Dalla Chiesa: «Anche le vittime innocenti delle mafie siano ricordate nella Foresta dei Giusti». E’ un grande merito di Gabriele Nissim, esponente della cultura ebraica democratica, essersi fatto portavoce in Italia della battaglia per il riconoscimento di una particolare figura umana: quella del Giusto. Il Giusto come espressione di una possibilità che a nessuno è preclusa.
LiberaInformazione - La possibilità di stare dalla parte di alcuni grandi valori quando il vento li travolge. Di obbedire non al timore delle sanzioni, non alla bramosia del potere o del consenso, ma semplicemente al desiderio di sentirsi degno o degna di fronte a se stessi. Il che vale per l’uomo politico come per il celebre ortolano di Vaclav Havel. Essere Giusti resistendo alle spinte della follia totalitaria o dei deliri di guerra che tutto calpestano. Non è necessario, dice Nissim, avere vissuto con coerenza intellettuale e morale per potere essere definiti giusti. Basta, e questo è il punto cruciale della sua riflessione, che ci si riveli Giusti quando la storia ci chiede il gesto decisivo. Quando, anche se hai militato a lungo dalla parte sbagliata, ti ritrai inorridito davanti alla conseguenze ultime dell’ideologia che hai abbracciato e trovi in te il coraggio di contrastarle. La folgorazione, l’insight, della scoperta scientifica, funziona qui nella scoperta improvvisa dell’orrore. Nel trionfo prodigioso della pietas, nel soprassalto tumultuoso dell’impulso alla libertà. Che può portare il gerarca a salvare vite innocenti, l’indifferente a farsi eroe nel cuore dei fatti che segnano i destini altrui o collettivi. In fondo, per usare il titolo del suo ultimo libro, il segreto dei giusti è La bontà insensata (gratuita, avrebbe detto David Maria Turoldo).
E’ una riflessione profonda. Che conquista e che parte da lontano, da Primo Levi e da Hannah Arendt, da Vasilij Grossman e da Jan Patocka. E che si misura con il principio che ognuno di noi è molte cose insieme e che l’importante è saper fare prevalere la “parte migliore” sulla “parte peggiore” di noi. Bene e male, dunque, in tensione nella stessa persona. Il Giusto infatti non è la persona perfetta. Ma sente il richiamo ultimo della responsabilità, della riconciliazione, della verità, della sacralità della vita, anche quando abbia contribuito a mettere a rischio quei principi. Come il bulgaro Dimitar Pesev, fascista, che nel momento decisivo salvò gli ebrei del suo paese.
Dai colloqui con Moshe Bejski, scampato alla deportazione grazie a Oskar Schindler, e ideatore del “Giardino dei giusti” (ogni albero ricorda un uomo che ha salvato almeno un ebreo), Nissim ha ricavato l’idea di fondare a Milano il Comitato per la foresta dei giusti. Oggi 7 aprile, per la giornata mondiale dei giusti, vengono così piantati alla “Montagnetta” di San Siro nuovi cinque alberi. Sono dedicati a Romeo Dallaire, comandante canadese del contingente Onu in Rwanda; Jan Karski, messaggero della resistenza polacca; Sophie Scholl, studentessa della Rosa Bianca tedesca; Aleksandr Solženicyn, premio Nobel per la letteratura; e Armin T. Wegner, intellettuale tedesco che ha denunciato il genocidio armeno.
Ebbene, la mia proposta è che in questa foresta dei giusti trovino posto sin dal prossimo anno anche coloro che si sono battuti contro la ferocia totalitaria delle organizzazioni mafiose. Il fatto che questa ferocia si sia sviluppata all’interno di una democrazia non rende meno grande il coraggio o la dignità di chi le si è saputo opporre. Di chi ha trovato in sé le risorse morali (la bontà insensata...) per resistere alle pressioni a conformarsi provenienti non da gerarchi ubriachi di violenza ma dai legittimi rappresentanti di un potere democratico, non da turbe violente ma da opinioni pubbliche composte ed educate. Forse perfino più ardui diventano infatti in questi casi, per chi è chiamato a scegliere, gli interrogativi su dove stiano il giusto e l’ingiusto. Più ardua la certezza di rappresentare davvero la “parte migliore” e non quella della petulanza moralistica o dell’integralismo etico incapaci di tollerare l’umana propensione ai compromessi.
Per questo credo che il movimento antimafia debba vedere nella foresta dei giusti il luogo dove trovino onore anche i “suoi” caduti. Mai veramente perfetti, a volte nemmeno coerenti in tutta la vita, ma capaci - questo sì - di non tirarsi indietro, di non voltarsi dall’altra parte quando la Storia glielo ha chiesto. Esseri umani tra esseri umani, perché – appunto - l’essere Giusti non è precluso a nessuno. Entrare in quella foresta sarebbe un modo per affermare solennemente che la lotta contro il crimine organizzato sta di diritto tra le grandi lotte compiute dall’umanità contro il Male. E che l’antimafia fa parte della storia del Bene.
