Nel Belpaese ci sono 160 robot ogni diecimila lavoratori. Il numero dei posti vacanti in ICT arriverà a centotrentacinquemila nel 2020.
di Paolo Antonio Magrì
Nonostante la vera rivoluzione nel campo delle tecnologia per la produzione industriale e dei servizi (quella che gli esperti chiamano 4.0) non sia ancora compiutamente attuata si intravedono già all’orizzonte gli scenari del mondo 5.0, cioè quello dove robot e lavoratori "umani" dovranno essere pienamente integrati. "L'Industria 5.0 può essere intesa come paradigma evolutivo verso la piena integrazione tra uomo e tecnologia, in uno scenario in cui non vi sarà più la distinzione tra mondo virtuale e fisico, dato che uomo e macchine lavoreranno insieme", dicono Adp e The European House - Ambrosetti in una ricerca presentata in occasione dei 50 anni della multinazionale delle risorse umane in Italia.
Ad oggi l'Italia è tra i Paesi che utilizzano maggiormente tecnologie automatizzate nell'industria: si contano in media 160 robot industriali ogni 10.000 dipendenti nell'industria manifatturiera rispetto ai 150 della Spagna e ai 127 della Francia. Secondo il rapporto, in Italia il numero di posti vacanti in ICT arriverà nel 2020 a 135.000 dai 33.000 del 2015: una crescita del 309% in 5 anni.
All'euforia si accompagna l’amaro rovescio della medaglia: una parte dell’attuale manodopera è potenzialmente a rischio. Si stima infatti che in Italia la percentuale di occupati a rischio automazione sia pari al 14,9%, ovvero 3,2 milioni di persone. Tra i settori maggiormente esposti alla sostituzione uomo-macchina vi sono agricoltura e pesca (25%), commercio (20%) e l'industria manifatturiera (19%). Sarà necessario quindi favorire una profonda cultura di riconversione della manodopera nazionale verso i nuovi posti di lavoro. Secondo le stime saranno tanti le posizioni ICT: si calcola che per ogni nuovo posto legato alla tecnologia, alle life science e alla ricerca scientifica si generino, per effetti diretti, indiretti e indotti, ulteriori 2,1 posti di lavoro.
La parola d’ordine è quindi: rimboccarsi le maniche e riconvertirsi.
Paolo Antonio Magrì
Ama le sfide e beve adrenalina a colazione.
www.paoloantoniomagri.com
di Paolo Antonio Magrì Nonostante la vera rivoluzione nel campo delle tecnologia per la produzione industriale e dei servizi (quella che gli esperti chiamano 4.0) non sia ancora compiutamente attuata si intravedono già all’orizzonte gli scenari del mondo 5.0, cioè quello dove robot e lavoratori "umani" dovranno essere pienamente integrati. "L'Industria 5.0 può essere intesa come paradigma evolutivo verso la piena integrazione tra uomo e tecnologia, in uno scenario in cui non vi sarà più la distinzione tra mondo virtuale e fisico, dato che uomo e macchine lavoreranno insieme", dicono Adp e The European House - Ambrosetti in una ricerca presentata in occasione dei 50 anni della multinazionale delle risorse umane in Italia.
Ad oggi l'Italia è tra i Paesi che utilizzano maggiormente tecnologie automatizzate nell'industria: si contano in media 160 robot industriali ogni 10.000 dipendenti nell'industria manifatturiera rispetto ai 150 della Spagna e ai 127 della Francia. Secondo il rapporto, in Italia il numero di posti vacanti in ICT arriverà nel 2020 a 135.000 dai 33.000 del 2015: una crescita del 309% in 5 anni.
All'euforia si accompagna l’amaro rovescio della medaglia: una parte dell’attuale manodopera è potenzialmente a rischio. Si stima infatti che in Italia la percentuale di occupati a rischio automazione sia pari al 14,9%, ovvero 3,2 milioni di persone. Tra i settori maggiormente esposti alla sostituzione uomo-macchina vi sono agricoltura e pesca (25%), commercio (20%) e l'industria manifatturiera (19%). Sarà necessario quindi favorire una profonda cultura di riconversione della manodopera nazionale verso i nuovi posti di lavoro. Secondo le stime saranno tanti le posizioni ICT: si calcola che per ogni nuovo posto legato alla tecnologia, alle life science e alla ricerca scientifica si generino, per effetti diretti, indiretti e indotti, ulteriori 2,1 posti di lavoro.
La parola d’ordine è quindi: rimboccarsi le maniche e riconvertirsi.
Paolo Antonio Magrì
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