino! Io sono il vento che soffia e che va dappertutto. Avanti rispondimi: che ti turba?”. L’uomo convinto di parlare appunto al vento rispose: “Non vedi che non piove da tempo? Guarda il mio campo com’è ridotto! Posso io essere felice secondo te, o vento?”. Il vento volò rapido sull’arido campo e si sincerò delle parole di Serafino.
“Vuoi vedere che quelle mie figlie non fanno più il proprio dovere? Io le porto ovunque al fine che facciano scendere l’acqua sulla terra e loro che fanno? Le mie nubi sono diventate delle scansafatiche - pensò - E’ da un po’ di tempo che noto quanto esse compiano male il proprio dovere: qui scaricano quantità d’acqua e provocano inondazioni e disastri, là nemmeno una goccia. E sì che io gliel’ho insegnato bene il loro lavoro!
Occorrerà una bella tiratina d’orecchie a quelle signorine”, decise tornando accanto a Serafino. “Domattina avrai l’acqua che ti spetta, buon uomo. Te lo garantisce il vento in persona. Puoi credermi, vedrai. Ora va’ a riposare. E’ stata una brutta giornata. Buona notte Serafino”.

Quando rientrò in casa, sua moglie, molto meno amabile del solito, lo guardò sprezzante: “Vai a letto, buono a nulla. Io sono sempre più magra e tu non riesci a far niente. Mi farai morire di fame”. Lui sorrise sotto i baffi: “Vedrai che se il vento non mi ha mentito, ti porterò a casa non solo il pane ma anche il companatico”. Se ne andò a dormire e nella notte sognò scrosci d’acqua che si riversavano sul povero orto quasi desertificato. Intanto il vento si mise ad inseguire le sue figlie per tutto il cielo notturno. Ne trovò alcune che dormivano appoggiate sulle cime dei monti, altre che stavano quasi al suolo trasformandosi in nebbia e altre che giocavano a rincorrersi sul mare. Le radunò tutte e quante sopra un deserto e svolazzando severo intorno a loro le impartì un severo rimprovero. Tutte le nuvole lo ascoltarono silenziose e promisero di tornare a svolgere il proprio lavoro come la Natura comandava. “Cosa credete voi?! Che vostro padre possa assistere alla disperazione degli uomini solo perché voi vi divertite a scorazzare inutilmente nel cielo? Non vedete che ci sono zone del mondo dove, o perché non distribuite equamente l’acqua o perché per far presto la rovesciate dove vi aggrada, create danno? E’ meglio che vi diate una regolata figliole mie, o la Natura prenderà severi provvedimenti. Mi avete capito bene ragazze?”. Tutte assentirono e promisero.
“Allora - riprese il vento rivolgendosi a due nubi piene d’acqua - ora vi condurrò in un luogo che non state visitando da tempo e, una volta giunte, innaffierete a dovere un campo che vi indicherò. Voi altre invece verrete condotte dagli altri miei fratelli ove servite e farete con cura il vostro dovere. Forza, mettiamoci al lavoro o qualcuno domani non mangerà”.

Voi, cari bambini, sapete certo che i Venti sono quattro: il fratello maggiore, il protagonista di questa fiaba, chiamò a raccolta gli altri tre suoi fratelli e assegnò loro delle schiere di nubi: “Fratelli miei, vi affido queste sconsiderate: conducetele al lavoro. Hanno oziato abbastanza”. Quella notte il vento, condotte due belle nuvole colme d’acqua sul campo del povero Serafino, si accertò personalmente che la pioggia scendesse lieve ma abbondante sui carciofi rinsecchiti e li rivitalizzasse a dovere, e poi se ne tornò al casa a dormire.

Il mattino seguente il buon Serafino non credette ai propri occhi: il suo orto era pieno di magnifici e profumati carciofi. Ringraziò il vento in ginocchio. La sua poco amabile moglie lo osservava dalla finestra e vedendolo poi alzarsi e prendere a volteggiare su se stesso pensò che fosse ammattito. Non poteva sapere la poverina che ora Serafino stava ballando con il suo nuovo amico, il vento.

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