LiberaInformazione - La possibilità di stare dalla parte di alcuni grandi valori quando il vento li travolge. Di obbedire non al timore delle sanzioni, non alla bramosia del potere o del consenso, ma semplicemente al desiderio di sentirsi degno o degna di fronte a se stessi. Il che vale per l’uomo politico come per il celebre ortolano di Vaclav Havel. Essere Giusti resistendo alle spinte della follia totalitaria o dei deliri di guerra che tutto calpestano. Non è necessario, dice Nissim, avere vissuto con coerenza intellettuale e morale per potere essere definiti giusti. Basta, e questo è il punto cruciale della sua riflessione, che ci si riveli Giusti quando la storia ci chiede il gesto decisivo. Quando, anche se hai militato a lungo dalla parte sbagliata, ti ritrai inorridito davanti alla conseguenze ultime dell’ideologia che hai abbracciato e trovi in te il coraggio di contrastarle. La folgorazione, l’insight, della scoperta scientifica, funziona qui nella scoperta improvvisa dell’orrore. Nel trionfo prodigioso della pietas, nel soprassalto tumultuoso dell’impulso alla libertà. Che può portare il gerarca a salvare vite innocenti, l’indifferente a farsi eroe nel cuore dei fatti che segnano i destini altrui o collettivi. In fondo, per usare il titolo del suo ultimo libro, il segreto dei giusti è La bontà insensata (gratuita, avrebbe detto David Maria Turoldo).E’ una riflessione profonda. Che conquista e che parte da lontano, da Primo Levi e da Hannah Arendt, da Vasilij Grossman e da Jan Patocka. E che si misura con il principio che ognuno di noi è molte cose insieme e che l’importante è saper fare prevalere la “parte migliore” sulla “parte peggiore” di noi. Bene e male, dunque, in tensione nella stessa persona. Il Giusto infatti non è la persona perfetta. Ma sente il richiamo ultimo della responsabilità, della riconciliazione, della verità, della sacralità della vita, anche quando abbia contribuito a mettere a rischio quei principi. Come il bulgaro Dimitar Pesev, fascista, che nel momento decisivo salvò gli ebrei del suo paese.
Dai colloqui con Moshe Bejski, scampato alla deportazione grazie a Oskar Schindler, e ideatore del “Giardino dei giusti” (ogni albero ricorda un uomo che ha salvato almeno un ebreo), Nissim ha ricavato l’idea di fondare a Milano il Comitato per la foresta dei giusti. Oggi 7 aprile, per la giornata mondiale dei giusti, vengono così piantati alla “Montagnetta” di San Siro nuovi cinque alberi. Sono dedicati a Romeo Dallaire, comandante canadese del contingente Onu in Rwanda; Jan Karski, messaggero della resistenza polacca; Sophie Scholl, studentessa della Rosa Bianca tedesca; Aleksandr Solženicyn, premio Nobel per la letteratura; e Armin T. Wegner, intellettuale tedesco che ha denunciato il genocidio armeno.
Ebbene, la mia proposta è che in questa foresta dei giusti trovino posto sin dal prossimo anno anche coloro che si sono battuti contro la ferocia totalitaria delle organizzazioni mafiose. Il fatto che questa ferocia si sia sviluppata all’interno di una democrazia non rende meno grande il coraggio o la dignità di chi le si è saputo opporre. Di chi ha trovato in sé le risorse morali (la bontà insensata...) per resistere alle pressioni a conformarsi provenienti non da gerarchi ubriachi di violenza ma dai legittimi rappresentanti di un potere democratico, non da turbe violente ma da opinioni pubbliche composte ed educate. Forse perfino più ardui diventano infatti in questi casi, per chi è chiamato a scegliere, gli interrogativi su dove stiano il giusto e l’ingiusto. Più ardua la certezza di rappresentare davvero la “parte migliore” e non quella della petulanza moralistica o dell’integralismo etico incapaci di tollerare l’umana propensione ai compromessi.
Per questo credo che il movimento antimafia debba vedere nella foresta dei giusti il luogo dove trovino onore anche i “suoi” caduti. Mai veramente perfetti, a volte nemmeno coerenti in tutta la vita, ma capaci - questo sì - di non tirarsi indietro, di non voltarsi dall’altra parte quando la Storia glielo ha chiesto. Esseri umani tra esseri umani, perché – appunto - l’essere Giusti non è precluso a nessuno. Entrare in quella foresta sarebbe un modo per affermare solennemente che la lotta contro il crimine organizzato sta di diritto tra le grandi lotte compiute dall’umanità contro il Male. E che l’antimafia fa parte della storia del Bene.
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