mercoledì, giugno 29, 2011
“Lavorare a questo libro è stato ed è un dono, soprattutto per una giornalista freelance come me abituata a saltare da un argomento ad un altro e da una persona ad un’altra. È un dono, un dono di Dio. Se non avessi conosciuto Wang Ting, la protagonista del mio libro, forse non avrei mai trovato il coraggio di accettare questo dono”

di Renato Zilio

Con queste parole semplici e delicate si apre un libro dal titolo leggermente esotico: “Dio è anche cinese” (Edizioni Paoline 2011). L’autrice, Kristin Kupfer, è tedesca, sinologa e politologa, la protagonista invece una giovane assistente sociale, una cristiana che vive dall’altra parte del mondo in una cultura millenaria e ben differente dalla nostra, quella cinese. Il racconto è tutto un ricamo “en finesse,” come quelli che si incontrano a Canton, attorno a una vita. Una donna che descrive l’esistenza di un’altra donna può sempre far nascere un poema. E questo è un poema della quotidianità e della fede vissuta, raccontata passo a passo. Si fa racconto nella trasparenza e nella naïveté di una vita che si svolge tra lavoro, famiglia, impegni e interessi vari, ma sempre con un segreto filo rosso: la fede cristiana vissuta nella Cina di oggi. Questa fede attecchisce e sa germogliare in una cultura totalmente diversa dalla nostra europea, un terreno dove qualunque espressione religiosa è guardata con sospetto, segnato e anzi trasformato profondamente da una travagliata esperienza comunista.

Si entra, così, nella scorrere quotidiano del ritmo di vita di Wang Lei, una trentatreenne animata da una tensione che sa dare un’attenzione particolare ad ogni gesto, ad ogni decisione in nome della propria fede e che l’autrice sa cogliere con prontezza. Dopo la messa “Wang e il marito si alzano in piedi e lasciano la chiesa a passo svelto. Fuggono dai lunghi canti conclusivi. Non hanno più voglia di stare fermi e seduti. Il loro Dio è un Dio della vita e del movimento”.

Questo atteggiamento interiore di fede sa farsi anche conversione delicata ed intima, appunto ascoltando il marito di Wang Ting: “All’inizio del nostro matrimonio volevo migliorare sempre tutto, il mio lavoro, la conduzione domestica, me stesso... ma poi ho capito che miglioramento significa anche indulgenza e tolleranza”. In due parole viene pure condensata la convinzione profonda di fede della protagonista: “Per Wang Ting essere cristiana significa incontrare gli altri e occuparsene”.

Naturalmente, ci sono anche veloci passaggi in cui si rivistano momenti cruciali della storia cinese, come quel periodo di grazia del cristianesimo con Matteo Ricci: un vero miracolo di inculturazione, di “incarnazione” in una cultura totalmente differente operata dai gesuiti, ma purtroppo differentemente percepita da francescani e domenicani. O il periodo della leadership del cosiddetto “uomo nuovo” e l’avvento del grande timoniere del comunismo cinese. Ma poi si sottolinea che “proprio Mao, che si era detto contrario a ogni culto di personalità, è fatto oggetto di una fiorente venerazione”. Pare qui di vivere una legge del contrappasso che fa ritrovare paradossalmente nella figura di un leader comunista il profilo di un nuovo imperatore cinese, mentre invece la vera grandezza di Matteo Ricci è proprio nella kenosis, nel suo perdersi nell’altro e in un’altra cultura: una grande lezione di vita che la nostra protagonista rivive nel suo piccolo.

Così, in una descrizione aneddotica, puntuale e familiare, un mondo estremamente distante da noi si illumina della fede cristiana e sa esprimere la pienezza di senso in un’esistenza tanto lontana dai nostri schemi e dalla nostra mentalità. Una testimonianza, in fondo, ricca e coinvolgente sull’attuale situazione della piccola comunita cattolica nello sconfinato “Paese di Mezzo”.

È presente 1 commento

Anonimo ha detto...

dovrà essere un bellissimo libro

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