L’Unhcr copre buona parte dei costi dei principali trattamenti, ma l’alto flusso di profughi rende impossibile fornire medicinali per tumori o malattie gravi. E nel Paese dei Cedri i prezzi sono proibitivi.
di Davide Lemmi
NenaNews - (Beirut) Il garage di Nabil è un buco senza finestre. Una tavola di compensato divide il salotto dalla cucina, mentre tre materassi appoggiati ai lati della stanza, insieme alle coperte per la notte, sono l’unico modo per proteggersi dal freddo e dall’umido che inevitabilmente entra dalle pesanti porte di ferro.
“Ho studiato biologia all’università di Damasco”, Fatima, una delle due mogli di Nabil, ci parla in inglese.
“Siamo scappati quando le bombe hanno cominciato ad avvicinarsi al nostro villaggio, era troppo per Mohamed: troppo stress, troppo alto il rischio di una ricaduta”.
Mohamed, 11 anni, soffre di leucemia. Gli occhi della madre si riempiono di orgoglio quando ci mostra i risultati scolastici del figlio: “E’ stato premiato per aver conseguito i risultati migliori in tutta la scuola e ha ricevuto anche il diploma”.
Il cellulare con l’immagine sgranata del bambino sorridente durante il giorno di consegna degli attestati fa il giro della stanza.
“Mohamed ha completato i cicli di chemioterapia in Siria, prima della fuga – Fatima ci mostra i fogli delle analisi più recenti – Il medico ci consigliò di fuggire, per quanto la terapia avesse funzionato, lo stress avrebbe potuto causare una ricaduta”.
I trattamenti sanitari per i profughi siriani in Libano sono finanziati dall’UNHCR. L’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite garantisce, a seconda dei casi, il pagamento di una percentuale sul costo di operazioni, ospedalizzazioni e altri trattamenti che va dal 75% al 100%.
Il cancro e le analisi connesse non sono contemplate nella lista dell’UNHCR. I costi della sanità in Libano sono proibitivi per i siriani, l’aiuto delle Nazioni Unite è quindi vitale.
“Mohamed ogni mese deve sottoporsi ad analisi per tenere sotto controllo la situazione – Fatima ci illustra le spese da affrontare – Un singolo parere medico può arrivare a costare 60 dollari, un esame per la talassemia fino a 130 dollari, più ovviamente tutti i medicinali”.
La scelta è spesso tra mangiare e pagare le cure mediche, Nabil è l’unico a lavorare e il suo stipendio da “schiavo” non è in grado di sopperire alle necessità della famiglia.
L’UNHCR ha deciso di porre un tetto oltre il quale non può erogare i servizi sanitari ai rifugiati. La decisione è il compromesso tra l’immensa mole di profughi presenti in Libano e la cinica necessità di aiutare coloro per cui le cure avranno un risultato più certo.
“Che vita è questa, costretti a scegliere se dare da mangiare alla famiglia o sottoporre un figlio a cure mediche?”, gli occhi di Fatima cambiano espressione. L’orgoglio e il sorriso, che ci hanno dato il benvenuto nel garage, lasciano spazio a delle lacrime amare di impotenza.
“Ancora oggi Mohamed ha paura, e come lui il fratello minore”, gli spari dei cacciatori nella notte si trasformano nel ricordo della guerra, delle bombe che si avvicinavano al cortile di casa. Undici anni, un garage e la leucemia, Mohamed è stato fortunato: le cure ultimate in Siria sono state fondamentali, forse c’è ancora un futuro. Ma a pochi metri di distanza c’è un altro garage e un altro bambino. Ahmad ha 6 anni ed è nel pieno del ciclo di chemioterapia, senza i finanziamenti dall’UNHCR il prezzo di un trattamento arriva a costare fino a 1400 dollari. Nessun ospedale è disposto a fare credito: il debito resterebbe insoluto.
