martedì, agosto 30, 2016
Sull'accordo di libero scambio abbondano le incertezze. La Commissione ha smentito le parole di Sigmar Gabriel, vice-cancelliere e ministro dell'Economia tedesco, affermando che le trattative proseguono e che l’esecutivo comunitario è pronto a chiudere l’intesa entro la fine dell’anno. Appare, però, evidente come la politica tedesca possa influenzare l'esito dell'intero negoziato.

Di Lorenzo Carchini

Per il requiem del Trattato transatlantico è ancora presto. A dirlo è la Commissione europea, nella figura della sua portavoce Margaritis Schinas, che annuncia entro la fine di settembre un primo canovaccio di accordo. La smentita alle parole di Gabriel arrivano direttamente da Bruxelles, che si è detta pronta a chiudere entro la fine dell'anno.

Sulla stessa posizione Ignacio Garcia Bercero, negoziatore Ue, così come da Berlino il portavoce del governo Steffen Seibert ha annunciato il prosieguo delle trattative. Ulteriori smentite arrivano anche dagli Stati Uniti, dove Michael Froman, rappresentate Usa per il commercio, sul giornale tedesco Der Spiegel ha detto: "i negoziati stanno effettivamente facendo significativi passi avanti".

Il caso del Ttip sta mostrando tutto il pragmatismo tedesco. Il trattato riscuote pochissimo successo tra la popolazione, inoltre, sui temi maggiormente "sentiti" - la sicurezza alimentare e la "marcatura della provenienza" dei cibi – restano grandi le distanze fra le due sponde dell'Atlantico.

Per comprendere appieno la polemica esplosa in questo inizio di settimana occorre spostarsi in Germania, dove il dibattito politico in previsione delle prossime elezioni del 2017 sta definitivamente deflagrando, con effetti su tutta l'Unione. La popolazione tedesca, infatti, si è ampiamente schierata contro l'accordo: in un sondaggio in maggio, il 70% dei tedeschi ha detto di credere che l’intesa avrebbe comportato svantaggi per il Paese.

Sigmar Gabriel, membro del governo, ma appartenente ai socialisti SPD, tradisce l'intenzione del partito di cavalcare questo movimento d'opinione in una scena politica che, al tramonto della grande alleanza con il CDU della Merkel, è in cerca di nuovi equilibri. I due grandi partiti sono, infatti, in difficoltà e perdono terreno a scapito di compagini più piccole come i Verdi e Alternative für Deutschland, movimento euroscettico attestatosi al 15%. La campagna elettorale tedesca può sconvolgere l'intero assetto dell'Unione?

Pragmatismo politico, ma pure industriale. Sin dagli anni '80, il vero cuore della locomotiva tedesca è stata l'aggressiva politica industriale operata ad Est, in Polonia, Ungheria, Finlandia, Slovacchia e Repubblica Ceca. Dunque, sembra legittimo pensare che la Germania abbia meno interesse di altri paesi verso un'ulteriore apertura con gli Stati Uniti.

La Germania, va detto, non è l'unico paese in cui il Ttip incontri grande scetticismo. È di oggi la notizia che il governo francese abbia intenzione di sospendere, seppur non definitivamente, i negoziati, in modo da "riprendere in seguito su buone basi" e posizioni più equilibrate.

Quello che sta avvenendo intorno al Ttip in questi ultimi giorni, è l'esempio più lampante di quel Berlin consensus, a più riprese giudicato tossico da esperti e commentatori esterni, che attraversa tutta l'Europa, sia quando si parla di pareggio di bilancio, sia quando si affronta il tema banche e derivati (il caso Deutsche Bank, appunto), che quando si parla di un trattato internazionale di portata storica.

Come scrisse Philip Golub, il consenso berlinese somiglia ad una cieca marcia verso la depressione. Allora era il 2011 ed eravamo nel bel mezzo della tempesta. Oggi, con scarsi (o nulli) livelli di crescita, massiccia disoccupazione e calo della domanda, quella previsione sembra quanto mai veritiera e con gli effetti della Brexit ancora tutti da decifrare, si prospetta un inverno molto freddo e pieno d'incertezze.


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