giovedì, dicembre 29, 2016
In attesa della sentenza della Consulta del 24 Gennaio, la disputa sulla legge elettorale, e con essa la data di scadenza del governo, va in letargo.

di Lorenzo Carchini

Che la politica italiana, nei periodi di feste, abbia ben poco da offrire, se non il fianco a chi da anni ha deciso di staccarsene, è ormai argomento tedioso e già sentito. Che, però, lasci decidere la data di scadenza di un governo alla Corte Costituzionale deve far riflettere. Dopo un inizio Dicembre di referendum, governo caduto, inchieste e polemiche, dunque, eccolo immancabile: l'ennui natalizio.

E', a suo modo, una sconfitta della politica, che si ritira in buon ordine nella tana del Parlamento in attesa che le stagioni cambino da sole. Che fine hanno fatto i rilanci d'agenzia su Renzi e Pd pronti al Mattarellum? Dov'è finito il Salvini "a Teano" per incontrare il fiorentino? Ebbene, sono avvolti in una coltre di neve, assopiti in un angolo della tavola sparecchiata durante le feste natalizie. Idee e proposte latitano, il piatto piange, il 24 Gennaio - gratis et amore Dei - si avvicina e forse toglierà le castagne dal fuoco.

L'impressione è che in molti a Roma non vogliano accettare il fatto che la politica italiana non è più bipolare, bensì tripolare. Le regole che per quasi un decennio hanno permesso la stagnazione della classe dirigente non valgono più. Certo, l'orchestrina continuerà a suonare, qualcuno potrà perfino ballare, ma la nave affonderà. E' questione di tempo e di legge elettorale.

Arte sopraffina e affascinante nella sua complessità, quella del compromesso. Non è cosa per tutti. Ne sono allergici, ad esempio, i Cinque Stelle, per quello che allo stesso tempo è il loro principale punto di forza e di debolezza strutturale. Ne sono completamente assuefatti nel Pd, al punto da rischiare l'immobilismo nel breve equilibrio della durata di un sondaggio. Ne fa necessità il centrodestra, frammentato ed in preda alle ansie da pesce piccolo del suo Saturno, pronto a finire nella bocca dello squalo francese Vivendì.

Con Mediaset si giocherà il futuro a destra. Se Berlusconi dovesse davvero finire col perdere il suo impero televisivo si chiuderebbe definitivamente la sua epopea. Senza le tv e senza il Milan: qualcosa di impensabile fino a pochi anni fa. Un cavaliere disarmato e disarcionato alla mercé degli avversari, che richiama Roma a vigilare sul proprio interesse, ora che non può più farlo in prima persona.

Siamo chiari, il Mattarellum non è una brutta legge elettorale, soprattutto se paragonata a quello con cui abbiamo votato negli ultimi dieci anni, scoprendo pure che era del tutto incostituzionale. Il suo problema è che propone qualcosa per cui la politica moderna non è più adatta né adattabile: il rapporto col territorio. I collegi uninominali che essa prescrive vanno vinti, mettendoci la faccia, esponendosi, dibattendo. Una possibilità che inorridisce molti, se non i più. In un paese che non mostra più appigli elettorali sicuri, non c'è niente di peggio che una legge di vent'anni fa.

O forse sì: il ballottaggio. Quel fantasma che aleggia nelle stanze di Montecitorio e Palazzo Madama, spinto da Renzi ed ora soffiato da Grillo. Dopotutto questo il Parlamento si aspetta dalla Consulta il 24: che il sistema elaborato dal poco lungimirante ex premier finisca definitivamente nel cassetto. Solo allora la politica tradizionale tirerà un enorme sospiro di sollievo e farà ritorno nelle rispettive sedi ad escogitare una strategia che scongiuri la vittoria dei Cinque Stelle.


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