martedì, dicembre 08, 2009
Gesuita e poi cappuccino, ha fondato l'Istituto delle Suore di Maria Consolatrice. Giovedì due celebrazioni ricorderanno il centenario della morte: con il cardinale Tettamanzi a Milano, col vescovo Beschi a Bergamo

Avvenire.it - « I mezzi per acquistare l'umiltà sono le umiliazioni ed è mediante la ripetizione di queste che si forma poi l'abito». Ha già vestito il saio da cappuccino quando padre Arsenio Migliavacca riflette in una lettera sul mistero del dolore e delle incomprensioni che lo accompagnano. Gesuita e poi francescano, fondatore della Congregazione delle Suore di Maria Santissima Consolatrice e predicatore, padre Arsenio - al secolo Giuseppe Antonio - è stato un apostolo della sofferenza. «Il suo tratto più significato - spiega padre Fedele Merelli, vicepostulatore nella causa di beatificazione ancora in corso - è quello di aver trasformato le difficoltà in ricchezza di spirito. Di fatto la sua croce è stata una croce pasquale che è diventata feconda ». Come dimostra la storia dell'istituto religioso da lui fondato che dalla casa madre, in via Gioia a Milano, si è esteso in quattro continenti ed oggi è presente in Cina, Costa d'Avorio, Burkina Faso, Brasile, Ecuador e Angola.

Proprio la «casa delle origini» sarà uno dei luoghi in cui verrà celebrato giovedì il centenario della morte di padre Migliavacca. Alle 17 l'arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, presiederà i vespri solenni in via Gioia, mentre al mattino dello stesso giorno nel convento dei Cappuccini a Bergamo è prevista la Messa solenne presieduta dal vescovo Francesco Beschi.

«Padre Arsenio - afferma padre Merelli - è una figura a cui guardare di fronte ai problemi che affliggono il nostro tempo». Perché la sua vita è stata costellate da fatiche che ha tradotto in una sua personale spiritualità della sofferenza.

Nato nel 1849 a Trigolo, in diocesi di Cremona, entra in seminario a tredici anni e a venticinque viene ordinato sacerdote. È il 1875 quando chiede di far parte della Compagnia di Gesù. Una scelta motivata dal desiderio di una vita spirituale più intensa, come sottolinea in un appunto: «Come Gesuita hai maggior obbligo di seguirlo più da vicino e più perfettamente ».

In Francia per il noviziato, non riesce a superare l'esame ad gradum che gli avrebbe permesso l'ammissione come professo. Dopo un lungo peregrinare, giunge a Piacenza dove è direttore spirituale nel seminario dell'istituto per i missionari degli emigranti fondato dal vescovo Giovanni Battista Scalabrini, in difficoltà con la Curia romana. Un'amicizia che non giova alla sua permanenza nella Compagnia da cui si dimette nel 1892.

Intanto conosce Giuseppina Fumagalli che ha radunato attorno a sé alcune donne chiamate «Suore della Consolata». A lui la diocesi di Torino affida di dirigere le religiose di cui definisce il carisma, ossia l'impegno nelle «opere della misericordia sì spirituali che corporali verso i nostri prossimi, massime orfani nella tenera età».

Nel 1895 l'arcivescovo di Milano, il cardinale Andrea Carlo Ferrari, pone la prima pietra della casa di via Gioia. Non trascorre molto tempo che padre Arsenio diventa bersaglio di invidie e calunnie dentro la Congregazione. Così a 53 anni decide di farsi cappuccino - la sua professione perpetua è del 1906. Trasferito a Bergamo, si dedica alla predicazione. Muore il 10 dicembre 1909. E dal 1953 le sue spoglie si trovano in via Gioia a Milano.

di Giacomo Gambassi


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