domenica, maggio 10, 2009

L’altra faccia di Gomorra

Il racconto del Sud che resiste nel libro di Pasquale Iorio

Liberainformazione - Si è tenuta ieri nella sede di Fondimpresa la presentazione del libro il Sud che resiste di Pasquale Iorio. Gli interventi della prof.ssa Vittoria Gallina, di Antonio Messia di Fondimpresa, di Alfredo Loso dell’obr campania e di Salvatore Vecchio di Libera hanno animato il dibattito su un libro che si colloca in maniera diversa nel filone della saggistica su Sud e mafie. Le pubblicazioni che recentemente hanno raccontato il mezzogiorno, infatti, hanno fatto luce su realtà sottovalutate, dimenticate, fornendo al resto d’Italia un quadro degli intrighi mafiosi e dando la misura del giro d’affari che coinvolge anche il nord del Paese e l’Europa. Ma quello che questi libri spesso dimenticano di raccontare è che il Sud ha anche un’altra faccia, esiste un’umanità che rappresenta una speranza anche per tutti gli altri, una popolazione attiva e resistente. Pasquale Iorio ha il merito di aver incentrato interamente il suo racconto su queste persone e sulle loro esperienze di resistenza civile e cittadinanza attiva. A partire della storie di alcuni giornalisti coraggiosi come Rosaria Capacchione, Sergio Nazzaro, Gigi di Fiore, il Sud che resiste ci introduce in una realtà fatta di associazioni e movimenti giovanili, di cooperative sociali e di una Chiesa portatrice di un messaggio di pace, ma anche di impegno civile. Iorio diventa così testimone appassionato di vite vissute in nome di una fede sociale in una realtà in cui diventano normali cose che non lo sono e dove il sistema si adatta alle distorsioni. Con l’occhio attento di chi vive in certi territori riporta dei modelli per ricordare soprattutto ai giovani che è possibile vivere in modo diverso. Il libro sottolinea anche come la formazione sia lo strumento principale per la diffusione della cultura della legalità, raccontando dell’iniziativa scuole aperte. Ma in questo caso bisogna puntare non solo sull’educazione dei giovani, anche su quella degli adulti, portando la formazione sui luoghi di lavoro. Un tema che sta molto a cuore all’autore, essendo stato per molti anni nella CGIL Campania responsabile della formazione continua. Rendere consapevoli gli adulti e metterli di fronte alla proprie responsabilità individuali perché diventino un esempio. E Iorio ha voluto ribadire nel suo racconto che questi esempi esistono ed è giusto legittimare il loro lavoro silenzioso. Lo scopo è quello di fare memoria, far si che queste cose vengano raccontate, ripetute e ricordate. Perché come scrive don Luigi Ciotti nella postfazione “… La memoria non è solo omaggio alle vittime, attenzione agli insegnamenti del passato, ma una vera e propria strategia di lotta, un dovere sociale e istituzionale.”

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domenica, maggio 10, 2009

Salvo e Peppino Vite contro la mafia

Intervista a Salvo Vitale, amico e compagno di Peppino Impastato, militante di democrazia proletaria, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978

Liberainformazione - Trentuno anni dopo, da Corleone a Cinisi, corre sull'asse della memoria e dell'impegno il ricordo di Peppino Impastato, militante di democrazia proletaria e animatore di Radio Aut, ucciso il 9 maggio del 1978 da Cosa nostra. Salvo Vitale, amico e compagno di Peppino, lo ricorda ai microfoni dei ragazzi di Corleone Dialogos e parla di informazione mafia e di un pezzo di storia che cambiò per sempre le loro vite. Sulla situazione del Paese oggi, fra mafie e informazione, commenta: rispetto agli anni '70 si parla di più di mafia. Ma non vuol dire che si possa fare. Questa legge sulle intercettazioni riporterebbe li, a quello che Peppino raccontava quando non si poteva.

Quali erano le motivazioni e le finalità che vi portarono a fondare Radio Aut?

Siamo intorno al '77 - cioè in un momento in cui le radio libere in Italia nascono come funghi, a seguito di una sentenza di un pretore di Milano che aveva liberalizzato l'etere. Tra le 7000 radio nate allora, ce n'erano circa 500-600 che erano radio un po' più politicizzate - le chiamavano a suo tempo "rai emittenti democratiche". Radio Aut appartiene a questo gruppo. Nacque perché a Palermo nel 77 c'era una di queste radio fatta un pò da questi fricchettoni, creativi, movimentisti etc…, abbastanza spoliticizzati, questa radio Apace, forse perché non si era saputa dare un minimo di organizzazione, aveva chiuso e si era fusa con Radio Sud, un'altra di queste emittenti palermitane politicizzate. C'era disponibile questo trasmettitore; quando Peppino lo seppe, disse "lo voglio", andammo ad acquistarlo a pochissimi soldi e così Peppino diede corpo alla sua idea di fare una radio, che era una cosa che lo accompagnava addirittura dai tempi in cui nel 1970 Danilo Dolci aveva creato a Partitico la Radio dei Poveri Cristi. Allora era assolutamente proibito trasmettere. Danilo era riuscito a procurarsi un trasmettitore, a fare una trasmissione una registrazione che ancora esiste dei poveri cristi, dei terremotati del Belice e del dramma che questi vivevano perché dopo un anno dal terremoto non era neanche stata alzata una pietra. Questo Sos durò 28 ore, poi alla fine i carabinieri fecero irruzione, fermarono questo esperimento denunciando il responsabile.

Il modello di creare una radio di resisteza c'era da un pò...

Si. L'intenzione era quella di fare informazione in maniera un po' più efficace di quanto non fosse l'informazione di Stato. Quindi spulciare un pò di giornali, cercare tutta una serie di notizie occultate o messe all'ultima pagina, ma che riguardavano fatti di movimento (per esempio scorrerie fasciste, assalti a ragazzi magari colpevoli di essere solo capelloni, oppure esempi di mala sanità, di disoccupazione, leggi liberticide.. ); occuparci di tutta quella serie di persone messe ai margini dal potere, compresi i lavoratori, i contadini di Punta Raisi che andavamo ad intervistare, i pescatori di Terrasini dove, dopo una breve indagine, non ci volle molto a capire che facevano tutti parte di un sistema paramafioso e ne erano tutti vittime. Quindi una radio come movimento, a suo tempo nella nostra testata c'era :“Giornale di controinformazione” - informazione al contrario dell'informazione dello Stato. Oggi i termini li potremmo invertire, dicendo che la controinformazione è proprio la disinformazione di Stato che abitualmente viene fatta dalle emittenti che sono quasi interamente controllate da sua Emittenza. La radio, secondo un documento che a suo tempo Peppino scrisse, doveva avere questa funzione, potremmo dire, pedagogica - cioè creare coscienza rivoluzionaria e liberare masse che sapessero riflettere, ribellarsi e soprattutto organizzarsi; nello stesso tempo informare soprattutto imparare a non agire soli, cioè ad avere uno strumento di politica.

Qual era il clima a Cinisi e in Italia alla fine degli anni 70?

C'era un clima estremamente combattivo che si era creato negli anni '60, soprattutto nel 68, allorché erano state espropriate ai contadini le loro terre per costruire la pista trasversale a Punta Raisi. Quelle battaglie videro un po' il battesimo politico di Peppino. Io appartenevo a quelli che avevano un terreno in queste zone. La battaglia dei contadini di allora era "dateci i soldi così possiamo andare a comprare un altro pezzo di terra per continuare a lavorare e a fare il nostro mestiere". Invece i soldi li ebbero dopo 4-5 anni. Una mattina vedemmo arrivare 800 carabinieri, cani poliziotto, elicotteri, in assetto di guerra, riuscimmo a resistere per tre giorni, ma alla fine abbiamo dovuto arrenderci; ricordo ancora molte di queste persone che piangevano perché dovevano buttare a terra la loro stanza da letto, la cucina dove vivano; invece si fece questa pista, un aeroporto nato sbagliato, sempre controllato dalla mafia e dove sono caduti due aerei, con circa 350 morti. Un aeroporto non si fa in queste condizioni. Questo è il primo momento di lotte politiche. A Cinisi il nostro gruppo lo chiamavano i mao mao, perchè eravamo un po' tutti d'ispirazione maoista.[...]. Però mentre il modello di riferimento del Partito Comunista era Mosca, per noi prima del PSIUP, poi ritenuti extraparlamentari di sinistra, era Pechino, cioè la Cina di Mao Tze Tung e la sua complessa esperienza di rivoluzione culturale[...]. Quindi - diciamo così - c'era questa carica di assoluta ribellione, per non dire polemica, nei confronti del partito Comunista [...] c'era questo gruppo che Peppino era riuscito a creare, che comprendeva una cinquantina di giovani. Poi c'era al solito l'apparato di potere della Democrazia Cristiana. A Cinisi successero addirittura della cose un po' strane, ad esempio, intanto nel 68 era spuntato un partito social-democratico, che non era mai esistito prima, grazie all'iniziativa di un politico locale il professor Pandolfo, che diventerà anche deputato nazionale e che allora divenne sindaco di Cinisi raccogliendo 7 consiglieri, cioè avere 7 consiglieri, mentre prima non esisteva, era una cosa strepitosa, però pare che dietro questo partito si fossero schierati tutti i mafiosi di Cinisi, che non votavano più Democrazia Cristiana. Invece un'altra novità si ebbe negli anni '70 quando Peppino denunciò le prime esperienze di compromesso storico tra il partito Comunista e la Democrazia Cristiana. C'era un vicesindaco comunista e un sindaco democristiano. Anche qua, questa cosa a Peppino e ai suoi amici parve un tradimento, perché nella nostra analisi Dc = mafia e PC che stava con la DC voleva dire che stava con la mafia.

Cosa ha significato per voi e per le vostre famiglie essere di Radio Aut?


Essere di Radio Aut significava essere rompi scatole, essere guardati con molto sospetto dalla gente. Lo posso raccontare con un episodio. Qualche giorno dopo che uccisero Peppino stavo leggendo un resoconto della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia su Salvo Lima, e dicevo che questo era stato citato nella relazione 2500 volte ed era uno dei principali indiziati della connessione mafia politica. Quanto ritornai a casa, mia madre mi aspettava davanti la porta e mi disse: quando ti ammazzeranno mi vesto di rosso. Avevamo la coscienza di essere delle avanguardie, di fare un gioco anche pericoloso, ma necessario per impostare un modello di società diversa.

