Il nostro corrispondente a Londra, Renato Zilio, ci delinea in che modo il nostro paese è visto dai nostri concittadini all'estero: non c'è certo da rallegrarsi...
“L’essenziale sono i valori che vivete, per questo la gente vi ama ancora”. Si esprime così, deciso e sicuro di sè, anche se non è uomo di chiesa: lo si vede raramente a messa, due o tre volte all’anno, solamente. È il direttore della “Dante Alighieri”, una vera istituzione nell’insegnamento della lingua italiana qui all’estero: uomo sincero, abituato ad andare al di là delle parole (che sono il suo mondo quotidiano) e mirare direttamente al cuore delle cose. “Non sono i riti o le cerimonie - continua - sono i valori oggi di cui la gente è assetata e a cui è sensibile, anche se non sembra”. Infatti, la gente ti guarda, ti osserva - specialmente coloro che sono lontani dalla pratica religiosa - e si rivela esigente, sensibile ai valori che in voi intravedono o no.
È vero, i nostri emigrati italiani trovano alla nostra vecchia Missione cattolica ancora un’accoglienza a tutte le ore, un’empatia che li fa sentire in famiglia e spesso dei gesti concreti di solidarietà che ricordano loro la “fontana del villaggio”. Notano che prendi il tempo per i loro problemi e che usi la stessa misura per chi è importante o per la gente comune: anche questo è un messaggio prezioso ai loro occhi.
Così, a volte, con loro stessi il discorso cade anche sulla nostra Italia e i suoi ultimi sviluppi: le parole allora si fanno un po’ critiche e preoccupate. Sentono che non vi trovano più quei valori, quello spirito di servizio che forse un tempo avvertivano, ma spesso un’altra qualità, che chiamano arroganza. Sembra poi che il “fare il proprio interesse” o il “chiudersi nel particolare,”come lo definiva a suo tempo il Guicciardini, sia l’idolo a cui tutto si sacrifica. Da qui la fragilizzazione della situazione dei giovani, del loro arrivo affannato qui all’estero, della fragilizzazione di tutta una società, dei rapporti tra le persone, di una morale privata o pubblica... E li senti chiedersi con ansia: “Ma dove sono le voci che difendano i nostri valori perduti, che denuncino una società che sembra assumere le regole di una giungla in nome dei propri interessi?”.
Vi sanno elencare anche aspetti emergenti, moderni, che sanno spesso di artificio, come le promesse vane, il sorriso apparente, l’immagine di sicurezza, il senso del clan, la demonizzazione dell’altro: normali qualità mercantili. Sì, in questi anni una logica sotterranea, un filo rosso, lega tanti segni e avvenimenti: l’animus del mercante. In patria fare i propri interessi diventa quasi un paradigma con i suoi eroi negativi. Pare che tutto quello che si tocca - come il re Mida per il quale tutto diventava oro - diventi più banalmente una merce e le persone diventino clienti, reali o potenziali. Tutto si compra, tutto si vende. Perfino l’acqua, ultimamente. Anche avere un figlio in più è come una merce, e si sente esclamare: “No, ci costa troppo!”.
I nostri grandi valori di unità, di condivisione, di solidarietà o semplicemente di fiducia e di coraggio nell’avvenire – che i nostri hanno vissuto come un vero motore nella loro avventura migratoria - sembrano essersi sciolti come neve al sole. L’apertura di spirito, di intelligenza e di cuore, da sempre patrimonio della nostra cultura, sembrano dimenticati.
Sembra venuta meno la compassione per il mondo, per le tragedie dei popoli nostri vicini di casa, il senso dell’altro, il valore di un cammino da fare insieme, la sfida di un avvenire per tutti da costruire a più mani. Sembra che a una società fondata sui valori si sia sostituita una fatta semplicemente sugli interessi.
E ritornano in mente le indimenticabili parole di Chiara Lubich ad alcuni sindaci riuniti a Martigny: “La scelta dell’impegno politico è un atto d’amore: con esso il politico risponde ad un’autentica vocazione, ad una chiamata personale. Egli vuol dare risposta ad un bisogno sociale, ad un problema della sua città, alle sofferenze del suo popolo, alle esigenze del suo tempo”. Scendere in politica da noi sembra quasi scendere in guerra. O dichiarare guerra - come negli ultimi tempi - agli uomini che il Dio di Abramo conduce ancora oggi per mano, i migranti. Sapendo che un migrante cerca sempre, in fondo, due realtà vitali ed essenziali per ogni essere umano come il pane e la dignità. Fugge moltissime volte da una terra tra pericoli impensabili, dove per lui è impossibile vivere.
Dovremmo, invece, aiutarlo a vivere in un mondo sconosciuto, complesso, duro a volte per lui quale è il nostro. E dovremmo, semmai, scendere in guerra con realtà patologiche vere, croniche, visibili ed invisibili che corrodono l’anima stessa della nostra bella Italia e che perfino all’estero vi sanno enumerare con sorprendente lucidità. Con la logica perversa dell’esclusione, purtroppo, non si salva il mondo, nè lo si cambia, ma lo si stravolge, rendendolo invivibile.
È ora, in fondo, dopo una stagione così preoccupante ed amara, di ritornare ai valori perduti costruiti dalla nostra fede e dalle nostre tradizioni di civiltà. Questo sarà il nostro cammino verso la terra promessa di Dio, che è sempre un avvenire più umano e più fraterno per tutti.
