giovedì, novembre 10, 2016
Il giorno dopo l’elezione del magnate repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti si moltiplicano analisi e commenti sul destino delle fonti rinnovabili in America. Saranno schiacciate da una rinascita fossile o troveranno spazio per continuare a crescere? Ecco qualche considerazione.

Qualenergia - Le reazioni all’esito del voto americano, com’era prevedibile, sono le più diverse e questo vale anche per chi analizza le politiche USA sull’energia e il clima. Quale sarà il futuro delle fonti rinnovabili negli Stati Uniti con Donald Trump presidente? Su QualEnergia.it abbiamo discusso questo tema durante la campagna elettorale (vedi per esempio Hillary vs. Donald, ricette opposte su energia e clima e La Cina critica le idee di Trump sull’energia).

Cerchiamo allora di approfondire il quadro, aiutandoci con i commenti di operatori e associazioni del settore Usa.

Il problema, in sintesi, è capire se la transizione energetica avviata in America sia inarrestabile - perché crea posti di lavoro e fa volare l’economia e quindi sarebbe un suicidio politico provare a contrastarla - o se sia destinata a cedere nuovamente il passo ai combustibili fossili.

In altre parole: quelle di Trump erano solo “sparate” da campagna elettore o il magnate repubblicano crede sul serio che il cambiamento climatico sia un inganno (hoax)?

Quale tipo di economia ha in mente?

Nel suo primo discorso, Trump ha annunciato un programma per rilanciare l’occupazione e costruire grandi infrastrutture. La risposta immediata dei mercati internazionali è stata un rialzo dei titoli della grey economy - minerari e petroliferi soprattutto - e un calo di alcuni titoli di aziende green.

Leggendo le note diffuse dalle organizzazioni delle rinnovabili, l’impressione generale è però di un velato ottimismo. L’American Wind Energy Association (AWEA), ad esempio, si dice pronta a collaborare con Trump «per assicurare che l’energia eolica continui a essere una parte vibrante dell’economia americana».

L’AWEA parla anche di una corsa irrefrenabile verso un’economia più pulita e del supporto bipartisan che gode il comparto eolico. Nessun muro contro muro, quindi, ma il tentativo di vedere il bicchiere mezzo pieno per allontanare le paure per una brusca inversione di rotta.

La corrente del velato ottimismo, inoltre, fa notare che la green economy potrà espandersi a prescindere dalle decisioni che prenderà Trump, grazie alle politiche locali, ai movimenti di cittadini e alle scelte degli imprenditori. Il riferimento è a quegli Stati come la California, che più di tutti sta puntando su generazione distribuita, mobilità elettrica e sistemi di accumulo.

Il futuro degli incentivi

Una delle incertezze per l’industria delle rinnovabili riguarda l’Investment Tax Credit (ITC), lo sgravio fiscale che ha largamente contribuito al boom di eolico e solare negli ultimi anni. Come evidenzia la Solar Energy Industries Association (SEIA) questa misura federale è stata prolungata fino al 2020.

L’estensione dell’ITC decisa nel 2015 è stata una delle vittorie dell’amministrazione Obama nell'ambito della green economy. Secondo la lobby del solare, però, è abbastanza improbabile che il futuro Congresso decida di cambiare le regole del gioco stabilite in precedenza, rischiando così di mettere in difficoltà le aziende che stanno pianificando investimenti, contando proprio sull’incentivo fiscale.

Finanziamenti e nomine

Tra le incognite maggiori, che inducono a essere molto pessimisti, c’è l’entità dei finanziamenti che Trump vorrà destinare alle rinnovabili. Queste ultime, grazie a Obama, hanno ricevuto più risorse per sviluppare progetti innovativi. Pensiamo in particolare alle tante iniziative coordinate dal DOE (Department of Energy), tra cui la SunShot Initiative per sostenere l’industria USA del fotovoltaico e ridurre i costi di installazione.

Durante la campagna presidenziale circolavano indiscrezioni sui probabili candidati di Trump per le poltrone-chiave, non solo del DOE, ma anche dell’Environmental Protection Agency (EPA), che sotto la presidenza Obama ha predisposto un piano per tagliare le emissioni inquinanti delle centrali termoelettriche, il Clean Power Plan.

Il rischio, secondo diversi analisti, è che Trump indicherà personaggi clima-scettici o negazionisti. Tra i nomi più gettonati per l’EPA c’è Myron Ebell, noto per le sue posizioni anti allarmiste sul surriscaldamento globale. Per la poltrona di Segretario per l’energia, invece, sarebbe in prima linea Harold Hamm, un magnate del fracking.

Trump potrebbe così provare a smantellare le misure adottate da Obama per promuovere le rinnovabili e ridurre le emissioni di gas serra. Inoltre, anche senza uscire dagli accordi di Parigi, potrebbe semplicemente ignorare gli obiettivi decisi alla Cop21 e in corso di aggiornamento alla Cop22 di Marrakech.

Posti di lavoro a confronto

Come abbiamo scritto più volte, le idee repubblicane sull’energia sono piene di contraddizioni: appare difficile, ad esempio, conciliare una rinascita del carbone con il potenziamento dei giacimenti di shale gas, perché il declino del carbone è imputabile anche alla crescita esponenziale del fracking, che ha fatto spostare la domanda energetica nazionale più verso il gas.

GTM Research ha ripresentato alcune considerazioni sul mercato del lavoro (vedi grafico sotto). Il succo è che l’economia americana si sta trasformando rapidamente.

Gli occupati dell’industria solare, infatti, hanno sorpassato quelli di due settori tradizionali per eccellenza, l’estrazione di petrolio e gas e le miniere di carbone. Secondo le stime, i solar job potranno raddoppiare da circa 210.000 nel 2015 a 420.000 nel 2020.




Nel suo comunicato post elezione, l’AWEA ha ricordato che l’eolico dà lavoro a circa 88.000 persone e che questi numeri sono destinati a salire nei prossimi anni - al pari della potenza installata negli impianti eolici - a patto di continuare a sostenere la tecnologia a livello federale.

Trump riconoscerà l’importanza di questi e altri settori green per la crescita economica americana a cui tanto dice di tenere?


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