lunedì, maggio 31, 2010
del nostro collaboratore Bartolo Salone

sindone negativoSi è chiusa il 23 maggio, giorno di Pentecoste, la solenne ostensione del Sacro Lenzuolo che, secondo la tradizione, avrebbe avvolto il corpo di Cristo morto una volta deposto dalla croce. Strabilianti sono le somiglianze dell’immagine rimasta impressa, per cause a noi ancora sconosciute, sul telo sindonico con la descrizione della passione e della morte in croce di Cristo nostro Signore contenuta nei quattro vangeli, al punto da indurre Giovanni Paolo II a definire la Sindone “specchio del vangelo”. Dalle analisi effettuate da numerosi medici legali è emerso, infatti, che l’impronta sul Lenzuolo è incontrovertibilmente quella del cadavere di un uomo dapprima flagellato e poi crocifisso. Osservando la Sindone, è dunque possibile rivivere quei momenti finali e, per noi credenti, decisivi dell’esistenza terrena del Nazareno e riflettere sull’amore immenso di un Dio che non è rimasto indifferente alle miserie umane, ma che si è compromesso con la realtà dell’uomo fino al punto da sperimentare sulla sua pelle gli aspetti più tragici ed inquietanti della dimensione umana, dominata immancabilmente dal peccato e dai suoi frutti di ingiustizia, sofferenza e morte. L’immagine sindonica è quindi uno schiaffo ad ogni perbenismo, all’ingenua convinzione illuministica della bontà naturale dell’uomo; è un richiamo vigoroso alla realtà misteriosa e al contempo tragica del peccato; un’esortazione a lasciarsi riconciliare con Dio, ad accogliere la sua misericordia, che sola può risollevarci dalla nostra misera condizione. Sono queste le ragioni che stanno alla base della decisione della Chiesa di consentirne l’esposizione pubblica e periodica ai fedeli, ragioni quindi di carattere squisitamente religioso e pastorale: quando si parla della Sindone, infatti, si finisce con il parlare immancabilmente anche di Cristo. D’altronde, il valore religioso di una reliquia prescinde dalla sua autenticità, essendo le reliquie venerate innanzitutto per ciò che rappresentano, per le realtà sacre a cui rimandano e per i sentimenti di pietà che sono capaci di suscitare nel popolo dei credenti.
Ciò non toglie che la Sindone di Torino possegga un interesse anche scientifico, per talune caratteristiche dell’immagine che solo di recente, con gli ultimi sviluppi della tecnologia, si stanno comprendendo appieno e che portano sempre più ad escludere che si tratti dell’opera di un falsario medievale. Dalle prime riproduzioni fotografiche effettuate nel 1898 da un avvocato, Secondo Pia, è emerso il carattere della “negatività”: l’impronta sindonica si comporta come un negativo fotografico, con una distribuzione di luce esattamente opposta a quella che percepiamo nella realtà, per cui è sul negativo fotografico che possiamo osservare il volto dell’uomo della Sindone come se fosse di fronte a noi. Il fatto eccezionale è che si tratta di un negativo “naturale”. L’altra caratteristica singolare è quella della “tridimensionalità”, emersa dalle elaborazioni elettroniche effettuate negli Stati Uniti prima e in Italia poi rispettivamente nel 1977 e nel 1978. E pensare che il 3D comincia a circolare nelle nostre sale cinematografiche da quest’anno!
Ma le sorprese non finiscono qui. E’ stato infatti dimostrato dall’analisi dei campioni di tessuto prelevati nel 1978 che le macchie di colore rosso visibili sul telo sono realmente macchie di sangue umano di gruppo AB. A ciò si aggiunga l’assenza sul lenzuolo di pigmenti e coloranti e la circostanza che l’immagine corporea – come è stato dimostrato – è dovuta ad una ossidazione-disidratazione della cellulosa della fibre superficiali del tessuto, che è assente al di sotto delle tracce ematiche: il che lascia supporre che l’immagine si sia formata successivamente ad esse (dunque l’uomo della Sindone sarebbe stato dapprima avvolto nel Lenzuolo con le ferite ancora sanguinanti e su di esse, in un secondo momento, si sarebbe impressa, per un singolare processo naturale, l’immagine cadaverica).