Sei pentito di qualcosa in particolare che avete fatto in quegli anni?

Non tanto. Forse mi rimorde solo un po' di avere tirato la corda troppo con Peppino, di averlo - direi quasi - portato ad esporre quella che era la sua naturale aggressività. La radio infatti cominciò ad avere una forma un po' più organizzata e più concreta nell'ottobre del 77, quindi gli ultimi sette mesi cioè quelli in cui abbiamo lavorato braccio a braccio. Ripeto - ogni tanto ho questa sorta di interiore rimorso - di non essere stato forse, visto che avevo cinque anni in più di Peppino, più riflessivo di lui, ma di avere giocato sullo stesso piano.

Se dico Peppino Impastato cosa ti viene in mente?

Come faccio a dirtelo, è un po' una parte di me stesso! Per esempio, andavo alla radio con mia figlia Carol, che allora aveva tre anni. Carol appena vedeva Peppino lo prendeva per mano e gli diceva usciamo; lo portava a passeggiare e lo sbancava, perché si faceva comprare caramelle, gelati, giocattoli, etc… . Peppino aveva trecento lire in tasca, pochissimo. Arrivava alla radio e mi diceva mi dai una sigaretta, allora capivo cosa era accaduto e gli davo tutto il pacchetto. In quel gesto c'era parte della sensibilità di questa persona che non pensava a comprarsi il pacchetto di sigarette ma a fare felice mia figlia.

Perché Peppino Impastato fu ammazzato?

Ti posso dire, come diciamo in siciliano “U rispetto è misuratu, cu lu porta, l'avi purtatu”e mancare di rispetto era come un delitto di lesa maestà. In fondo abbiamo fatto questo, li abbiamo ridicolizzati di fronte a tutto il paese e quindi questi che si sentono persone di rispetto hanno reagito con il delitto.

Qual è la differenza fra fare informazione sulla mafia oggi e negli anni '70?

Rispetto agli anni 70, diciamo che c'è un po' di libertà in più, nel senso che possiamo permetterci - usando notizie giornalistiche - di parlarne un po' di più. Parlarne di più non è che significa necessariamente che si può fare. Una volta mesi dopo che uscì il mio libro su Peppino, mi incontrò il figlio di Cesare Manzella, il noto capomafia di Cinisi che comunque era molrto dal 63, e mi disse “Ma a lei cu ciu rissi, chi me patri trafficava in droga?”. Allora io gli ho detto, non me lo ha detto nessuno, ho riportato solo delle sentenze e degli articoli di giornali. Mi rispose, “Ma sapi com'è, na sentenza la legge il giudice e se la scordano tutti, un articolo di giornale compare un giorno e non ci pensa più nessuno, se lei lo scrive in un libro questa cosa resta e diventa conoscenza di tutti”. Non dimenticare che l'Italia è al trentacinquesimo posto per la libertà di stampa nel mondo più o meno dopo la Nigeria. L' informazione è assolutamente controllata e passano solo una serie di cose. Attualmente con la legge che vogliono fare per bloccare le intercettazioni telefoniche passeranno ancora meno cose per cui siamo sempre là, ad uno dei motivi che portarono Peppino di cercare di fare conoscere una serie di cose che abitualmente non si conoscono. Non mi illudo che la quantità delle informazioni sostituisca la qualità, ma è un'informazione censurata in partenza.
Quale è la differenza tra la mafia di allora e quella di oggi?


Non è che ci sia grande differenza, tutte le carognate che la mafia faceva negli anni 70 le continua a fare. Ci sono delle fasi in cui un gruppo vuol diventare egemone su un'altro allora scoppiano le guerre di mafia. Ci sono altre fasi in cui la strategia diventa “calati iuncu chi passa la china”, che è la strategia di Bernardo Provenzano di associarsi con le istituzioni. Sono delle fasi che ci sono sempre state. Oggi forse siamo andati qualche passo avanti mentre prima i mafiosi gestivano la politica in maniera sotterranea oggi molti sono entrati direttamente in politica. Il più noto è Totò Cuffaro che ha festeggiato la condanna con i cannoli ed è stato rieletto senatore.

* Corleone Dialogos

Ascolta l'audio integrale dell'intervista su Yesradio


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domenica, maggio 10, 2009

Giornate nazionali per la donazione e il trapianto

Una cultura che non coinvolge solamente i familiari ma tutto il sistema

Radio Vaticana - “Un donatore moltiplica la vita”: è il messaggio che ha contraddistinto la XII edizione delle Giornate nazionali per la donazione e trapianto di organi e tessuti. L’iniziativa si conclude oggi dopo una settimana ricca di eventi in tutta Italia, che hanno visto le associazioni di settore impegnate in una campagna di sensibilizzazione. Per una riflessione sulla cultura della donazione in Italia, Eliana Astorri ha intervistato il prof. Salvatore Agnes, direttore dell’unità operativa di chirurgia sostitutiva e responsabile del Centro trapianti di fegato del Policlinico Gemelli (ascolta):

R. – La cultura della donazione in Italia, per fortuna, è già molto affermata. Il numero di trapianti degli ultimi anni è cresciuto sino a portare l’Italia ai vertici, tra le nazioni europee, per il numero di donazioni e di trapianti. Sono lontani gli anni nei quali c’erano i viaggi della speranza dei pazienti che dovevano andare all’estero per una vera carenza di possibilità di trapianto, dovuta fondamentalmente al fatto che c’erano pochi organi che si donavano. Oggi, effettivamente, la situazione è diversa. Si può, naturalmente, fare di più, ed è per questo che questa sensibilizzazione è sempre un fatto positivo.

D. – Le donazioni sono in aumento, ma perché c’è ancora una certa resistenza ad esprimere questa volontà?

R. – Vi è un luogo comune che il problema delle donazioni sia il mancato consenso alla donazione stessa. Questo sicuramente è un problema, ed è un problema che naturalmente può essere più o meno diffuso nel territorio nazionale, ma che comunque ha una certa fisiologicità. Per quanto possano essere diffusi i sentimenti positivi in questo senso, una percentuale – per motivi vari – di contrarietà alla donazione ci può sempre essere. Naturalmente, anche su questo si può agire. Il problema però non è che il processo di donazione sia problematico solamente per questa percentuale di non consenso, che poi è l’evento finale di un processo molto più complesso... In realtà, la donazione è un processo prima di tutto medico, perché è identificazione dei possibili donatori nei grandi ospedali – soprattutto nelle grandi rianimazioni -, cioè di pazienti che decedono – nonostante, ovviamente, le cure – per una patologia primitiva del cervello. Questi sono i donatori potenziali, e questo processo che comincia appunto nei grandi ospedali, nelle grandi rianimazioni, è un processo complesso, perché bisogna accertare la morte di questi soggetti, bisogna instaurare quindi delle procedure abbastanza complesse ed anche, in qualche modo, onerose, bisogna mantenere vitali gli organi di questi individui – che sono morti – e poi, alla fine del processo, c’è anche la richiesta di consenso. Tutto il processo è complesso ed oneroso per una struttura sanitaria. Per tale ragione, anche la cultura della donazione si deve affermare di più sul territorio. Una cultura che non coinvolge solamente i familiari, che devono richiedere il consenso, ma è tutto il sistema – i medici, gli operatori sanitari – che devono essere sensibilizzati ad attivare sempre, quando possibile, tutte queste procedure per aumentare le possibilità di donazione. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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domenica, maggio 10, 2009

Sri Lanka, 378 civili tamil uccisi nei bombardamenti

Tra le vittime 106 bambini. Oltre mille feriti. Il governo nega di aver bombardato la zona

PeaceReporter - I bombardamenti condotti nelle ultime 24 ore dall'aviazione e dall'artiglieria governative sulla 'Safe Zone' a nord di Mullaitivu avrebbero causato una strage di civili tamil senza precedenti. Lo riferisce il dottor Shanmugarajah, ex responsabile medico governativo del distretto di Mullaitivu, rimasto ad assistere i 50 mila sfollati tamil intrappolati dall'avanzata dell'esercito nel territorio in mano ai ribelli dell'Ltte.

Da ieri sera, 378 cadaveri e 1.122 feriti sarebbero arrivati nell'ospedale da campo di Mullivaykkaal, l'unico attivo nella 'Safe Zone'. Il dato si riferisce alle 15 di oggi, ma sembra che ci siano altre centinaia di vittime. Le vittime sono in maggioranza anziani, donne e soprattutto bambini: tra i cadaveri, 106 sono di bambini; tra i feriti ce ne sono 251.
Se questi numeri venissero confermati, si tratterebbe di una delle peggiori stragi di civili mai compiute da un esercito governativo.
Il governo di Colombo ha negato che nelle ultime 24 ore vi siano stati bombardamenti aerei e d'artiglieria sul territorio ribelle: una striscia di costa lunga 4 chilometri e profonda poco più di un chilometro.
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domenica, maggio 10, 2009

Papa: Gesù dia “il suo coraggio” ai cristiani di Terra Santa

Nella messa celebrata ad Amman, Benedetto XVI sottolinea "il carisma profetico" delle donne. Alla cerimonia gruppi venuti anche da Libano e Palestina. E profughi iracheni, compresi 40 bambini: alcuni hanno ricevuto dal Papa la loro prima comunione.

Amman (AsiaNews) – Gesù vi dia “il suo coraggio”: è l’augurio e al tempo stesso il mandato che Benedetto XVI ha affidato oggi ai 20mila cattolici che hanno riempito l’International Stadium di Amman, per una messa che ha dato occasione al Papa di sottolineare "il carisma profetico" delle donne, specialmente in questa regione. E’ l’unica messa pubblica che il Papa celebra nella visita a questo Paese. La Giordania – che oggi ha concesso un giorno di festa ai cristiani - è in certo modo un’isola felice per i cristiani, che sono poco più di 100mila, il 2% della popolazione, ma sono liberi di professare la loro fede, costruire chiese e scuole e, ora, anche una università. Tutt’intorno, la situazione è ben diversa: si va dall’occhiuto controllo siriano alle violenze irachene. E ci sono 70mila cristiani tra i quasi 700mila profughi rifugiatisi qui dall’Iraq. Ce ne sono anche alla messa papale, chiamano il Papa a gran voce. E sono iracheni 40 dei 200 bambini che oggi fanno la prima comunione, alcuni la ricevono da Benedetto XVI.

