Nel brano delle beatitudini troviamo l’essenza del messaggio cristiano, entrando nel vivo di un Vangelo che nella sua follia è capace di dare un senso autentico alla nostra esistenza
Le beatitudini sintetizzano in modo mirabile questa novità del messaggio di Gesù Cristo, anzi questa novità che è Cristo stesso, poiché in Lui non esiste alcuna contraddizione tra la Parola e la Persona. Dietro le beatitudini, infatti, si può scorgere l’intera esistenza di Gesù. Non si tratta quindi di una nuova legge che si sovrappone alla precedente, alla legge mosaica, ma di quel nuovo spirito che Cristo stesso ci ha comunicato con l’esempio della sua vita e che deve guidare l’uomo nell’osservare i comandamenti. Comandamenti che sono sempre gli stessi, ma – a differenza del passato – non possono più essere considerati il tutto della vita dell’uomo, bensì soltanto il punto di partenza, il trampolino di lancio verso quella meta finale che è la santità.
Le beatitudini altro non sono quindi che delle “strade” che Gesù ha percorso prima di noi e che ci conducono verso la perfezione del Padre. In esse è l’idea di uomo nuovo, di uomo perfetto che Gesù ci propone. E l’uomo perfetto ci è detto anche “beato”, perché non si può vivere il Vangelo e non essere felici, anche se la pienezza della felicità non ci è promessa in questa vita ma nell’altra. Si può essere afflitti, perseguitati, poveri, ma se si ha la fede si è ugualmente felici pur in mezzo alle tante prove.
Le beatitudini altro non sono quindi che delle “strade” che Gesù ha percorso prima di noi e che ci conducono verso la perfezione del Padre. In esse è l’idea di uomo nuovo, di uomo perfetto che Gesù ci propone. E l’uomo perfetto ci è detto anche “beato”, perché non si può vivere il Vangelo e non essere felici, anche se la pienezza della felicità non ci è promessa in questa vita ma nell’altra. Si può essere afflitti, perseguitati, poveri, ma se si ha la fede si è ugualmente felici pur in mezzo alle tante prove.
Una tentazione da cui guardarsi con molta attenzione, a meno che non si voglia ridurre la religione cristiana a ideologia politica di sapore vagamente marxista (questo è in fondo l’errore soggiacente alla c. d. “teologia della liberazione”, diffusasi soprattutto nei Paesi dell’America Latina negli anni del post-concilio), è quella di interpretare le beatitudini in senso meramente “sociologico”. L’evangelista, infatti, parlando di poveri, miti, puri di cuore, operatori di pace, non intende individuare dei gruppi sociali, ma delineare, piuttosto, delle caratteristiche morali o, meglio, presentare dei modelli di santità. I poveri in spirito, i miti, gli operatori di pace, i misericordiosi, gli amanti della giustizia sono degli esempi, tutti egualmente validi, di vite sante, vissute in grazia di Dio, perché tutte in definitiva riconducibili all’esperienza (umana e al contempo divina) di Cristo nostro Signore. E’ come se ci venisse chiesto: vuoi essere santo? Allora diventa povero, umile, mite, misericordioso, lotta per la pace e per la giustizia, impegnandoti giorno per giorno ad edificare il Regno di Dio su questa terra.
La condizione sociale o esistenziale di partenza non è sufficiente per essere santi, se poi non si riesce a vivere nello spirito che ha animato nostro Signore. Per questo Matteo non parla semplicemente di poveri, ma di “poveri in spirito”, perché vuole sottolineare che ciò che più conta per la nostra salvezza non è tanto la condizione materiale di povertà quanto lo spirito di mansuetudine e di umiltà che eventualmente si accompagni a questa condizione. Il concetto è bene illustrato da Sant’Agostino, il quale, circa la povertà cristiana, nella sua Regola afferma: “A che servirebbe, dopo tutto, elargire i propri beni, soccorrendo i poveri, e divenire anche personalmente povero se poi si arriva scioccamente ad essere più superbi per la parvenza di una buona azione?”. Come a dire che non può esserci povertà in senso genuinamente cristiano senza l’umiltà. E un discorso analogo potrebbe essere fatto per le altre beatitudini. Può infatti dirsi santo chi, nell’afflizione o nella malattia, bestemmia il nome di Dio, chiedendo magari che gli sia tolta la vita? Può dirsi santo chi, nella persecuzione, accumula odio verso il suo prossimo, rispondendo alla violenza con altra violenza?
Entriamo allora nello spirito delle beatitudini, perché solo così riusciremo a dare un senso alle nostre azioni, altrimenti vanificheremmo tutto, perfino il valore delle opere buone; solo così, poi, potremo raggiungere quella felicità eterna che Iddio promette a chi lo serve con cuore sincero.
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