Bertolaso e le proteste: «Mi hanno amareggiato. Abbiamo sempre coinvolto le autorità locali»
Tempi - L’ inseparabile tricolore sdrucito Guido Bertolaso l’ha portato anche nella scuola della Guardia di finanza di Coppito dove si svolgerà il prossimo G8. «è qui», dice a Tempi il sottosegretario addetto a risolvere le “grane” italiane. I brandelli di questa bandiera accompagnano Bertolaso da quando, giovane medico, fu inviato dalla Farnesina in Thailandia per gestire un ospedale. Arrivato sul posto con una Fiat Campagnola e una mappa scoprì che l’impresa era più ardua del preventivabile. L’ospedale, infatti, non esisteva. Rimase. E costruì l’ospedale, la cui bandiera, recuperata da una discarica in cui era stata gettata per errore, da allora, è diventata l’emblema delle sue missioni impossibili.
Bertolaso è tutti i giorni in Abruzzo e può ben dirsi soddisfatto del lavoro che è stato fatto, «pur tra mille difficoltà e incertezze». «È stato approvato a solo un mese dal sisma un decreto legge. Abbiamo dato a tutti, nei limiti del possibile, una collocazione confortevole. Abbiamo riattivato i servizi essenziali, abbiamo riaperto l’ospedale San Salvatore, abbiamo censito le chiese e le case, di quest’ultime abbiamo indicato quali sono agibili. Abbiamo preparato un elenco delle scuole agibili e abbiamo garantito la ripresa dell’anno scolastico a settembre. Insomma, non mi sembra poco. A settanta giorni dal sisma possiamo parlare senza falsa modestia di risultati “eccellenti”. Parola, questa, usata non da noi, ma dagli osservatori internazionali». Non bastassero i riconoscimenti che vengono dall’alto, Bertolaso cita le parole dei terremotati stessi. «Tutte le settimane compio un giro nelle tendopoli, perché è sempre molto utile per capire come vanno realmente le cose». E settimana scorsa, «mi è capitato di parlare con un terremotato che mi ha raccontato di una sorella umbra colpita dal sisma di dodici anni fa. Ha ricevuto un’abitazione solo l’anno scorso, noi, invece, preventiviamo di trovare a tutti un tetto nei prossimi mesi». Eppure anche Bertolaso ha dovuto subire qualche contestazione. Guidati dal sindaco dell’Aquila e dalla presidente della Provincia, un migliaio di abruzzesi – ma a far numero c’erano anche i resuscitati studenti dell’Onda – hanno riempito piazza Montecitorio per protestare per il decreto Abruzzo. «Sono molto amareggiato, non lo nascondo. Qui si fa finta di non sapere. Quando sento strillare che “siamo soli”, “ci hanno abbandonato”, mi viene da ridere. Da quel famoso 6 aprile, non è passato giorno che noi della Protezione civile non ci siamo confrontati con le autorità locali, dal sindaco al presidente della Provincia. Dal 6 aprile, tutte le sere ci si ritrova per concordare strategie e interventi. Qui qualcuno mente sapendo di mentire».
Tornare in Africa? Non c’è più posto
La sensazione che ricava Bertolaso dai suoi giri nelle tendopoli non è però la lamentela, ma un grande sentimento di gratitudine «per i volontari e i manager della Protezione civile, ragazzi eccezionali. La gente lo capisce, se poi ci sono altri che non vogliono riconoscerlo, che devo dire?, pazienza. Siamo un paese cui piace farsi del male». Quando avrà finito di mettere a posto le grane italiane che farà Bertolaso? Una volta, in una delle sue rare interviste, disse che un giorno o l’altro gli sarebbe piaciuto ritornare in Africa, da dove cominciò tanti anni fa, sulle orme del dottor Schweitzer. «Tornare in Africa? Non so se ci sono ancora biglietti disponibili. Sa, ultimamente è meta ambita da tanti... sicuramente continuerò a fare qualcosa per gli altri. È la mia missione. E porterò con me la mia bandiera sgualcita».