Sono venuto, dice il Papa ai presenti, per “incoraggiarvi a perseverare nella fede, speranza e carità, in fedeltà alle antiche tradizioni e alla singolare storia di testimonianza cristiana che vi ricollega all'età degli Apostoli. La comunità cattolica di qui - aggiunge - è profondamente toccata dalle difficoltà e incertezze che riguardano tutti gli abitanti del Medio Oriente; non dimenticate mai la grande dignità che deriva dalla vostra eredità cristiana”. Già sull’aereo che lo portava qui, parlando con i giornalisti, Benedetto XVI aveva detto che la sua visita voleva servire a d aiutare i cristiani della regione “a trovare il coraggio, l’umiltà e la pazienza di restare in questi Paesi e offrire il loro contributo per il futuro”.

“Che il coraggio di Cristo nostro pastore - aggiunge oggi - vi ispiri e vi sostenga quotidianamente nei vostri sforzi di dare testimonianza della fede cristiana e di mantenere la presenza della Chiesa nel cambiamento del tessuto sociale di queste antiche terre. La fedeltà alle vostre radici cristiane, la fedeltà alla missione della Chiesa in Terra Santa, vi chiedono un particolare tipo di coraggio: il coraggio della convinzione nata da una fede personale, non semplicemente da una convenzione sociale o da una tradizione familiare; il coraggio di impegnarvi nel dialogo e di lavorare fianco a fianco con gli altri cristiani nel servizio del Vangelo e nella solidarietà con il povero, lo sfollato e le vittime di profonde tragedie umane; il coraggio di costruire nuovi ponti per rendere possibile un fecondo incontro di persone di diverse religioni e culture e così arricchire il tessuto della società. Ciò significa anche dare testimonianza all'amore che ci ispira a ‘sacrificare’ la nostra vita nel servizio agli altri e così a contrastare modi di pensare che giustificano il ‘stroncare’ vite innocenti”. “Chiediamo alla Madre della Chiesa - ribadisce al Regina Caeli - di volgere lo sguardo misericordioso su tutti i cristiani di queste terre; con l’aiuto delle sue preghiere possano essere veramente una cosa sola nella fede che professano e nella testimonianza che offrono”.

Alla preghiera dei fedeli si chiede “la tanto sospirata pace” in Medio Oriente, in Palestina, in Iraq e in Libano. In un lato dello stadio c’è anche un gruppo di cattolici libanesi, che invitano il Papa ad andarli a trovare. Ci sono anche bandiere palestinesi, qua e là.

Canti e letture anche in arabo e aramaico, intorno al grande altare decorato con le immagini di Gesà, Maria e Giovanni Battista, patrono di questo Paese. La folla è molto attenta e molto partecipe, all’interno dello stadio, lo stesso ove nove anni fa celebrò messa Giovanni Paolo II. Il patriarca latino di Gerusalemme, Fouuad Twal, nel suo saluto loda la “stabilità” offerta dal governo di questo Paese e aggiunge che anche se incontra grandi difficoltà, la Chiesa di queste terre vede crescere le vocazioni.

Per le Chiese di Terra Santa, quello attuale è l’Anno della famiglia. Lo ricorda Benedetto XVI che parla di “forti famiglie cristiane di queste terre” ed esalta il ruolo delle donne nel piano di Dio. “Quanto - dice - la Chiesa in queste terre deve alla testimonianza di fede e di amore di innumerevoli madri cristiane, Suore, maestre ed infermiere, di tutte quelle donne che in diverse maniere hanno dedicato la loro vita a costruire la pace e a promuovere 1'amore! Fin dalle prime pagine della Bibbia, vediamo come uomo e donna creati ad immagine di Dio, sono chiamati a completarsi l'un l'altro come amministratori dei doni di Dio e suoi collaboratori nel comunicare il dono della vita, sia fisica che spirituale, al nostro mondo. Sfortunatamente, questa dignità e missione donate da Dio alle donne non sono state sempre sufficientemente comprese e stimate. La Chiesa, e la società nel suo insieme, sono arrivate a rendersi conto quanto urgentemente abbiamo bisogno di ciò che il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II chiamava ‘il carisma profetico’ delle donne come portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace, comunicatrici di calore ed umanità ad un mondo che troppo spesso giudica il valore della persona con freddi criteri di sfruttamento e profitto. Con la sua pubblica testimonianza di rispetto per le donne e con la sua difesa dell'innata dignità di ogni persona umana, la Chiesa in Terra Santa può dare un importante contributo allo sviluppo di una cultura di vera umanità e alla costruzione della civiltà dell'amore”.

Del “carisma profetico delle donne” Benedetto XVI parla anche al Regina Caeli. “L’esempio supremo delle virtù femminili - dice - è la Beata Vergine Maria: la Madre della Misericordia e Regina della pace. Mentre ora ci riolgiamo a lei, invochiamo la sua materna intercessione per tutte le famiglie di queste terre, affinché possano veramente essere scuole di preghiera e scuole di amore”.

La gente applaude, poi comincia a sfollare. Malvolentieri: domani Benedetto XVI partirà, diretto a Gerusalemme.
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domenica, maggio 10, 2009

Due piccoli flash sulla bioetica

del nostro collaboratore Carlo Mafera

Maria Luisa Di Pietro, professore associato di Bioetica presso l'Università Cattolica S. Cuore di Roma, presidente nazionale dell’Associazione Scienza&Vita, ha tenuto una lezione presso l’Università della Santa Croce venerdì 17 aprile nell’ambito del corso di aggiornamento di giornalismo su temi di attualità cattoliche. Due sono stati sostanzialmente gli argomenti affrontati dalla dottoressa Di Pietro: il concetto di dignità della persona umana e successivamente l’accanimento terapeutico. La studiosa ha messo in evidenza l’importanza della esatta definizione dei concetti. Infatti “non si può dare significati differenti allo stesso oggetto perché significherebbe condizionare la mente delle persone”. Ha così fatto l’esempio dell’episodio di Alice nel paese delle meraviglie dove viene espresso il concetto della dittatura delle parole. “Quando io mi servo di una parola – rispose Humpty Dumpty in Alice, oltre lo specchio, quella parola significa quello che piace a me né più né meno”. “Il problema è – insisté Alice – se si può dare alle parole significati così differenti. Il problema è – disse Humpty Dumpty – chi è il padrone? A proposito della giusta definizione di dignità della persona la professoressa Di Pietro ha sottolineato non l’accezione di un valore attribuito dall’esterno dove la società stabilisce le condizioni a partire dalle quali la vita umana sia “degna”con tutto quello che ne deriva. Piuttosto ha ribadito che la dignità della persona è un valore intrinseco all’uomo, “è la preziosità che un essere umano ha semplicemente perché è uomo e non per virtù o ceto sociale.” “La dignità – ha continuato la Di Pietro – in tal senso, inerisce all’uomo per natura. La dignità non è quindi un diritto ma il fondamento dei diritti inalienabili dell’essere umano.” Per quanto riguarda il concetto di accanimento terapeutico, la presidente nazionale dell’Associazione scienza & vita, ha sostanzialmente affermato che “tra i criteri che vengono utilizzati per valutare se una terapia è o meno proporzionata, vi sono: il tipo di terapia; la proporzione tra mezzo e fine perseguito; il grado di difficoltà e il rischio; la possibilità di applicazione; le condizioni generali del malato (fisiche, psichiche, morali). Qualora un intervento si configurasse come un accanimento terapeutico è doveroso sospenderlo, mentre si continueranno le cure normali, la palliazione del dolore, l’alimentazione e l’idratazione. Da ciò si evince che non è possibile stabilire una regola valida per tutti i casi clinici, senza conoscere le condizioni del paziente e il suo decorso clinico. Che si tratti o meno di accanimento terapeutico va valutato caso per caso, anche nell’ipotesi in cui i pazienti in esame fossero affetti dalla stessa patologia. Vi è, allora, il timore che un’indicazione generica e non contestualizzata apra la strada a forme non di evitamento dell’accanimento terapeutico bensì di sostegno ad azioni eutanasiche di tipo omissivo”.
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sabato, maggio 09, 2009

In Lombardia ecomafie al lavoro per Expo 2015

E' quanto emerge dal rapporto di Legambiente e dal lavoro d'inchiesta di Rainews24

Liberainformazione.org - Che la Lombardia fosse al centro di numerosi traffici di rifiuti e di interessi economici collegati al cosiddetto ciclo del cemento non è una più novità, purtroppo. Sono anni ormai che Legambiente denuncia la presenza di un forte interesse di aziende ed imprese della regione, motore economico e finanziario del nostro Paese, a dotarsi di rapidi e poco costosi sistemi di smaltimento. E che dire poi della naturale vocazione di alcune cosche ad inserirsi negli appalti pubblici in una regione che si prepara al prossimo Expo 2015?

Risuonano, infatti, ancora drammaticamente attuali le parole pronunciate da Manlio Minale, procuratore capo della Repubblica a Milano, all’apertura dell’ultimo anno giudiziario: “Risulta confermato l’interesse delle mafie tradizionali, e in particolare della ‘ndrangheta, per gli appalti pubblici, specialmente nei comuni dell’area milanese”. Un allarme confermato, sempre in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, dal presidente della Corte di Appello di Brescia, che registra l’aumento esponenziale dei procedimenti in materia di tutela dell’ambiente e del territorio, passati solo nell’ultimo anno da 475 a 2.477.

Nella classifica complessiva dell’illegalità ambientale, la Lombardia si trova al decimo posto con ben 886 infrazioni accertate nel 2008, oltre 300 sequestri effettuati e 866 persone denunciate. La regione non si trova in una posizione di vertice e non è neppure la prima regione del Nord – al primo posto c’è infatti la Liguria – ma, in questo caso, i numeri non rendono ragione della grande preoccupazione che deriva dallo spessore criminale documentato dalle diverse inchieste sui traffici di rifiuti e dall’avvicinarsi di un evento di portata mondiale quale l’Expo, foriero di inevitabili appetiti mafiosi.

