Nell’Oceano Atlantico, al largo della costa degli Stati Uniti, si trova un’enorme discarica fluttuante. Negli ultimi 20 anni il vortice non si è allargato, nonostante sia cresciuto enormemente lo smaltimento della plastica. Secondo gli scienziati i rifiuti potrebbero essere affondati.
di Daniela Cipolloni
OggiScienza - Non lontano dagli atolli paradisiaci del Mar dei Caraibi, a nord delle coste della Florida, è emersa un’isola venefica che nessun turista vorrebbe mai visitare. Grande quasi il doppio dell’Italia, è composta da una marea di rifiuti di plastica galleggianti. E’ una discarica a cielo aperto del tutto simile a quella, già nota, che inquina l’Oceano Pacifico. Si è formata per effetto delle correnti marine che accumulano la spazzatura in aree concentrate. Un gruppo di scienziati statunitensi ha monitorato per 22 anni quest’atollo degli orrori, contando nei punti di massima densità qualcosa come 200 mila frammenti di bottiglie, buste e altri prodotti di plastica per chilometro quadrato. Può sembrare paradossale, ma l’aspetto più inquietante della vicenda è che le dimensioni del vortice non sono aumentate in maniera significativa negli ultimi due decenni.
“Sappiamo che la produzione globale di plastica è cresciuta in maniera sostanziale, così come è aumentato globalmente lo smaltimento dei rifiuti”, ha spiegato Kara Lavender Law del SEA (Sea Education Association), prima firma dell’articolo apparso sulla rivista Science. I conti, insomma, non tornano. Dov’è finita la plastica che manca all’appello? Una possibile risposta è che semplicemente i frammenti più piccoli siano sfuggiti alla “pesca” e non siano quindi stati conteggiati. L’altra ipotesi è che i detriti siano stati ricoperti dalle alghe e siano diventati abbastanza pesanti da affondare intossicando l’ecosistema marino. Infatti, la plastica non è indistruttibile come si pensa: si decompone in mare aperto per esposizione alle intemperie rilasciando numerosi composti tossici, che possono venir assorbiti dai pesci e altri organismi mettendo a rischio la loro vita e la capacità riproduttiva.
di Daniela CipolloniOggiScienza - Non lontano dagli atolli paradisiaci del Mar dei Caraibi, a nord delle coste della Florida, è emersa un’isola venefica che nessun turista vorrebbe mai visitare. Grande quasi il doppio dell’Italia, è composta da una marea di rifiuti di plastica galleggianti. E’ una discarica a cielo aperto del tutto simile a quella, già nota, che inquina l’Oceano Pacifico. Si è formata per effetto delle correnti marine che accumulano la spazzatura in aree concentrate. Un gruppo di scienziati statunitensi ha monitorato per 22 anni quest’atollo degli orrori, contando nei punti di massima densità qualcosa come 200 mila frammenti di bottiglie, buste e altri prodotti di plastica per chilometro quadrato. Può sembrare paradossale, ma l’aspetto più inquietante della vicenda è che le dimensioni del vortice non sono aumentate in maniera significativa negli ultimi due decenni.
“Sappiamo che la produzione globale di plastica è cresciuta in maniera sostanziale, così come è aumentato globalmente lo smaltimento dei rifiuti”, ha spiegato Kara Lavender Law del SEA (Sea Education Association), prima firma dell’articolo apparso sulla rivista Science. I conti, insomma, non tornano. Dov’è finita la plastica che manca all’appello? Una possibile risposta è che semplicemente i frammenti più piccoli siano sfuggiti alla “pesca” e non siano quindi stati conteggiati. L’altra ipotesi è che i detriti siano stati ricoperti dalle alghe e siano diventati abbastanza pesanti da affondare intossicando l’ecosistema marino. Infatti, la plastica non è indistruttibile come si pensa: si decompone in mare aperto per esposizione alle intemperie rilasciando numerosi composti tossici, che possono venir assorbiti dai pesci e altri organismi mettendo a rischio la loro vita e la capacità riproduttiva.
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