mercoledì, agosto 10, 2016
Dalla Festa dell'Unità di Bosco Albergati (Modena), l'ultimo proclama del premier, intanto il ministro Boschi attacca: "Chi propone di votare ‘no’, non rispetta il lavoro del Parlamento". In serata le precisazioni di rito, ma il clima nel Pd si sta facendo sempre più caldo, mano a mano che il dibattito scade tra battute e provocazioni.

di Lorenzo Carchini

Secondo la giornalista e scrittrice francese Françoise Giroud, "In un referendum, il popolo non risponde mai alla domanda che viene posta. Dà solo la sua adesione o il suo rifiuto a colui che la pone". Parole che al giorno d'oggi potrebbero ben spiegare il clima e lo scadente dibattito creatosi intorno al referendum costituzionale. Una consultazione senza data, con molti (troppi) temi coinvolti, ed un quadro esplicativo delle ragioni del sì e del no, ridotto al lumicino.

A questo punto pare evidente che il referendum sarà un voto su Renzi, non potrà essere altrimenti. A poco serve che ora il premer riconosca l'errore di essersi esposto in prima persona. Tantomeno serve additare come ideatore l'ex presidente Napolitano. L'agitare spaventapasseri come soffi di vento, mentre le nubi scure della crisi immigrati, della Turchia e del terrorismo si propagano sullo sfondo, è uno sport che piace molto a questo governo, ma che, sotto l'ombrellone, lascia scadere il dibattito sulla riforma al ruolo di raffinato contorno fra le "tre cicciottelle" ed i chili di Higuain.

Governabilità, "inciucismo", spartizione dell'eredità ideologica di Berlinguer. La campagna col sorriso di Renzi non è poi molto diversa da quella per le primarie di appena tre anni fa. Slogan, parole chiave, provocazioni e battutine. Lo "smetterla di piangersi addosso" eretto a canto di battaglia, con un esercito di tamburini ai fianchi pronto ad intonarlo.

È tra questi anche il ministro Boschi. Qualsiasi uscita è valida, purché se ne parli, un'accezione quasi warholiana della politica, che poco aggiunge a quanto già si era visto nel ventennio berlusconiano, se non, nei più critici, quel senso di amarezza tipico dell'esserci "ricaduti".

Dopo le nomine Rai, le diatribe sui "veri" partigiani ecc., quanto avvenuto ieri è normale amministrazione. Dalla Festa dell'Unità, divenuta festa dell'Italia che dice Sì, il premier ha lanciato la sostanza dei propri sogni oltre l'ostacolo: "Se il referendum passa, i 500 milioni risparmiati sui costi della politica pensate che bello metterli sul fondo della povertà, e darli ai nostri concittadini che non ce la fanno". Precisiamo, secondo l'Istat in Italia sono più di 4 milioni le persone che versano in condizioni di povertà: il che significa che dei 500 milioni, ad ognuno arriverebbero circa 120 euro in un anno, circa 10 euro al mese.

A fare da eco il ministro delle riforme costituzionali: "Abbiamo scelto di rispettare in toto la procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione per modificarla. Questo ha significato scegliere la strada più dura, un impegno notevole. Ma ora è un elemento di forza anche rispetto a chi propone di votare 'No', buttando via due anni di lavoro e ricominciare daccapo, immaginando che ci sia una maggioranza per una riforma diversa. Ma questo vuol dire non rispettare il lavoro che il Parlamento ha fatto".

Dunque, niente di nuovo sotto il sole. O forse sì. Questo agosto ha, di fatto, certificato il tramonto del sogno plebiscitario del premier. Quello che doveva essere un trionfo della chiarezza, del nuovo sul vecchio, del riformismo sul conservatorismo, sarà un film già visto. Un referendum all'italiana. Nessuna scelta epocale, ma un susseguirsi di distinguo, ambiguità ed incertezze. Sì che suonano come No, No pronti a tramutarsi in Sì, e tutti destinati a scolorire in un grigio Forse.

Svanisce qui, la prima stagione del renzismo, in una lunga resa dei conti tra partiti, correnti, professori, intellettuali, giornalisti, registi, grafomani in genere, in cui ognuno mette del suo, tutto tranne che il merito della questione. L’oggetto della riforma, quasi sconosciuto  a coloro che la dovranno votare.


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