Anche l’ultima edizione del Rapporto Ecomafie, presentata qualche giorno fa a Roma, conferma le grandi opportunità offerte dalla Lombardia ai trafficanti di rifiuti tossici e agli organizzatori dello smaltimento di “monnezza” di ogni tipo nelle discariche abusive disseminate qua e là sul territorio regionale. Nella speciale classifica del “ciclo dei rifiuti” stilata da Legambiente, la Lombardia si trova al 12° posto con 144 infrazioni (pari al 3,7% del totale). Nell’ultimo anno sono state 164 le persone arrestate e 3 quelle arrestate, mentre i sequestri ammontano a 57. Un caso emblematico su tutti è quello già documentato in apertura di un brillante reportage televisivo intitolato “Mammasantissima a Milano” e realizzato da Mario Sanna per Rai News 24 qualche mese fa. Stiamo parlando dell’enorme discarica abusiva ricavata su terreni agricoli situati nei comuni di Desio, Seregno, Briosco, comuni alle porte di Milano: oltre 65mila metri quadrati sottoposti a sequestro dagli uomini della Polizia provinciale nel settembre 2008, nell’ambito dell’operazione denominata “Star Wars”, perché individuati essere la sede finale di ben 178 mila metri cubi di rifiuti industriali, stipati fino all’inverosimile in buche larghe cinquanta metri e profonde fino a nove metri. Parole dure quelle riservate a commento della vicenda dal Rapporto di Legambiente: “A Milano la ‘ndrangheta fa oggi quello che i Casalesi fanno da almeno vent’anni in Campania.

Comprano, affittano o estorcono terreni, scavano buche profonde dai cinque ai dieci metri e poi le riempiono con rifiuti tossici. Più sono pericolosi, più rendono. Poi, con la terra ottenuta dagli scavi ci fanno il calcestruzzo, mentre una volta ricolme di veleni su quelle buche ci costruiscono sopra: case, alberghi, centri commerciali, campi da calcio e così via”. Dopo il pesante danno inferto all’ambiente la beffa sarebbe stata ancora più tragica, se si fosse realizzato il perverso disegno criminale. Infatti, i trafficanti di rifiuti in questo caso non contenti del danno ecologico e dell’ingente ricavo già ottenuto, avevano pensato bene di chiudere il cerchio, presentando una denuncia per inquinamento contro ignoti e avviando la procedura di bonifica, finalizzata ad un cambio di destinazione d’uso del terreno, per speculare sul passaggio dello stesso da agricolo a residenziale. I registi delle complesse operazioni di inquinamento e di infiltrazione mafiosa erano uomini della cosca Iamonte di Melito Porto Salvo (RC), tra cui il capo dell’organizzazione, finito in manette, il latitante Fortunato Stillitano. (Leggi qui i dati del Rapporto relativi al ciclo dei rifiuti in Lombardia)

“Rewind” invece è il nome dato all’ultima operazione in ordine di tempo condotta a termine del NOE dei Carabinieri di Milano su mandato della Procura della Repubblica di Varese e avente per oggetto un ramificato traffico di rifiuti . E di un “ritorno” vero e proprio si è trattato, visto che a finire in manette questa volta è stato Mario Chiesa, il personaggio simbolo dell’inchiesta Mani Pulite, la famigerata “mela marcia” – così lo definì l’allora segretario socialista Bettino Craxi, nell’estremo tentativo di circoscrivere il fatto corruttivo ad un singolo episodio e arginare in qualche modo la valanga che da lì a qualche mese avrebbe spazzato via il suo partito – il cui arresto diede il via alla stagione di Tangentopoli prima a Milano e poi nel resto d’Italia. Sparito dai riflettori della cronaca, Chiesa aveva ripreso i suoi affari inserendosi nel business dei rifiuti, grazie ad alcune società del settore direttamente o indirettamente da lui guidate e truccando e pilotando una serie di gare d’appalto. Il calcolo fatto dagli investigatori fa ammontare a ben 2.700 tonnellate il volume dei rifiuti trattati dal sistema criminale: nello specifico si trattava di terre e polveri provenienti dalla pulizia delle strade che, senza essere preventivamente trattate come previsto dalla normativa, venivano poi riqualificate in modo fraudolento dal punto di vista della documentazione e quindi inviate per lo smaltimento a discariche in provincia di Brescia, Cremona e Pavia. Pesanti le ipotesi di reato per i quali si sarebbe raggiunta la prova: corruzione, turbativa di gare d’asta, truffa.

Il rapporto documenta altre operazioni condotte dalle forze dell’ordine in Lombardia – Cerberus, Ecoboss, Monnezza Connection, Iron il cui nome sarebbe di per sé già abbondantemente rivelatore degli interessi in ballo – ma non è il caso di soffermarci ulteriormente, perché spesso riproducono le dinamiche già ricostruite in modo talmente scientifico e organizzato, da far dichiarare al vicepresidente di Legambiente Lombardia, Sergio Cannavò, che “l'ecomafia al nord è meno visibile, ma ugualmente pericolosa e devastante, lo testimonia il dato secondo il quale, da quando esiste il reato di organizzazione di traffico illecito di rifiuti (2002), delle 66 grandi inchieste condotte in Italia ben 22 sono state coordinate da Procure del nord Italia (6 in Lombardia). Inoltre Milano e la Lombardia sono al centro degli appetiti criminali che già si sono manifestati verso i miliardi che l'Expo del 2015 porterà nella nostra regione”.

La centralità della Lombardia nella filiera criminale dei reati ambientali è testimoniata anche da quanto avviene nel “ciclo del cemento”: la classifica vede la Lombardia al decimo posto con 261 infrazioni accertate (il 3,5% del totale), 400 persone denunciate e 26 sequestri effettuati. Gli stessi numeri rapportati su scala regionale dicono che circa il 30% dei reati accertati nel 2008 in materia di ambiente in Lombardia (261 su 886) e quasi la metà delle persone denunciate (400 su 866) hanno a che fare con le grandi opere (la TAV su tutte), gli appalti pubblici, il movimento terra. Nel rapporto si da conto dei 33 anni di tempo e dei 400 chili di esplosivo necessari per abbattere l’ecomostro di San Giuliano Milanese: un residence per i tifosi dei mondiali di calcio del 1990, ma in realtà mai ultimato. Una buona notizia ma è una delle poche, in una puntuale analisi che documenta gli scempi e gli abusi compiuti in Brianza, in Valtellina e sulle rive del Garda. (Leggi qui i dati del Rapporto relativi al ciclo del cemento in Lombardia)

Se è vero quanto ripetutamente sostengono i magistrati della Direzione Nazionale Antimafia che Milano è la nuova capitale della ‘ndrangheta, se è vero che gli interessi economici in gioco sono superiori a quelli collegati alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, non è allarmistico ritenere che i numeri attuali relativi alle infrazioni nel ciclo del cemento sono destinati nei prossimi anni a crescere in maniera corrispondente all’avvio dei lavori collegati alla grande manifestazione mondiale, che avrà il suo acme nel 2015.

Ancora una volta sarebbe protagonista principale una mafia silenziosa, non propensa ad attirare attenzione, perché impegnata a realizzare proventi astronomici, come denuncia il rapporto: “La 'ndrangheta, a Milano, non spara e non ammazza (quasi) più, ma fa affari. Affari enormi e l'Expo potrebbe rivelarsi un affare colossale. Qui ha saldato rapporti con esponenti del mondo bancario, finanziario e istituzionale, insomma la 'ndrangheta, all'ombra della madonnina, non è una visione, è una realtà. È oggi un vero e proprio colosso economico-finanziario, foraggiato dalle attività illecite (che la relazione della Commissione Parlamentare Antimafia del 2007 definisce “attività di accumulazione primaria”).

Una conferma di questa chiave di lettura viene dalla recente operazione “Isola” che ha portato a metà marzo in galera esponenti delle famiglie Nicoscia e Arena di Capo Rizzuto (KR), in guerra tra di loro nel territorio di provenienza ma alleati al nord per gestire società impegnate nella logistica, nell’edilizia e nel movimento terra, soprattutto nei cantieri dell’Alta Velocità e della quarta corsia della A4 Milano – Bergamo, tanto da costituire “un sistema centralizzato per la spartizione degli appalti per il lavoro di movimento terra in cantieri pubblici”.

Guarda qui l'inchiesta di Rainews24

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sabato, maggio 09, 2009

Brasile: il nuovo razzismo e la caccia agli Indios

Il 2009 ha visto una improvvisa recrudescenza del conflitto tra Indios e grandi proprietari terrieri

SalvaLeForeste - Lo rivelano i dati divulgati dalla Commissione Pastorale della Terra: negli ultimi due anni il le vittime dei conflitti per il controllo della terra ammontano a 23. Nella maggior parte dei casi i mandanti sono tuttora a piede libero e in molti casi anche gli esecutori materiali. La Commissione denuncia inoltre la presenza di milizie paramilitari assoldate dai proprietari terrieri, soprattutto nelle aree interne del Pernambuco. Ma anche in molte aree, soprattutto ai confini della foresta, gruppi di pistolero vengono assoldati dai latifondisti per scacciare le comunità indigene e contadine dai loro territori. Recentemente gli studiosi della Facoltà di Diritto dell'università federale del Ceará ha denominato "razzismo ambientale" il nuovo fenomeno. Secondo la loro analisi si tratterebbe di un fenomeno nuovo. L'espansione agricola si scontra con i limiti naturali del paese, e la terra non è più infinita. Il conflitto per la terra riprende con tutte le sue implicazioni, compreso l'assalto alla foresta e le campagne razziste nei confronti degli Indios.

In questo clima prende corpo una nuova campagna di razzismo anti-indigeno. Survival ha recentemente denunciato la presenza su YouTube di un video girato da una setta missionaria fondamentalista statunitense, "Youth with a mission", che ha una sede in Brasile. Il documentario descrive gli Indios brasiliani come dediti a pratiche di infanticidio. I numerosi commenti razzisti al video confermano le intenzioni degli autori del video.

Se le attività di Youth with a mission" sono un caso estremo, la "Legge di Muwaji" proposta dalla potente lobby agraria si muove sugli stessi presupposti: prevedendo l'obbligo di segnalare eventuali pratiche tradizionali potenzialmente "pericolose" lascia intendere che tra gli Indios siano prevalenti pratiche barbariche, e che queste vadano represse.

Una recente sentenza del Tribunale Supremo Federale assicura al governo il diritti di decidere sulla costruzione di basi militari, sullo sfruttamento delle risorse energetiche e delle altre ricchezze del sottosuolo, senza coinvolgere i proprietari tradizionali delle terre. Questo rappresenta un sostanziale passo indietro rispetto al diritto indigeno al controllo sui propri territori, proprio mentre sono in discussione numerosi progetti di sfruttamento intensivo delle aree indigene per l'estrazione mineraria, la costruzione di centrali idroelettriche e attività di disboscamento.