“L’essenziale sono i valori che vivete, per questo la gente vi ama ancora”. Si esprime così, deciso e sicuro di sè, anche se non è uomo di chiesa: lo si vede raramente a messa, due o tre volte all’anno, solamente. È il direttore della “Dante Alighieri”, una vera istituzione nell’insegnamento della lingua italiana qui all’estero: uomo sincero, abituato ad andare al di là delle parole (che sono il suo mondo quotidiano) e mirare direttamente al cuore delle cose. “Non sono i riti o le cerimonie - continua - sono i valori oggi di cui la gente è assetata e a cui è sensibile, anche se non sembra”. Infatti, la gente ti guarda, ti osserva - specialmente coloro che sono lontani dalla pratica religiosa - e si rivela esigente, sensibile ai valori che in voi intravedono o no.È vero, i nostri emigrati italiani trovano alla nostra vecchia Missione cattolica ancora un’accoglienza a tutte le ore, un’empatia che li fa sentire in famiglia e spesso dei gesti concreti di solidarietà che ricordano loro la “fontana del villaggio”. Notano che prendi il tempo per i loro problemi e che usi la stessa misura per chi è importante o per la gente comune: anche questo è un messaggio prezioso ai loro occhi.
Così, a volte, con loro stessi il discorso cade anche sulla nostra Italia e i suoi ultimi sviluppi: le parole allora si fanno un po’ critiche e preoccupate. Sentono che non vi trovano più quei valori, quello spirito di servizio che forse un tempo avvertivano, ma spesso un’altra qualità, che chiamano arroganza. Sembra poi che il “fare il proprio interesse” o il “chiudersi nel particolare,”come lo definiva a suo tempo il Guicciardini, sia l’idolo a cui tutto si sacrifica. Da qui la fragilizzazione della situazione dei giovani, del loro arrivo affannato qui all’estero, della fragilizzazione di tutta una società, dei rapporti tra le persone, di una morale privata o pubblica... E li senti chiedersi con ansia: “Ma dove sono le voci che difendano i nostri valori perduti, che denuncino una società che sembra assumere le regole di una giungla in nome dei propri interessi?”.
Vi sanno elencare anche aspetti emergenti, moderni, che sanno spesso di artificio, come le promesse vane, il sorriso apparente, l’immagine di sicurezza, il senso del clan, la demonizzazione dell’altro: normali qualità mercantili. Sì, in questi anni una logica sotterranea, un filo rosso, lega tanti segni e avvenimenti: l’animus del mercante. In patria fare i propri interessi diventa quasi un paradigma con i suoi eroi negativi. Pare che tutto quello che si tocca - come il re Mida per il quale tutto diventava oro - diventi più banalmente una merce e le persone diventino clienti, reali o potenziali. Tutto si compra, tutto si vende. Perfino l’acqua, ultimamente. Anche avere un figlio in più è come una merce, e si sente esclamare: “No, ci costa troppo!”.
I nostri grandi valori di unità, di condivisione, di solidarietà o semplicemente di fiducia e di coraggio nell’avvenire – che i nostri hanno vissuto come un vero motore nella loro avventura migratoria - sembrano essersi sciolti come neve al sole. L’apertura di spirito, di intelligenza e di cuore, da sempre patrimonio della nostra cultura, sembrano dimenticati.
Sembra venuta meno la compassione per il mondo, per le tragedie dei popoli nostri vicini di casa, il senso dell’altro, il valore di un cammino da fare insieme, la sfida di un avvenire per tutti da costruire a più mani. Sembra che a una società fondata sui valori si sia sostituita una fatta semplicemente sugli interessi.
E ritornano in mente le indimenticabili parole di Chiara Lubich ad alcuni sindaci riuniti a Martigny: “La scelta dell’impegno politico è un atto d’amore: con esso il politico risponde ad un’autentica vocazione, ad una chiamata personale. Egli vuol dare risposta ad un bisogno sociale, ad un problema della sua città, alle sofferenze del suo popolo, alle esigenze del suo tempo”. Scendere in politica da noi sembra quasi scendere in guerra. O dichiarare guerra - come negli ultimi tempi - agli uomini che il Dio di Abramo conduce ancora oggi per mano, i migranti. Sapendo che un migrante cerca sempre, in fondo, due realtà vitali ed essenziali per ogni essere umano come il pane e la dignità. Fugge moltissime volte da una terra tra pericoli impensabili, dove per lui è impossibile vivere.
Dovremmo, invece, aiutarlo a vivere in un mondo sconosciuto, complesso, duro a volte per lui quale è il nostro. E dovremmo, semmai, scendere in guerra con realtà patologiche vere, croniche, visibili ed invisibili che corrodono l’anima stessa della nostra bella Italia e che perfino all’estero vi sanno enumerare con sorprendente lucidità. Con la logica perversa dell’esclusione, purtroppo, non si salva il mondo, nè lo si cambia, ma lo si stravolge, rendendolo invivibile.
È ora, in fondo, dopo una stagione così preoccupante ed amara, di ritornare ai valori perduti costruiti dalla nostra fede e dalle nostre tradizioni di civiltà. Questo sarà il nostro cammino verso la terra promessa di Dio, che è sempre un avvenire più umano e più fraterno per tutti.
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