Accanto a questi elementi che, considerati congiuntamente, convergono verso una valutazione di autenticità del reperto, residua un problema di datazione su cui gli scienziati stanno ancora lavorando. L’esame di un campione di tessuto effettuato nel 1988 col metodo del radiocarbonio ha consentito di datare il reperto nel periodo compreso fra il 1260 e il 1390, risultato del tutto congruente con le testimonianze storiche in nostro possesso (la prima notizia certa della presenza della Sindone in Europa risale al 1350, quando il cavaliere francese Geoffroy de Charny fa costruire una chiesa a Lirey per custodire e mostrare la reliquia ai fedeli). Questo risultato, però, forma oggetto di ampio dibattito fra gli studiosi sia sotto il profilo della attendibilità del metodo del radiocarbonio (che non di rado, specie per la datazione di reperti molto antichi e dalle caratteristiche fisico-chimiche alquanto compromesse, ha condotto a risultati errati anche dell’ordine di migliaia di anni) sia perché la datazione medievale contrasta con i risultati ottenuti in altri campi di ricerca (significativo il rinvenimento sul telo di tracce di pollini provenienti da piante che crescono solo in Palestina e in Anatolia, i quali testimoniano una permanenza anteriore – visto che dal 1350 la Sindone non si è mai mossa dall’Europa – in quei luoghi).
Dunque, la Sindone è una vera e propria “provocazione all’intelligenza” (secondo un’altra celebre definizione di papa Wojtyla), perché allo stato attuale si tratta di un enigma scientifico non del tutto risolto. Di questo è consapevole la stessa Chiesa, che non si è mai pronunciata ufficialmente in favore dell’autenticità della Sindone, pur esortando gli scienziati a proseguire le loro ricerche in maniera serena e senza posizioni precostituite. Come ha ricordato il cardinale Poletto nel discorso di apertura dell’ ostensione da poco conclusasi: “Non trattandosi di materia di fede, la Chiesa non ha competenza specifica nel pronunciarsi sull’autenticità o meno della Sindone. Compete agli scienziati e agli storici seri valutare e risolvere tale questione, cioè dire con certezza se la Sindone corrisponde o no al vero lenzuolo che ha avvolto il corpo di Gesù durante la sua breve sepoltura. A noi basta per ora affermare che quanti finora l’hanno studiata a lungo e con criteri scientifici non sono riusciti a spiegare come si sia formata quell’immagine, che certamente non è un manufatto, per cui permangono fondate, con alto grado di probabilità, le ragioni in favore della sua autenticità”. Questa la posizione attuale delle gerarchie ecclesiastiche sul telo sindonico, una posizione ben lontana e dalla negazione preconcetta (tipica di un atteggiamento sostanzialmente antiscientifico, comunemente noto come scientismo) e dal fideismo cieco, anch’esso antiscientifico, che rifugge con orrore da ogni indagine condotta sulla base di criteri oggettivi e che finisce col confondere la verità con ciò che si crede (tale fideismo essendo espressione più della mentalità moderna, sempre più soggettivistica e relativistica, che di un’autentica visione cattolica, alla quale è estranea l’idea del credere ciecamente e senza prove). Alla luce di questi rilievi, emerge chiaramente inoltre la strumentalità delle critiche di quanti, a proposito delle ostensioni della Sindone, accusano la Chiesa di abuso della credulità popolare. In realtà, come si è visto, le ostensioni sono motivate principalmente da ragioni pastorali e non impegnano una attestazione di autenticità, per la quale la Chiesa attende fiduciosa il verdetto della scienza ufficiale. Rimane fermo, ovviamente, che, in mancanza di un pronunciamento ufficiale della gerarchia ecclesiastica, il fedele rimane libero di credere o meno nell’autenticità della Sindone, tanto più che non si tratta di materia di fede. E’ bene ricordare, infatti, che la fede cristiana prescinde dalla Sindone, essendo fondata sulle sacre scritture e sulla testimonianza degli apostoli nonché su quella perenne testimonianza dello Spirito che sostiene la Chiesa nel corso dei secoli: queste sono le sole voci a cui un cristiano dovrebbe dare ascolto per alimentare la sua vita di fede.

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