Gilmar Mendes, presidente del Tribunale Supremo Federale (Sft) e vicino all'ex presidente Henrique Cardoso, è proprietario terriero nel Mato Grosso, e ha sempre punito con durezza le recenti manifestazioni di protesta contro la deforestazione indiscriminata, l'utilizzo degli agrotossici e lo sfruttamento del lavoro schiavo nelle zone rurali del paese. Nominato dallo stesso Cardoso alla presidenza del Tribunale nonostante il parere contrario di ben 42 procuratori della repubblica dell'Unione, ha promosso gli interessi della lobby agraria, trattando on i guanti bianchi i responsabili degli omicidi agrari, e usando la mano pesante verso i movimenti contadini brasiliani, in particolare i Sem terra.

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sabato, maggio 09, 2009

Giorno della Memoria per le vittime del terrorismo

Stretta di mano tra le vedove Calabresi e Pinelli

Radio Vaticana - “Mai dimenticare, ma superare il rancore”. Così il presidente della Repubblica Napolitano celebrando questa mattina al Quirinale il Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo. Presenti alla cerimonia Licia Rognini, vedova dell'anarchico Giuseppe Pinelli, e Gemma Capra, vedova del commissario Luigi Calabresi: le due donne si sono strette la mano per la prima volta. In mattinata a Roma Napolitano ha deposto una corona di fiori sulla lapide che ricorda Aldo Moro. Il servizio è di Paolo Ondarza. (ascolta)

A distanza di tanti anni dalla strage di piazza Fontana, compiuta nel 1969 – ha spiegato Napolitano - “non si è riusciti a far scaturire un’esauriente verità giudiziaria”. Il capo dello Stato ha anche definito "indulgenza incomprensibile" quella delle autorità francesi e brasiliane sulla richiesta di estradizione di Cesare Battisti. "Spero che la mia voce sia ascoltata in spirito di amicizia", ha aggiunto. Napolitano che ieri aveva parlato di nuovi segnali positivi per costruire una storia comune, oggi ha assistito alla stretta di mano tra due donne dalle storie dolorose, invitate alla cerimonia: Gemma Capra, vedova del commissario Calabresi, ucciso sotto casa nel 1972, dopo una campagna che gli addossava la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli; e Licia Rognini, vedova di quest’ultimo, morto precipitando da una finestra della questura di Milano, tre giorni dopo la strage di piazza Fontana, per la quale era interrogato. Ma quanto è viva oggi la memoria? Il presidente dell’Associazione Italiana vittime del terrorismo Dante Notaristefano:

R. - Noi, come associazione, abbiamo collaborato, recentemente, ad un filmato presentato al presidente della Repubblica, per dare una scossa al ricordo delle vittime del terrorismo e per contrastare la eccessiva esposizione dei terroristi, quelli che erano, diciamo, i carnefici e che oggi vogliono presentarsi come coloro che avevano, in quel tempo, ragione.


D. – Più che vendetta si chiede verità…


R. – Ci sono ancora dei punti oscuri. Noi stiamo insistendo perché venga eliminato il segreto di Stato su questi fenomeni del terrorismo.

D. – Napolitano ha parlato di segni positivi per giungere a ricostruire una storia comune sul terrorismo…


R. – Noi apprezziamo il presidente Napolitano che ha detto che, coloro che sono stati gli artefici di quei delitti, non devono sentirsi autorizzati, oggi, a salire in cattedra anche se hanno pagato magari con la detenzione. Devono agire con discrezione e misura perché, diceva Napolitano, le responsabilità morali non cessano per il fatto stesso di avere espiato la pena.


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sabato, maggio 09, 2009

Il Papa parla ai giornalisti sul volo per Amman

"La Chiesa è una forza spirituale al servizio della pace"

Pace in Medio Oriente, dialogo interreligioso, presenza dei cristiani in Terra Santa: sono alcuni dei temi affrontati da Benedetto XVI durante la conferenza stampa che si è svolta ieri a bordo dell’aereo papale durante il volo per Amman.

Sono tre le dimensioni attraverso le quali la Chiesa può dare il proprio contributo al difficile processo di pace in Medio Oriente: il Papa le ha indicate ai giornalisti durante il volo aereo che da Roma lo ha portato ad Amman. Prima di tutto la preghiera: una forza attraverso la quale Dio può agire nella storia. Milioni di fedeli oranti – ha detto Benedetto XVI – sono un contributo al processo di pace. "Siamo convinti - ha aggiunto - che la preghiera sia una vera forza: apre il mondo a Dio. Siamo convinti che Dio ascolti e che possa agire nella storia”. Quindi, ha parlato del contributo della Chiesa alla causa della pace:
Il servizio è di Paolo Ondarza (ascolta)

"Certamente cerco di contribuire alla pace non come individuo ma in nome della Chiesa cattolica, della Santa Sede. Noi non siamo un potere politico, ma una forza spirituale e questa forza spirituale è una realtà che può contribuire ai progressi nel processo di pace".

Ebrei e cristiani hanno la stessa radice, ma – ha spiegato Benedetto XVI ai giornalisti – 2000 anni di storia distinta hanno inevitabilmente portato a malintesi: si sono formate tradizioni di pensiero diverse, "cosmi semantici" differenti, tanto che la stessa parola nelle due culture ha oggi diverso significato:

"Dobbiamo fare di tutto per imparare l’uno il linguaggio dell’altro, e mi sembra che facciamo grandi progressi. Oggi abbiamo la possibilità che i giovani, i futuri insegnanti di teologia, possano studiare a Gerusalemme, nell’Università ebraica, e gli ebrei hanno contatti accademici con noi".

Il Papa ha spiegato che è previsto, in questo pellegrinaggio in Terra Santa, un messaggio comune rivolto alle tre religioni che si richiamano ad Abramo, sottolineando l’importanza del dialogo trilaterale tra cristiani, islam ed ebraismo:

"Il dialogo trilaterale deve andare avanti, è importantissimo per la pace e anche – diciamo – per vivere bene ciascuno la propria religione".

Bendetto XVI ha infine rivolto il pensiero ai cristiani in Medio Oriente, incoraggiandoli a non lasciare la Terra Santa, luogo d’origine del cristianesimo, sottolineandone il ruolo fondamentale:

"Sono una componente importante della cultura e della vita di queste regioni. Spero che realmente i cristiani possano trovare il coraggio, l’umiltà, la pazienza di stare in questi Paesi, di offrire il loro contributo per il futuro di questi Paesi".

La presenza cristiana – ha constatato - è di grande importanza anche perché offre alla popolazione assistenza umanitaria, ospedali e formazione. Il Santo Padre, a questo proposito, ha citato l’erigenda Università cattolica in Giordania: luogo in cui giovani, arabi e cristiani, possono incontrarsi e centro di formazione per la promozione della pace.

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sabato, maggio 09, 2009

Pakistan, 143 talebani uccisi nella Valle di Swat

Fuga in massa di civili: 300mila sfollati a causa degli scontri tra esercito ed estremisti islamici.

PeaceReporter - Almeno 143 militanti talebani sono uccisi nella Valle di Swat nelle ultime 24 ore, secondo quanto hanno detto fonti militari pachistane. Inoltre, secondo quanto ha denunciato l'Onu, 500 mila persone sono in fuga dagli scontri tra l'esercito e i talebani. "Le autorità locali stimano che 200 mila persone sono già giunte nelle zone più sicure della North West Frontier Province negli ultimi giorni", ha detto il portavoce dell'organizzazione, Ron Redmond. I nuovi sfollati si sommano ai circa 550 mila già fuggiti dallo scorso agosto. Secondo quanto ha denunciato Redmon, "altre 300 mila persone sono in movimento o in procinto di partire".
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sabato, maggio 09, 2009

Discriminazione omicida

In Guatemala, una donna al giorno viene assassinata. Storie e opinioni su un fenomeno gravissimo strettamente legato a una società misogina e mafiosa.

PeaceReporter - Più di 4300 donne sono state assassinate in Guatemala negli ultimi 8 anni, con un aumento nel periodo 2002-2008 del 457%. Sono questi i termini della denuncia delle associazioni di donne guatemalteche, riunite a Città del Guatemala nella Plataforma de Mujeres Artistas seguendo lo slogan "Non più femminicidi". Con l'occasione, è stato segnalato che l'organismo giudiziario ha ricevuto nel 2008 un totale di 39.400 denuncie di violenza familiare, nel 90-95 percento dei quali erano coinvolte delle donne. Una situazione allarmante, aggravata dal fatto che nel paese centroamericano "il sistema della giustizia non porta in giudizio né castiga i colpevoli. L'impunità negli omicidi delle donne è quasi assoluta, nel 98 percento dei casi non si ha giustizia penale", spiegano in un documento appena stilato.
Secondo il Gruppo guatemalteco delle donne (Gmc) fra gli anni 2007 e 2008 1.414 donne sono decedute per morte violenta, le denuncie sono state 1101 e le sentenze solo 185 (121 condanne e 64 assoluzioni). La relatrice della Commissione internazionale contro l'impunità, (Cicig), Susana Villarán, uno degli elementi che favoriscono l'impunità "è la debolezza imperante nelle istituzioni pubbliche incaricate di portare avanti le indagini". Uno dei fatti più preoccupanti, secondo lei, è la chiusura del Ministero apposito responsabile dell'unità delle indagini nei casi di femminicidio e in temi legati ai diritti umani.
Nonostante nel paese sia stata recentemente approvata una legge contro questo crimine e altre forme di violenza contro le donne, le associazioni femminili denunciano "vuoti" enormi, come la scarsa coordinazione tra la Polizia nazionale civile e la Giustizia, o la creazione di un pool che indaghi sui delitti contro la donna o anche l'organizzazione di giornate per informare. Per il Govenro guatemalteco la sicurezza della donna "non è una priorità".

