Intervista con Miguel Ortega dell'Observatorio de la deuda en la Globalización. L'analista spiega cosa serve per sbloccare i negoziati di Copenaghen.
PeaceReporter - Miguel Ortega, analista dell'Observatorio de la deuda en la Globalización, sarà a Copenaghen per sostenere la campagna "No te comas el mundo" lanciata da diverse organizzazioni spagnole. Peacereporter lo ha raggiunto al telefono poco prima della partenza per la Conferenza Internazionale.
A Copenaghen quale sarà la vostra prima petizione ai governi?
Sicuramente quella ai paesi più industrializzati perchè si chieda un impegno serio per la riduzione delle emissioni. In secondo luogo sicuramente che si stabilisca un sistema di finanziamento adeguato per appoggiare i paesi in via di sviluppo perché possano trovare misure in modo che gli sconvolgimenti dovuti al cambio climatico siano isolati una volta per tutte.
Il centro della vostra lotta sono i debiti causati dalla globalizzazione. Non crede che oggi siano più importanti i crediti delle nazioni? Come per esempio i 1600 miliardi di dollari di riserve della Cina?
In realtà consideriamo il debito in un aspetto ampio che non copra solo aspetti finanziari. Con il cambio climatico stiamo cercando il riconoscimento del debito ecologico: una serie di impatti ambientali enormi che stanno affliggendo i paesi del sud anche se essi non sono i responsabili primari delle loro difficoltà. E queste si che sono enormi, anche in termini monetari. Noi vogliamo sia riconosciuto, una volta per tutte, il principio secondo cui i paesi industrializzati sono in debito ecologico con quelli in via di sviluppo.
L’India continua a ripetere che è impossibile ridurre le emissioni di carbonio del 50 percento. Come si può risolvere il problema?
L’India ha fatto una proposta basata sull’argomento delle emissioni per abitante. Il governo di Nuova Delhi contesta che si esiga da esso una riduzione delle emissioni in base a questa regola, dal momento che un cittadino indiano emette dieci volte meno Co2 rispetto a un europeo. Quindi loro dicono che fino a che non ci si siederà ad un tavolo per affrontare seriamente la questione non gli potranno chiedere altri compromessi. L’unica soluzione possibile per arrivare ad un accordo concreto e giusto con l’India è che i paesi industrializzati traccino un piano di riduzioni più forte che permetta realisticamente che tutte le nazioni abbassino le emissioni.
Quindi non è l’India che rischia di far saltare il summit?
Ciò che in questo momento sta minando i negoziati non sono le emissioni dell’India ma la mancanza di impegni da parte dei paesi industrializzati. L’Ipcc ha stabilito che se non si riducono di un 25-40 percento le emissioni di questi Stati il rischio ecologico sarà imponderabile. E se guardiamo alle proposte che ad oggi hanno messo sul tavolo questi paesi possiamo notare come ancora siano lontani da 25 percento. Questa situazione blocca l’intero processo.
Uno dei vostri principi base è quello del “controllo sociale degli attori della globalizzazione”. In cosa consiste?
Ci sono attori della globalizzazione che non sono stati intervistati in modo adeguato. Il settore dei consumatori nella società, ad esempio, è un attore oscuro che non è garantito da un’azione adeguata a livello legislativo o di controllo sociale. Quello che chiediamo è che siano conosciute queste persone e siano definite delle misure comuni.
PeaceReporter - Miguel Ortega, analista dell'Observatorio de la deuda en la Globalización, sarà a Copenaghen per sostenere la campagna "No te comas el mundo" lanciata da diverse organizzazioni spagnole. Peacereporter lo ha raggiunto al telefono poco prima della partenza per la Conferenza Internazionale.A Copenaghen quale sarà la vostra prima petizione ai governi?
Sicuramente quella ai paesi più industrializzati perchè si chieda un impegno serio per la riduzione delle emissioni. In secondo luogo sicuramente che si stabilisca un sistema di finanziamento adeguato per appoggiare i paesi in via di sviluppo perché possano trovare misure in modo che gli sconvolgimenti dovuti al cambio climatico siano isolati una volta per tutte.
Il centro della vostra lotta sono i debiti causati dalla globalizzazione. Non crede che oggi siano più importanti i crediti delle nazioni? Come per esempio i 1600 miliardi di dollari di riserve della Cina?
In realtà consideriamo il debito in un aspetto ampio che non copra solo aspetti finanziari. Con il cambio climatico stiamo cercando il riconoscimento del debito ecologico: una serie di impatti ambientali enormi che stanno affliggendo i paesi del sud anche se essi non sono i responsabili primari delle loro difficoltà. E queste si che sono enormi, anche in termini monetari. Noi vogliamo sia riconosciuto, una volta per tutte, il principio secondo cui i paesi industrializzati sono in debito ecologico con quelli in via di sviluppo.
L’India continua a ripetere che è impossibile ridurre le emissioni di carbonio del 50 percento. Come si può risolvere il problema?
L’India ha fatto una proposta basata sull’argomento delle emissioni per abitante. Il governo di Nuova Delhi contesta che si esiga da esso una riduzione delle emissioni in base a questa regola, dal momento che un cittadino indiano emette dieci volte meno Co2 rispetto a un europeo. Quindi loro dicono che fino a che non ci si siederà ad un tavolo per affrontare seriamente la questione non gli potranno chiedere altri compromessi. L’unica soluzione possibile per arrivare ad un accordo concreto e giusto con l’India è che i paesi industrializzati traccino un piano di riduzioni più forte che permetta realisticamente che tutte le nazioni abbassino le emissioni.
Quindi non è l’India che rischia di far saltare il summit?
Ciò che in questo momento sta minando i negoziati non sono le emissioni dell’India ma la mancanza di impegni da parte dei paesi industrializzati. L’Ipcc ha stabilito che se non si riducono di un 25-40 percento le emissioni di questi Stati il rischio ecologico sarà imponderabile. E se guardiamo alle proposte che ad oggi hanno messo sul tavolo questi paesi possiamo notare come ancora siano lontani da 25 percento. Questa situazione blocca l’intero processo.
Uno dei vostri principi base è quello del “controllo sociale degli attori della globalizzazione”. In cosa consiste?
Ci sono attori della globalizzazione che non sono stati intervistati in modo adeguato. Il settore dei consumatori nella società, ad esempio, è un attore oscuro che non è garantito da un’azione adeguata a livello legislativo o di controllo sociale. Quello che chiediamo è che siano conosciute queste persone e siano definite delle misure comuni.
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