Il circolo vizioso crea un atteggiamento fatalista nei siriani. I padri e le madri non riescono a sopperire ai bisogni fondamentali dei figli e sul guscio di protezione, chiamato famiglia, si aprono delle crepe sociali. Dopo aver combattuto per fuggire dalla guerra civile, in Libano ci si trascina sulla strada della sopravvivenza.
di Davide Lemmi
NenaNews - (Beirut) Il garage di Nabil è un buco senza finestre. Una tavola di compensato divide il salotto dalla cucina, mentre tre materassi appoggiati ai lati della stanza, insieme alle coperte per la notte, sono l’unico modo per proteggersi dal freddo e dall’umido che inevitabilmente entra dalle pesanti porte di ferro.
“Ho studiato biologia all’università di Damasco”, Fatima, una delle due mogli di Nabil, ci parla in inglese.
“Siamo scappati quando le bombe hanno cominciato ad avvicinarsi al nostro villaggio, era troppo per Mohamed: troppo stress, troppo alto il rischio di una ricaduta”.
Mohamed, 11 anni, soffre di leucemia. Gli occhi della madre si riempiono di orgoglio quando ci mostra i risultati scolastici del figlio: “E’ stato premiato per aver conseguito i risultati migliori in tutta la scuola e ha ricevuto anche il diploma”.
Il cellulare con l’immagine sgranata del bambino sorridente durante il giorno di consegna degli attestati fa il giro della stanza.
“Mohamed ha completato i cicli di chemioterapia in Siria, prima della fuga – Fatima ci mostra i fogli delle analisi più recenti – Il medico ci consigliò di fuggire, per quanto la terapia avesse funzionato, lo stress avrebbe potuto causare una ricaduta”.
I trattamenti sanitari per i profughi siriani in Libano sono finanziati dall’UNHCR. L’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite garantisce, a seconda dei casi, il pagamento di una percentuale sul costo di operazioni, ospedalizzazioni e altri trattamenti che va dal 75% al 100%.
Il cancro e le analisi connesse non sono contemplate nella lista dell’UNHCR. I costi della sanità in Libano sono proibitivi per i siriani, l’aiuto delle Nazioni Unite è quindi vitale.
“Mohamed ogni mese deve sottoporsi ad analisi per tenere sotto controllo la situazione – Fatima ci illustra le spese da affrontare – Un singolo parere medico può arrivare a costare 60 dollari, un esame per la talassemia fino a 130 dollari, più ovviamente tutti i medicinali”.
La scelta è spesso tra mangiare e pagare le cure mediche, Nabil è l’unico a lavorare e il suo stipendio da “schiavo” non è in grado di sopperire alle necessità della famiglia.
L’UNHCR ha deciso di porre un tetto oltre il quale non può erogare i servizi sanitari ai rifugiati. La decisione è il compromesso tra l’immensa mole di profughi presenti in Libano e la cinica necessità di aiutare coloro per cui le cure avranno un risultato più certo.
“Che vita è questa, costretti a scegliere se dare da mangiare alla famiglia o sottoporre un figlio a cure mediche?”, gli occhi di Fatima cambiano espressione. L’orgoglio e il sorriso, che ci hanno dato il benvenuto nel garage, lasciano spazio a delle lacrime amare di impotenza.
“Ancora oggi Mohamed ha paura, e come lui il fratello minore”, gli spari dei cacciatori nella notte si trasformano nel ricordo della guerra, delle bombe che si avvicinavano al cortile di casa. Undici anni, un garage e la leucemia, Mohamed è stato fortunato: le cure ultimate in Siria sono state fondamentali, forse c’è ancora un futuro. Ma a pochi metri di distanza c’è un altro garage e un altro bambino. Ahmad ha 6 anni ed è nel pieno del ciclo di chemioterapia, senza i finanziamenti dall’UNHCR il prezzo di un trattamento arriva a costare fino a 1400 dollari. Nessun ospedale è disposto a fare credito: il debito resterebbe insoluto.
Il circolo vizioso crea un atteggiamento fatalista nei siriani. I padri e le madri non riescono a sopperire ai bisogni fondamentali dei figli e sul guscio di protezione, chiamato famiglia, si aprono delle crepe sociali. Dopo aver combattuto per fuggire dalla guerra civile, in Libano ci si trascina sulla strada della sopravvivenza.
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