donne guatemaltecheMa che tipo di violenza si scatena contro le donne? "Si tratta di forme di violenza diversificate. Si verificano episodi di vessazioni come violenza carnale, torture ai genitali, squartamenti, tutti da catalogare sotto la voce ‘intimidazione'. C'è comunque sempre crudeltà, ferocia e odio.
"Molte di queste donne sono morte in circostante brutali - spiegano Patricia Masip Garcia e Sandra Pla Hurtado di Amnesty International - Ad accomunare la maggior parte di questi delitti è comunque la violenza sessuale e le mutilazioni trovate sul corpo delle vittime ricordano molto quelle commesse durante la guerra civile". Secondo Amnesty, comunque, la vera dimensione dei femminicidi in Guatemala resta sconosciuta, da qui il dito puntato, ancora un volta, sulle forze dell'ordine e le autorità tutte. La maggioranza di queste donne ammazzate sono casalinghe, studentesse e professioniste. Molte vengono dai settori poveri della società, lavorano sottopagate come donne di servizio, o in negozi o in fabbrica. Alcune sono immigrate in Guatemala dai paesi limitrofi, altre erano membri o ex membri di bande giovanili e coinvolte in giri di prostituzione. La maggioranza sono tra i 13 e i 40 anni. "Al centro della crisi dei diritti umani che affrontano le donne guatemalteche c'è la discriminazione di genere, insita anche nella scarsa risposta delle autorità di fronte a tali crimini - spiega .... - Alcuni funzionari qualificano le vittime come membri di bande o prostitute, facendo trapelare un'attitudine discriminatoria contro di loro e le loro famiglie, che condiziona anche le indagini e la maniera di documentare i casi, includendo persino la decisione se indagare o documentare. E, a quanto dichiarato ufficialmente, nel 40 percento dei casi si archivia punto e basta". Cifra che si trasforma in un 70 percento secondo il Procuratore dei diritti umani del Paese.

donna guatemaltecaLa testimone. La storia di Clara Fabiola è esemplificativa di quello che è il connubio donne-violenza-impunità in Guatemala. Ventisei anni, fu ammazzata il 4 luglio 2005 a colpi di pistola in pieno centro a Chimaltenango, nel sud del paese. Morì poco dopo all'ospedale. Due anni prima, il 7 agosto 2003, Clara Fabiola aveva assistito all'omicidio delle sue due sorelle, Ana Berta ed Elsa Mariela Loarca Hernàndez, di 15 e 18 anni, uccise a Città del Guatemala. Nel febbraio 2005, la sua testimonianza fu chiave per condannare a cento anni di carcere il marero (le maras sono le gang delle zone più malfamate del Centroamerica) Oscar Gabriel Morales Ortiz, alias "El Smol", il quale giurò davanti ai mass media che gliel'avrebbe fatta pagare. Così è stato, ma nessuno mai è stato processato per l'omicidio della testimone scomoda.

L'opinione. "Il Guatemala è intriso di violenza - ci racconta Margriet Poppema, docente all'Università di Amsterdam e ricercatrice sul tema "Educazione e sviluppo in società multiculturali", appena rientrata dal Guatemala - La ferocia è strutturale e fa comodo alla cupola di potere con la quale la stessa politica deve fare i conti, ogni giorno. Anche l'attuale presidente, Colom, che sta smuovendo qualcosa in molti settori del sociale, ha le mani legate davanti a questo. E la questione della misoginia aggrava il quadro. La donna è da sempre l'anello debole in una società impregnata di machismo. E in un paese dove essere violenti è la norma, diventa altrettanto normale abusare, violare, mutilare, uccidere la femmina, che altro non è se non la creatura al servizio del maschio. Quasi fosse una sua proprietà. La cosa più scioccante è che nel paese mai si parla di questo. Non fa notizia, si preferisce ignorare. Tra le donne c'è un casto pudore misto a paura, e l'impunità rende tutto più crudele. È la longa manu del potere parallelo che tutto controlla e manovra, plasmando la società".
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sabato, maggio 09, 2009

La Chiesa vuole contribuire alla pace in Medio Oriente

Ad Amman, prima tappa del suo viaggio in Terra Santa, Benedetto XVI parla di “alleanza tra il mondo occidentale e quello musulmano" e loda il ruolo della Giordania che rispetta la libertà religiosa, favorisce il dialogo e frena l’estremismo.

Amman (AsiaNews) - La preghiera, la formazione delle coscienze e “parlare alla ragione” per aiutare a capire “ciò che serve veramente per la pace”. E’ il contributo che la Chiesa cattolica ha dato e vuole continuare a dare al Medio Oriente travagliato e che Benedetto XVI indica parlando con i giornalisti sull’aereo che lo porta ad Amman, in Giordania, prima tappa del suo primo viaggio da papa in Terra Santa. “Proprio perché non siamo un potere politico – osserva – possiamo aiutare a capire e vedere i criteri, ciò che serve veramente per la pace”. “L’abbiamo fatto in passato, vogliamo farlo in futuro”.

La pace è il primo problema del Medio Oriente e diviene naturalmente centrale nelle domande che vengono poste al Papa. “Noi – dice – non abbiamo potere politico, ma forza spirituale. E questo può servire”. Poi indica tre “strumenti” con i quali la Chiesa può contriibuire alla pace. In quanto credenti, in primo luogo la preghiera, “è una vera forza”, “Dio ascolta” e “può agire nella storia”. In secondo luogo “cerchiamo di contribuire alla formazione delle coscienze, che è la capacità dell’uomo di capire la verità”. E poi “parliamo alla ragione”, per “aiutare a capire i veri criteri”.

Il ragionamento del Papa si allarga al dialogo tra le religioni, “Con gli ebrei abbiamo la stessa radice, gli stessi libri”, ma duemila anni di tradizioni e linguaggio differenti: “Le stesse parole hanno significati diversi”, “nascono ovviamente malintesi”. Bisogna allora “sforzarsi per capire il linguaggio dell’altro”. Questo aiuterà alla comprensione, anzi “all’amore reciproco”. E’ un ragionamento che vale anche per l’islam. Anzi Benedetto XVI ricorda di essere stato cofondatore di una fondazione per il dialgo a tre voci, che promosse anche la pubblicazione dei tre libri sacri.

Di “alleanza di civillà tra il mondo occidentale e quello musulmano”, oltre che di pace, libertà religiosa e dialogo parla anche al suo arrivo nella capitale giordana, accolto da re Abdullah II e dalla regina Rania, quando loda l’atteggiamento del Paese - islamico - che permette ai cattolici di edificare luoghi di culto. “La libertà religiosa - commenta - è certamente un diritto umano fondamentale ed è mia fervida speranza e preghiera che il rispetto per i diritti inalienabili e la dignità di ogni uomo e di ogni donna giunga ad essere sempre più affermato e difeso, non solo nel Madio Oriente, ma in ogni parte del mondo”.

Il Papa loda la Giordania, il suo ruolo politico per la pace, il rispetto per la libertà religiosa e anche “nel promuovere una migliore comprensione delle virtù proclamate dall’islam”. Il luogo stesso in cui parla, in certo modo gli dà ragione. L’aeroporto "Queen Alia", dove è atterrato l’aereo papale, è lo stesso ove, il 20 marzo 2000, Papa Giovanni Paolo II ricevette il benvenuto da parte dell’attuale re. Lo stesso era accaduto il 4 gennaio 1964 con Papa Paolo VI. Allora regnava re Hussein, padre dell’attuale Abdullah II. Il re scomparso viene ricordato da Benedetto XVI – accolto da un lunghissimo applauso - per formulare l’augurio che “il suo impegno per la soluzione dei conflitti della regione” possa “promuovere una pace durevole e una vera giustizia per tutti coloro che vivono nel Medio Oriente”. Re Hussein stette più volte in Vaticano, una delegazione della Santa Sede ha preso parte, l’8 febbraio 1999, ai solenni funerali del monarca e l’attuale re ha partecipato alle esequie di Giovanni Paolo II (8 aprile 2005), accompagnato dalla regina Rania. "Rendo omaggio - ha detto in quell’occasione - al grande contributo di Sua Santità nella diffusione della tolleranza, del dialogo e dei diritti umani nel mondo, e all'avvicinamento dei seguaci di diverse religioni".

“Il regno di Giordania – dice oggi Benedetto XVI – è da tempo in prima linea nelle iniziative volte a promuovere la pace in Medio Oriente e nel mondo, incoraggiando il dialogo interreligioso, sostenendo gli sforzi per trovare una giusta soluzione al conflitto israeliano-palestinese, accogliendo i rifugiati dal vicino Iraq e cercando di tenere a freno l’estremismo”. Anche qui il riferimento non è casuale: questa è la patria del principe Ghazi bin Muhammad bin Talal, consigliere del re e promotore della Lettera intitolata “Una parola comune tra noi e voi” e detta dei 138, dal numero dei “saggi” musulmani che l’hanno firmata. “La nostra condizione umana, semplice e condivisa – dice il re – ci lega alla interdipendenza. Ma le radici della comprensione, per noi credenti nell’Unico Dio, sono ancora più profonde. Risiedono infatti nel comandamento espresso nelle Sacre scritture di musulmani, cristiani ed ebrei: ama Dio e il prossimo tuo. Sono principi fondamentali e nscindibili”.

E’ un buon inizio per un dialogo che, in questi giorni, il Papa cercherà di portare avanti.
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sabato, maggio 09, 2009

Pyongyang: esecuzioni capitali per “cattiva amministrazione”

Un comandante dell’esercito ucciso per aver sottratto 1,8 milioni di dollari a un uomo d’affari cinese, vicino alla famiglia di Kim Jong-il. L’esecuzione è avvenuta davanti a 170mila persone. Due funzionari ministeriali uccisi per aver eseguito un comando – sbagliato – del “Caro leader”.

Pyongyang (AsiaNews/Agenzie) – Pyongyang ha giustiziato tre uomini, colpevoli di errata gestione dei fondi e cattiva amministrazione. Lo riporta una organizzazione per i diritti umani in Corea del Nord (NKnet) nel magazine NK In&Out, che riferisce di due diversi casi avvenuti a febbraio e marzo di quest’anno. Oh Kum Chol, capo di un reparto speciale dell’esercito nord-coreano nella guarnigione di Haeju, è stato ucciso nel marzo scorso davanti a circa 170mila persone. L’uomo, responsabile del Comando per la sicurezza interna, è stato condannato a morte ufficialmente per “adulterio”. Fonti locali riferiscono però che il vero capo di accusa a carico di Oh è appropriazione indebita. Egli avrebbe sottratto circa 1,8 milioni di dollari appartenenti a uno dei figli di Chang Wool Hwa, uomo d’affari cinese che ha aiutato Kim Il-sung – padre di Kim Jong-il e Padre della patria – nella guerra contro la Corea del sud. Chang è ricordato come “un simbolo della cooperazione sino-nordcoreana” e i figli sono figure di primo piano nei rapporti commerciali fra i due Paesi.

