martedì, gennaio 24, 2017
Contro la Tpp anche un vasto fronte progressista, gli ambientalisti, Hillary Clinton e Bernie Sanders 

GreenReport - Il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump ha firmato tre ordini esecutivi, compreso quello che, come promesso in campagna elettorale, ritira gli Usa dalla Trans–Pacific Partnership (Tpp), l’accordo commerciale Trans-Pacifico con 11 Paesi asiatici. Trump ha annunciato anche la volontà di rivedere il North American free trade agreement (Nafta), il trattato che dal 1994 ha istituito una zona di libero scambio tra gli Usa, il Canada e il Messico, inviso alla sinistra messicana. Il movimento Stop Ttip (Transatlantic trade and investment partnership) italiano, che ha appena partecipato alla catena di manifestazioni europee contro il Comprehensive economic and trade agreement (Ceta) do italiano ricorda che "Si tratta tuttavia di una formalità visto che il Tpp non era stato ancora ratificato al Senato. Aspettiamo gli sviluppi rispetto al Ttip rispetto al quale, invece, ancora non ci sono atti ufficiali da parte dell’amministrazione Usa. Il timore è che Trump voglia tenere sulla corda i negoziatori europei spuntando condizioni ancora più favorevoli per gli Stati Uniti". Infatti, la decisione di Trump di non ratificare il Tpp e la sua ostilità verso il Ttip con l’Unione europea erano condivise dai due maggiori candidati alle primarie democratiche, Hillary Clinton e Bernie Sanders, e la decisione di Barack Obama di promuovere Tpp e Ttip erano state duramente contestate in piazza da un esteso movimento progressista al quale partecipano attivamente anche le associazioni ambientaliste.

A difendere Tpp e Ttip c’erano rimasti solo Barack Obama, la Commissione europea, Matteo Renzi e i governi autoritari dell’Asia che avevano sottoscritto il Tpp. Dal Ttip si erano già sfilate Francia e Germania. Quindi, il no definitivo di Trump alla Tpp rende palese una strana alleanza – mai cementatasi in qualche piazza o manifestazione – tra la neo-destra isolazionista statunitense arrivata alla Casa Bianca e il movimento progressista che si batte contro una globalizzazione capitalista senza freni e regole. Ma Michael Brune, direttore esecutivo di Sierra Club, la più grande e diffusa associazione ambientalista Usa, fa notare che: «Naturalmente il presidente Trump sta prendendosi il merito del ritiro dalla defunta Tpp, ma la verità è che l’accordo era stato demolita per anni da una vasta coalizione di organizzazione e da milioni di americani che hanno respinto gli affari delle multinazionali e hanno combattuto contro le loro minacce per le nostre famiglie e il nostro clima.

 “La vera domanda è: cosa viene dopo? La politica commerciale di Trump, comprenderà una qualche rinegoziazione del Nafta, a beneficio della classe miliardario o delle persone che lavorano, di comunità sane, dell’aria e dell’acqua pulita e di un clima più stabile? Trump interromperà tutti i negoziati in corso su accordi commerciali delle corporations? Dato che Trump sta lavorando per impilare suo gabinetto pieno di sostenitori miliardari degli accordi commerciali sullo status quo, che credono che il cambiamento climatico sia una bufala, c’è più di un motivo per essere più che scettici. L’era del corporate trade sta finendo, e spetta a noi creare un nuovo approccio al commercio che sostenga, piuttosto che minare, l’azione sul cambiamento climatico, i diritti dei lavoratori e la salute delle comunità. Sierra Club continuerà a lavorare con i suoi partner e mobilitare la nostra base per far avanzare una nuova visione della politica commerciale, in grado di proteggere le persone e il pianeta».

Quanto all’annuncio di revisione del Nafta, il presidente del Messico Enrique Peña Nieto ha detto che intende «ridefinire» le relazioni tra il suo Paese e il nuovo presidente Usa, che dovrebbe incontrare il 31 gennaio, assicurando che la sua politica sarà «né scontro, né sottomissione». Oltre al Nafta, Trump e Peña Nieto dovranno anche palare del muro alla frontiera messicana che Trump vorrebbe costruire (o meglio, far costruire al Messico) per fermare i migranti che vogliono entrare negli Usa. Peña Nieto ha detto che l’obiettivo principale dei suoi negoziati con Trump è quello della «preservazione del libero scambio» tra Messico, Usa e Canada e che gli scambi tra i tre Paesi «devono essere esenti da diritti doganali o da tasse sull’importazione, come è successo dopo il 2008». Riguardo al progetto del muro anti-immigrati, il presidente messicano pensa che «Le nostre frontiere devono essere in luogo perfetto di coesistenza, uno spazio di sviluppo condiviso, prospero e sicuro».

Ma sarà difficile che Trump, mentre annuncia l’espulsione verso il Messico e l’America centrale di 11 milioni di immigrati clandestini, torni indietro rispetto al suo isolazionismo, per questo Peña Nieto ha annunciato che intende diversificare i suoi legami economici e politici con il resto del mondo e che comincerà a guardare verso sud, in particolare in Argentina e Brasile, le più grandi economie dell’America meridionale. Il Messico, dopo la non proprio esaltante esperienza neoliberista del Nafta, che ha portato un esteso sfruttamento di manodopera, inquinamento, crescita della criminalità e non ha migliorato molto le condizioni di vita della popolazione (facendone invece arricchire molto una minima parte) sembra tornare a ricordarsi di essere un Paese latinoamericano.

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