martedì, gennaio 26, 2010
di Fabio Vitucci

Italico viaggiatore in giro per l’Europa, mi ritrovo a Londra, nella città multi-etnica per eccellenza. E senza tentennamenti mi reco in Brixton Road, perché ho già avuto la fortuna di conoscere e sperimentare l’accoglienza del Centro Scalabriniano, un’isola di condivisione nella città della condivisione. Trovo ad aspettarmi un giovane padre filippino, che tutti chiamano Padre Jake, sempre col sorriso sulle labbra e sempre pronto a ridere di ogni mia battuta: lui naturalmente si occupa della folta comunità filippina. E poi c’è Padre Pietro, “The boss”, settantenne trentino dai capelli bianchi, responsabilità dell’attempata comunità italiana, magari alle prese col suo fido dizionario italiano-inglese. E infine Padre Renato, il mio “gancio”, poliedrico e variopinto veneto, che non mi fa nemmeno posare la valigia e mi incalza col suo “Cosa fai? Dove vai? Su, su, Londra ti aspetta!”.
Lui si occupa, fra le altre cose, dei portoghesi.

Tre comunità quindi, e tre ricchezze: qui sperimenti veramente la fraternità, la condivisione e l’arricchimento reciproco. Padre Renato è così, si rivolge ad ognuno con la certezza incrollabile che darà qualcosa di importante a lui e alla sua comunità. E mentre ceniamo insieme (qui l’accoglienza è davvero a tutto tondo!), tra la zuppa di pesce preparata da Padre Jake e il formaggio tanto amato da Padre Renato, forse retaggio della sua esperienza francese, il padre scalabriniano mi parla entusiasta della liturgia filippina recitata in un mix di inglese e tagalog, del loro ritrovo domenicale a ritmo di line-dance, della festività del Santo Niño con tutti i “Bambinelli” portati a benedire a messa e pronti così per essere posti nei Presepi domestici. Ma anche della festa dei moleta italiani, o delle celebrazioni portoghesi “dominate” dai bambini. E finanche della riflessiva decisione giapponese e dell’ammirabile ecumenismo ginevrino, nonché della nota efficienza e puntualità inglese. Per finire, prima che ognuno si ritiri nel proprio giaciglio dislocato da qualche parte nell’accogliente centro, con una rinfrescatina delle sue avventure in terra musulmana, o con un pensiero sugli splendidi rapporti coi “vicini di casa”, gli anglicani: “Lo scorso mese un pastore anglicano è venuto qui al Centro a tenere una catechesi ai cresimandi – mi racconta – a fine incontro i nostri ragazzi erano letteralmente entusiasti! E ora a nanna, domani Londra ti aspetta!”.

E’ proprio questo l’insegnamento più grande che mi porto a casa dalla visita a Padre Renato e al Centro Scalabriniano: non solo non bisogna aver paura del “diverso”, ma anzi bisogna “approfittarne”, imparando da lui quanto più possibile ed attingendo proprio alla sua diversità. Ottimo proposito per il mio futuro, e magari per quello del mio Paese: riusciremo a farne una direttiva di vita?

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