Il secondo episodio è avvenuto a febbraio: due funzionari del Ministero dell’industria elettrica sono stati giustiziati per aver “interrotto le forniture di energia” all’acciaieria Sunjin a Kimchaek, nella provincia di North Hamkyung. La fabbrica è uno dei punti di forza nel commercio fra Cina e Corea del Nord. Le fonti locali riferiscono che è stato Kim Jong-il in persona a deviare il rifornimento di elettricità dall’acciaieria alla capitale, a corto di energia. La mancata fornitura energetica ha però causato un danno enorme alla fabbrica, costretta a interrompere la produzione. La condanna è stata eseguita il 20 febbraio.

Dopo un bando di oltre sette anni a causa delle pressioni internazionali, nel 2007 la Corea del Nord ha ripreso le esecuzione pubbliche; fra i primi giustiziati il direttore di una fabbrica, ammazzato perché “ha telefonato all’estero”. In Corea del Nord la pena di morte è sancita dalla dittatura comunista al potere ed è applicata per diversi reati. Pyongyang afferma di “non aver mai violato i diritti umani”, ma nelle carceri del Paese vivono in condizioni disumane circa 150mila detenuti.
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sabato, maggio 09, 2009

Alla ricerca del volto

del nostro redattore Carlo Mafera

“Abbiamo notizie di Dio ogni volta che incontriamo una persona che ama” così ha esordito Luigi Accattoli durante la conferenza tenutasi alla sala a vetri della parrocchia di San Frumenzio, mercoledì 4 febbraio scorso, parafrasando le parole di Benedetto XVI nella sua enciclica “Deus Caritas est”. Il tema della conferenza era “Fatti di Vangelo, notizie di Dio. Il volto di Gesù riflesso dai media e incontrato tra la gente” nell’ambito della settimana formativa intitolata “Alla ricerca del Volto. Fascino e mistero di Gesù oggi”. Luigi Accattoli, decano dei vaticanisti e collaboratore del Corriere della Sera nonché della rivista “Il Regno” ha indicato nel suo intervento che le manifestazioni di Dio che passano nei media sono i vari tipi di amore: l’amore coniugale, quello per i figli, per i bisognosi, l’amore per i nemici. In particolare ha messo in evidenza come certi tipi di solidarietà trovino più spazio nei media come i donatori di midollo spinale o l’accoglienza che ora si da ai bambini menomati, sieropositivi, focomelici per i quali in passato c’era molto meno attenzione se non addirittura c’era una vera e propria censura, tenendoli nel nascondimento. Un’altra notizia che attrae l’attenzione della gente è la manifestazione pubblica del perdono. Si sono verificati molti casi di familiari che hanno perdonato davanti ai mass-media gli uccisori del loro parente suscitando l’interesse popolare (vedi il caso di Carlo Castagna). In precedenza questo tipo di manifestazione non si verificava quasi mai.
Luigi Accattoli ha continuato nella sua esposizione facendo presente che i giornali fanno fatica a vedere Dio nell’ordinarietà e desiderano sottolineare solo quelle notizie dove ci sia per esempio conflittualità tra la Chiesa e il mondo della politica. Anche in quest’ultimo caso Accattoli, da grande esperto del settore, ha detto che il suo consiglio nei confronti degli alti prelati è stato sempre di intervenire quando fosse strettamente necessario e cioè statisticamente una volta su tre poiché gli interventi quasi sempre erano fraintesi e manipolati. Egli ha poi raccontato due episodi molto significativi a proposito della resistenza dei quotidiani a pubblicare cose inerenti la religiosità. Ad esempio per il caso della scoperta del “dossier Moro” Accattoli ha confidato all’assemblea dei convenuti che Moro scrisse molte più lettere di quante gli vennero attribuite, durante la sua prigionia e che nell’appartamento di via Monte Nevoso a Milano vennero scoperte altre sue missive nell’intercapedine di un termosifone. Egli fu accreditato insieme ad altri 15 giornalisti per leggere in loco queste lettere che il grande statista scrisse poco prima di morire. Erano tutti scritti che parlavano della sua fede in Dio e nessuna di queste fu pubblicata. Ciò la dice lunga sull’atteggiamento che hanno i mass-media nei confronti di questo argomento. Solo quelle che le Brigate Rosse facevano passare furono pubblicate ed erano quelle che servivano ai loro scopi politici e suscitavano l’interesse dell’opinione pubblica.
Poi ci sono esigenze ancora più commerciali inerenti agli spazi pubblicitari che dimostrano quanto la logica del profitto domina sempre il mondo. Accattoli ha raccontato di voler scrivere un pezzo sulla morte di monsignor Tonino Bello e gli fu impedito perché lo spazio che avrebbe sottratto alla pubblicità non avrebbe avuto lo stesso ritorno economico con l’articolo!!!! Così il vaticanista Accattoli ha toccato anche il caso del giudice Livatino, per il quale c’è la causa di beatificazione, raccontando che venne rinvenuta la sua agenda. In questa c’erano scritte tante preghiere, le dichiarazioni circa la sua certezza che l’avrebbero ucciso. Nonostante questa certezza egli si fece assegnare il processo perché era il solo celibe e lasciò la sua fidanzata per non farla diventare vedova, lei che già era orfana a causa della mafia. E tutto ciò, il suo giornale non glielo permise di scrivere perché “ai giornali non interessava che Levatino fosse un cristiano vero” .

Avrei voluto intervenire nel dibattito ma non l’ho fatto. Avrei voluto dire che tutto ciò mi ricordava la figura del grande Giorgio La Pira, del quale feci la tesi di laurea in Scienze Politiche. In particolare nell’episodio quando egli, padre costituente, tentò di far intitolare la Costituzione Italiana a Dio. Immediatamente si sollevò nell’aula di Montecitorio un’ondata di disapprovazione. A questo punto La Pira si lasciò cadere nello scranno e disse “”. Se ciò deve spaccare l’assemblea ritiro la proposta ma io ho compiuto il gesto che dovevo compiere” e a questo punto l’assemblea esplose in un grande applauso. Ecco, credo che per il cristiano ci sia il dovere della testimonianza ed è quella che, ha affermato concludendo Luigi Accattoli, raggiunge più profondamente il lettore dei giornali. Le catechesi e le encicliche sono più superficiali, direi sono solo parole che incidono poco nella coscienza collettiva.
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venerdì, maggio 08, 2009

Emissioni zero: l'edificio che verrà

Il futuro dell'edilizia è ad emissioni zero, almeno secondo le norme che si stanno introducendo in vari paesi. Una sfida stimolante che il mondo delle costruzioni pare pronto a intraprendere. Se ne è parlato a NextBuilding, il convegno d'apertura di GreenBuilding, a Verona.

QualEnergia.it - Stabili costruiti studiando accuratamente il microclima in cui vengono realizzati, senza bisogno di climatizzazione, che sfruttano la circolazione naturale dell’aria per il raffrescamento e la luce solare per illuminare gli interni e che producono almeno tanta energia quanta ne consumano: dovranno essere così gli edifici che si costruiranno se vogliamo raggiungere gli obiettivi che abbiamo di fronte in quanto ad efficienza, uso delle rinnovabili e riduzione delle emissioni.
Questo il messaggio lanciato oggi dal convegno di apertura di GreenBuilding alla Solarexpo di Verona, dal titolo “NextBuilding. Advances in next-generation building technologies & design”.

“Se l’edilizia esistente, un vero e proprio colabrodo dal punto di vista dell’efficienza energetica, è paragonabile ad giacimento energetico nascosto, pari a tutte le risorse italiane di gas naturale, la nuova edilizia – ha spiegato Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club e Presidente di Exalto nell’introdurre l’incontro – è sul punto di spiccare un balzo in avanti verso la sostenibilità, guidata anche da nuove illuminate politiche introdotte a livello di Unione Europea ma anche a livello di singoli governi”.
L’esempio più avanzato è quello inglese: in Gran Bretagna dal 2016 tutti i nuovi edifici residenziali (e dal 2019 quelli commerciali) dovranno essere a emissioni zero. Il 31 marzo scorso la Commissione Industria del Parlamento Europeo ha dato indicazione che dopo il 2019 si prescriva che tutti i nuovi edifici siano “carbon neutral”. Ora altri paesi si apprestano a seguire l’esempio inglese. L’edilizia dunque è a un punto di svolta epocale.

“Occorre ripensare il modo di costruire”, ha spiegato Thomas Herzog, architetto di fama e preside della Facoltà di Architettura di Monaco. E quanto grande sia il fermento creativo e quali le innovazioni tecniche dietro a questo ripensamento, gli architetti intervenuti a NextBuilding l’hanno spiegato ampiamente. Un caso per tutti è Soka Bau, il progetto che Herzog ha illustrato: un complesso (di proprietà del fondo pensione degli edili tedeschi) con una superficie di 70mila metri quadri nel Wisenbaden che consuma circa 80 kWh a metro quadro, mentre la media nazionale è di circa tre volte più elevata. Qui Herzog ha potuto mettere in pratica i principi della sua architettura “ri-pensata”, organicista, flessibile, integrata il più possibile con l’ambiente che la ospita. Innumerevoli le innovazioni messe in campo: dal sistema di ventilazione naturale a quello di illuminazione che con un sistema di specchi sfrutta la luce del sole, fino alla sperimentazione di un tipo di vetro che diventa schermante con l’aumentare della temperatura, mentre lascia passare la luce quando è freddo.

La nuova architettura che punta a realizzare edifici sempre più efficienti dal punto di vista energetico è oggi settore che coinvolge moltissimi campi della ricerca e i suoi benefici non si fermano certo alla riduzione delle emissioni: costruire in modo intelligente stimola creatività nuove, valorizza saperi innovativi, fa bene a chi compera le case e a chi le realizza.
L’esempio citato da Silvestrini è quello di Casa Clima, in Alto-Adige. All’inizio questa esperienza si guardava con sospetto per via dei maggiori costi di costruzione, ma in seguito le abitazioni con i requisiti Casa Clima, classificate in tre categorie di efficienza, hanno avuto un notevole riscontro tanto che la domanda si andava concentrando soprattutto nelle due classi più efficienti. “E’ così che oggi nella provincia di Bolzano si è deciso di costruire solo case di classe A e B”, ricorda Silvestrini. Inoltre, va detto che le ditte edili e artigiane altoatesine hanno potuto sviluppare professionalità e prodotti che oggi stanno esportando nel resto d’Italia e in Europa.