Tempi - L’ inseparabile tricolore sdrucito Guido Bertolaso l’ha portato anche nella scuola della Guardia di finanza di Coppito dove si svolgerà il prossimo G8. «è qui», dice a Tempi il sottosegretario addetto a risolvere le “grane” italiane. I brandelli di questa bandiera accompagnano Bertolaso da quando, giovane medico, fu inviato dalla Farnesina in Thailandia per gestire un ospedale. Arrivato sul posto con una Fiat Campagnola e una mappa scoprì che l’impresa era più ardua del preventivabile. L’ospedale, infatti, non esisteva. Rimase. E costruì l’ospedale, la cui bandiera, recuperata da una discarica in cui era stata gettata per errore, da allora, è diventata l’emblema delle sue missioni impossibili.Bertolaso è tutti i giorni in Abruzzo e può ben dirsi soddisfatto del lavoro che è stato fatto, «pur tra mille difficoltà e incertezze». «È stato approvato a solo un mese dal sisma un decreto legge. Abbiamo dato a tutti, nei limiti del possibile, una collocazione confortevole. Abbiamo riattivato i servizi essenziali, abbiamo riaperto l’ospedale San Salvatore, abbiamo censito le chiese e le case, di quest’ultime abbiamo indicato quali sono agibili. Abbiamo preparato un elenco delle scuole agibili e abbiamo garantito la ripresa dell’anno scolastico a settembre. Insomma, non mi sembra poco. A settanta giorni dal sisma possiamo parlare senza falsa modestia di risultati “eccellenti”. Parola, questa, usata non da noi, ma dagli osservatori internazionali». Non bastassero i riconoscimenti che vengono dall’alto, Bertolaso cita le parole dei terremotati stessi. «Tutte le settimane compio un giro nelle tendopoli, perché è sempre molto utile per capire come vanno realmente le cose». E settimana scorsa, «mi è capitato di parlare con un terremotato che mi ha raccontato di una sorella umbra colpita dal sisma di dodici anni fa. Ha ricevuto un’abitazione solo l’anno scorso, noi, invece, preventiviamo di trovare a tutti un tetto nei prossimi mesi». Eppure anche Bertolaso ha dovuto subire qualche contestazione. Guidati dal sindaco dell’Aquila e dalla presidente della Provincia, un migliaio di abruzzesi – ma a far numero c’erano anche i resuscitati studenti dell’Onda – hanno riempito piazza Montecitorio per protestare per il decreto Abruzzo. «Sono molto amareggiato, non lo nascondo. Qui si fa finta di non sapere. Quando sento strillare che “siamo soli”, “ci hanno abbandonato”, mi viene da ridere. Da quel famoso 6 aprile, non è passato giorno che noi della Protezione civile non ci siamo confrontati con le autorità locali, dal sindaco al presidente della Provincia. Dal 6 aprile, tutte le sere ci si ritrova per concordare strategie e interventi. Qui qualcuno mente sapendo di mentire».
Tornare in Africa? Non c’è più posto
La sensazione che ricava Bertolaso dai suoi giri nelle tendopoli non è però la lamentela, ma un grande sentimento di gratitudine «per i volontari e i manager della Protezione civile, ragazzi eccezionali. La gente lo capisce, se poi ci sono altri che non vogliono riconoscerlo, che devo dire?, pazienza. Siamo un paese cui piace farsi del male». Quando avrà finito di mettere a posto le grane italiane che farà Bertolaso? Una volta, in una delle sue rare interviste, disse che un giorno o l’altro gli sarebbe piaciuto ritornare in Africa, da dove cominciò tanti anni fa, sulle orme del dottor Schweitzer. «Tornare in Africa? Non so se ci sono ancora biglietti disponibili. Sa, ultimamente è meta ambita da tanti... sicuramente continuerò a fare qualcosa per gli altri. È la mia missione. E porterò con me la mia bandiera sgualcita».
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