Per Federico Butera, professore Politecnico di Milano, si deve puntare ad un modello di edilizia a emissione zero entro il 2019. Come sarà l’edificio a emissioni zero? Cosa dovrà cambiare? “Abbiamo dieci anni per ripensare il modello architettonico e il linguaggio dell’architettura”, ha detto Butera, aggiungendo che si tratta di “un processo che coinvolge gli aspetti culturali, estetici, progettuali e formativi. Ma la grande sfida si gioca sull’innovazione tecnologica”.

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venerdì, maggio 08, 2009

10.mo anniversario della visita di Giovanni Paolo II in Romania

Papa Benedetto XVI ricorda la visita pastore del Santo Padre Giovanni Paolo II in Romania

Radio Vaticana - La memoria della storica visita di Giovanni Paolo II in Romania incoraggi i cristiani “a ricercare vie coraggiose per affrontare insieme con fiducia le grandi sfide dei nostri giorni”: è quanto scrive Benedetto XVI in un messaggio all’arcivescovo metropolita di Bucarest, Ioan Robu, in occasione delle celebrazioni per il decimo anniversario della visita di Papa Wojtyla in terra romena, in corso in questi giorni. Il messaggio è stato consegnato al presule da mons. Dominique Mamberti, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, nominato dal Pontefice suo Rappresentante alle celebrazioni promosse dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa ortodossa e dallo Stato romeno. Benedetto XVI auspica che cattolici ed ortodossi collaborino “alla difesa della vita dell’uomo in ogni sua fase, alla tutela della famiglia, al rispetto del creato, alla promozione del bene comune”. Richiamando le parole di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI auspica inoltre che “quanto prima si possa pervenire alla piena comunione fraterna fra tutti i cristiani tanto in Occidente quanto in Oriente”. Nel messaggio, viene ricordato che la Romania, “per la sua posizione geografica e per la sua lunga storia, per la cultura e la tradizione, conserva come iscritta nelle sue radici una singolare vocazione ecumenica”. Infine, Benedetto XVI rivolge un cordiale saluto “all’amato Patriarca ortodosso” e ai fedeli “di quella nobile Chiesa”. (A.G.)

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venerdì, maggio 08, 2009

Diritti degli immigrati in Italia: preoccupazione di Onu e Chiesa

Perplessità e forti critiche nei confronti del governo italiano sono state espresse anche dall’Onu che teme per la tutela dei rifugiati

Radio Vaticana - Una “nuova fase nel contrasto all'immigrazione clandestinità”. Così il ministro dell’Interno italiano, Roberto Maroni, in merito al respingimento in Libia di 227 immigrati in navigazione verso Lampedusa. Preoccupazione per l’accaduto è stata espressa dalla Conferenza episcopale italiana, che insiste sulla verifica del trattamento dei migranti in Libia. Critiche sono state espresse anche dall’Onu che teme per la tutela dei rifugiati. Ma sentiamo la portavoce italiana dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, Laura Boldrini, intervistata da Stefano Leszczynski (ascolta).

R. – Ci preoccupa perché questa decisione è contraria al principio fondamentale del Diritto internazionale dei rifugiati e della stessa Convenzione di Ginevra del ’51, cioè il principio del non respingimento. Che cosa vuol dire? Vuol dire che persone bisognose di protezione, quindi richiedenti asilo e rifugiati non possono essere rimandati indietro, in Paesi dove la loro vita o la loro libertà sarebbero in pericolo.

D. – In particolare, quali sono le condizioni che aspettano queste persone in Libia?


R. – Purtroppo, quello che succede non è qualcosa di descrivibile, perché queste persone sono sottoposte veramente a dei trattamenti durissimi, tanti vengono rimessi in prigione. Insomma, ci sono dei racconti, di chi poi riesce ad arrivare anche in Italia, di soggiorni terrificanti.


D. – L’Italia ha adottato tutta una serie di politiche restrittive negli ultimi anni. Quanto è imputabile quello che sta succedendo all’Europa?

R. – Risolvere le dispute tra Stati e Unione Europea, decidendo di demandare ad altri, a soggetti terzi, la gestione dell’asilo, a nostro avviso è preoccupante. Però, in questi anni, l’Italia è riuscita ad avere una gestione responsabile di questi flussi. Oggi tutto questo viene spazzato via di fatto e quello che viene riproposto è un modello che non rispetta il principio del non respingimento, che è valido anche nelle acque internazionali, non è ristretto alla sola zona delle acque nazionali.


D. – Come si spiega l’Acnur questo cambiamento di linea politica da parte del governo italiano?


R. – E’ difficile spiegarselo, anche perché una decina di giorni fa, forse due settimane fa, l’Alto Commissario Gutierrez ha incontrato il ministro Maroni, e nel corso di questo incontro Gutierrez ha ricevuto ampie rassicurazioni sul fatto che questo cosiddetto modello Lampedusa, quindi questo sistema di soccorso, accoglienza, informazione, non era minimamente in discussione. Quindi, per noi è stata veramente una brutta sorpresa.


Sempre sul fronte dell’immigrazione il nuovo pacchetto sicurezza del governo prevede il reato di ingresso e soggiorno illegale. Alessandro Guarasci ne ha parlato con padre Gianromano Gnesotto, direttore dell’Ufficio per la pastorale degli immigrati esteri in Italia e dei profughi (ascolta):

R. – Se questo presunto reato di clandestinità non viene in qualche modo modificato, subiremo delle conseguenze notevoli non soltanto per quanto riguarda gli immigrati, ma anche per quanto riguarda i diritti fondamentali quali quelli – appunto – della salute o dell’istruzione. Indubbiamente, nel dibattito politico sembra che questo sia un punto che alcune forze politiche tengono fermo. Forse potrebbe essere in qualche modo trovata una via di mezzo, distinguendo tra coloro che entrano nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, e coloro che – invece – essendo entrati anche regolarmente nel territorio e poi, per molte ragioni, hanno visto il loro permesso non rinnovato e in quanto tali, irregolari – ecco, per questi bisognerebbe avere forse un occhio particolare senza l’applicazione di questa fattispecie di reato.


D. – Altrimenti rischiamo una serie di cittadini “di serie B”, in effetti?


R. – Sì: non soltanto “di serie B”, ma persone che non vengono tutelate e alle quali determinati diritti fondamentali vengono di fatto negati. Quindi, più che cittadini “di serie B”, qui si tratta di una discriminante tra persone e non-persone. Ora, mi pare che il grande snodo culturale che in qualche modo è terremotato, qui in Italia, è appunto quello di guardare all’immigrato primariamente come ad una persona, in quanto tale depositaria di diritti fondamentali che non possono essere assolutamente negati perché togliere i diritti ad alcune persone, in qualche modo impoverisce tutti!

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venerdì, maggio 08, 2009

Amazzonia: mobilitazione indigena contro lo sfruttamento

I nativi del Perù chiedono al governo il rispetto dei diritti umani ed anche una riforma costituzionale per sancire “il carattere inalienabile dei territori indigeni”

Agenzia Misna - “Diamo al governo 48 ore per aprire un tavolo di negoziato; in caso contrario altri fratelli andini si uniranno alla nostra protesta”: è il messaggio rivolto all'esecutivo di Lima da Alberto Pizango, capo dell’Associazione interetnica della selva peruviana (Aidesep), in rappresentanza di migliaia di indigeni di diverse etnie dell’Amazzonia, protagonisti di una massiccia mobilitazione contro due nuove leggi sull'amministrazione delle foreste e delle risorse idriche che, affermano, “viola i diritti fondamentali dei nativi”. Le proteste, cominciate all’inizio di aprile, interessano le regioni di Amazonas e Ucayali dove i movimenti indigeni hanno occupato tre impianti dell’azienda statale Petroperú obbligandoli alla sospensione delle attività e un aeroporto, impedendo anche il transito delle imbarcazioni della compagnia lungo i fiumi della zona; i nativi chiedono al governo anche una riforma costituzionale per sancire “il carattere inalienabile dei territori indigeni”. Le nuove leggi mirano a facilitare le concessioni di sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi situati nella foresta amazzonica e a promuovere la produzione di bio-carburanti all’interno dei territori indigeni. Parlando alla stampa straniera, il coordinatore per l’America Latina dell’organizzazione non governativa ‘Revenue Watch’, Carlos Monge, ha mostrato un documento di Petroperú in cui si legge che già nel 2004 il 15% della porzione del ‘polmone del mondo’ che appartiene al Perù era interessato da concessioni di sfruttamento petrolifero; un dato cresciuto fino al 68% nel 2006 e che quest’anno potrebbe raggiungere il 76%.

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venerdì, maggio 08, 2009

Darfur: il governo autorizza l'entrata di nuove ONG

Le ong erano state espulse e accusate di agire “contro gli interessi nazionali” e di aver fornito documentazioni e stime alterate riguardo le cifre della crisi umanitaria in atto nella regione

Agenzia Misna - Il governo di Khartoum ha autorizzato l’ingresso di nuove organizzazioni non governative in Darfur, regione teatro di un conflitto dal 2003 e di una grave crisi umanitaria. Lo hanno annunciato in una conferenza stampa congiunta dalla capitale, il sottosegretario generale agli Affari umanitari dell’Onu John Holmes e il commissario sudanese Mohammed Abdel Rahman precisando che le organizzazioni sostituiranno le 13 ong espulse dal governo nel marzo scorso. Al personale umanitario dispiegato in Darfur, hanno precisato i responsabili, sarà affidato il compito di coordinare e monitorare gli aiuti nei campi profughi presenti nella regione. “Ho percepito una disponibilità da parte delle autorità sudanesi che mi ha convinto che le cose, in futuro, potranno sistemarsi per il meglio” ha detto Holmes, che dopo Khartoum proseguirà la sua visita in Darfur e in Sud Sudan. Il governo sudanese aveva espulso le 13 organizzazioni non governative pochi giorni dopo l’emissione, da parte dei giudici della Corte penale internazionale (Cpi), di un mandato di cattura nei confronti del presidente Omar Hassan al Beshir per presunti crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Darfur. Le ong erano state accusate di agire “contro gli interessi nazionali” e di aver fornito documentazioni e stime alterate riguardo le cifre della crisi umanitaria in atto nella regione. Sempre oggi, i quotidiani sudanesi riferiscono la notizia di un rimpasto di governo voluto dal presidente Beshir che ha rimosso dal suo ruolo Ahmed Mohammed Haroun, ministro per gli Affari umanitari contro cui la Cpi ha emesso un altro mandato di cattura. Harun, secondo il quotidiano ‘Sudan Tribune’ diventa governatore dello stato del Sud Kordofan.

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